Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5874 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 03/03/2020), n.5874

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 33566/2018 r.g. proposto da:

S.A., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso,

giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avvocato Erica

Scalco, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via S.

Cansacchi, presso lo studio dell’Avvocato Valentina Caporili;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore; PREFETTURA DI ROMA, in persona del Prefetto

pro tempore; QUESTURA DI ROMA, in persona del Questore pro tempore;

– intimati –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE DI ROMA depositata il

27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.A., cittadino (OMISSIS), venne espulso dal territorio nazionale con decreto del Prefetto di Roma del 20 dicembre 2017, notificato in pari data, e conseguente ordine del Questore della medesima città.

1.1. L’opposizione avverso questi atti, tempestivamente proposta dal S., è stata respinta dal Giudice di Pace di Roma, con ordinanza del 22/27 giugno 2018, che ha ritenuto: i) non violata “la normativa nazionale e comunitaria indicata nel ricorso, posto che nel provvedimento del Prefetto è specificatamente indicato che lo straniero ha dichiarato di non voler tornare nel suo Paese di origine, ed è a rischio di fuga in assenza di garanzie finanziarie e di un alloggio dove possa essere rintracciato. Inoltre lo stesso è inottemperante alla misura alternativa al trattenimento presso il CPR con obbligo di firma presso l’Ufficio Immigrazione”; ii) rispettati i parametri normativi di cui all’art. 13, comma 7 T.U. Immigrazione, “considerato che l’atto è redatto in italiano e tradotto nella lingua veicolare inglese (che è anche la lingua ufficiale sussidiaria del paese del ricorrente (OMISSIS)), inoltre il verbale di notifica risulta sottoscritto dall’odierno ricorrente anche per accettazione della lingua dallo stesso indicata. Il rispetto della normativa sopra indicata, poi, si può evincere anche dalla presentazione del ricorso de quo con conferimento di mandato difensivo al difensore di fiducia”; iii) insussistente “la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 7 e 8 in quanto, a parere del giudicante, la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non vizia l’attività amministrativa quando il contenuto dei provvedimento sia interamente vincolato (come nel caso di specie), anche con riferimento ai presupposti di fatto, nonchè tutte le volte in cui la conoscenza sia comunque intervenuta, con modalità tali da ritenere comunque raggiunto in concreto lo scopo cui tende la comunicazione de qua”.

2. Contro questa decisione S.A. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno, la Prefettura e la Questura di Roma sono rimasti solo intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che il ricorso del S. risulta essere stato notificato alla Prefettura di Roma (oltre che al Ministero dell’Interno ed alla Questura di quella stessa città) presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

1.1. Non risulta, però, che, innanzi al Giudice di Pace a quo, la Prefettura si fosse costituita in giudizio (emergendo, anzi, il contrario dal provvedimento impugnato), sicchè la notificazione suddetta deve considerarsi nulla, avendo questa Suprema Corte già chiarito che “il ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso all’esito del giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione dello straniero va proposto nei confronti dell’autorità che ha emanato il decreto impugnato e notificato presso di essa, sicchè, nel caso in cui detto ricorso sia notificato all’Avvocatura dello Stato senza che, nella precedente fase di merito, quest’ultima abbia assunto il patrocinio dell’ufficio del prefetto, la notificazione è da ritenersi nulla e, peraltro, rinnovabile, ai sensi dell’art. 291 c.p.c.” (cfr. Cass. n. 12665 del 2019; Cass. n. 28852 del 2005).

1.2. Nella specie, peraltro, non vi è necessità di disporre tale rinnovazione presentandosi il ricorso, prima facie, come infondato, dovendo, perciò, trovare applicazione il principio secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (cfr., ex multis, Cass. n. 12515 del 2018; Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 15106 del 2013).

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si censura la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui ha presunto, erroneamente ed illogicamente, la conoscenza della lingua italiana, da parte dell’odierno ricorrente, per avere quest’ultimo firmato la relata di notifica del provvedimento espulsivo anche per accettazione della lingua dallo stesso indicata e dall’aver conferito procura al difensore di fiducia in italiano. Si lamenta, inoltre, la mancata traduzione del medesimo provvedimento in lingua comprensibile allo straniero, nella specie quella (OMISSIS), senza alcuna plausibile giustificazione circa l’impossibilità di un tale adempimento;

II) “Violazione e falsa applicazione dell’art. 12 della Direttiva Europea n. 2008/11/CE, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Si deduce che il giudice di pace erroneamente ha ritenuto esistente il pericolo di fuga da parte dello straniero, senza effettuare alcun accertamento e senza valutare la situazione complessiva dello stesso e, soprattutto, la sua condotta nel periodo di permanenza nel territorio italiano;

III) “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione alla violazione dell’art. 13, comma 2, lett. b) e ss.mm.ii.. Violazione e falsa applicazione degli artt. 13, comma 2, lett. b) e ss.mm.ii. e della L. n. 241 del 1990, artt. 7,8,10-bis e 21-septies in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Ci si duole del fatto che, in violazione della richiamata normativa, il provvedimento espulsivo era stato notificato all’odierno ricorrente senza che allo stesso fosse stato notificato il preavviso di rigetto della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.

3. Il primo motivo è inammissibile laddove prospetta un vizio motivazionale, perchè fa riferimento ad una nozione di tale vizio (“omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”) non riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dal codice di rito, ed in particolare non sussumibile nel vizio contemplato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella formulazione – qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una decisione resa il 27 giugno 2018 – disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012), atteso che tale mezzo di impugnazione può concernere esclusivamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, da dedursi, peraltro, con le specifiche modalità sancite da Cass., SU, n. 8053 del 2014.

3.1. E’ infondata, invece, la censura di violazione di legge contenuta nel medesimo motivo.

3.2. Invero, il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, prevede che “il decreto di espulsione e il provvedimento di cui all’art. 14,comma 1 nonchè ogni altro atto concernente l’ingresso, il soggiorno e l’espulsione, sono comunicati all’interessato unitamente all’indicazione delle modalità di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”.

3.2.1. La traduzione dell’atto così prescritta è funzionale a consentire allo straniero la compiuta tutela processuale della propria situazione giuridica soggettiva.

3.2.2. Rispetto a questo precetto normativo, occorre distinguere le questioni relative alla mancata conoscenza della lingua con cui è stato redatto il decreto di espulsione da quelle concernenti, una volta accertata la mancata conoscenza della lingua utilizzata nella redazione dell’atto, l’impossibilità di provvedere alla traduzione in una lingua conosciuta dal destinatario del decreto.

3.2.3. In altri termini, una cosa è dire che il decreto è stato compilato in una lingua non conosciuta e comprensibile dal destinatario, un’altra è sostenere che il decreto, scritto in una lingua non comprensibile dal destinatario, è nullo per la mancata traduzione in una lingua conosciuta dallo straniero, stante la possibilità di provvedere in tal senso.

3.3. Rispetto alla prima problematica, la giurisprudenza di questa Corte ha interpretato il disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7, nel senso di ritenere che gravi sull’amministrazione l’onere di provare l’eventuale conoscenza della lingua italiana o di una delle lingue veicolari da parte del destinatario del provvedimento di espulsione, quale elemento costitutivo della facoltà di notificargli l’atto in una di dette lingue (cfr., ex multis, Cass. n. 26887 del 2019; Cass. n. 2953 del 2019; Cass. n. 1215/2015). E’ compito, poi, del giudice di merito accertare in concreto se la persona conosca la lingua nella quale il provvedimento espulsivo sia stato tradotto, a tal fine valutando gli elementi probatori del processo, tra cui assumono rilievo anche le dichiarazioni rese dall’interessato all’autorità amministrativa nel cosiddetto foglio-notizie, ove egli abbia dichiarato di conoscere una determinata lingua nella quale poi il provvedimento sia stato tradotto (cfr., ex aliis, Cass. n. 26887 del 2019; Cass. n. 2953 del 2019).

3.3.1. Nella specie, il giudice di pace ha dato atto che il provvedimento di espulsione è redatto, oltre che in italiano, in lingua veicolare inglese (“lingua ufficiale sussidiaria del Paese del ricorrente, (OMISSIS)”), e ha ritenuto che il S. comprendesse almeno una di tali lingue sul duplice presupposto che “il verbale di notifica risulta sottoscritto dall’odierno ricorrente anche per accettazione della lingua dallo stesso indicata” e che era avvenuta “la presentazione del ricorso de quo con conferimento di mandato difensivo al difensore di fiducia”.

3.3.2. Si tratta, come è evidente, di un apprezzamento fattuale in merito alla conoscenza della lingua (anche veicolare) utilizzata, censurabile in sede di legittimità nei ristretti limiti, già descritti, di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella specie neppure correttamente invocato, dovendosi, peraltro ricordare che l’attestazione, contenuta nella relata di notificazione del decreto, della dichiarazione dello straniero di conoscere la lingua italiana costituisce prova della relativa circostanza, atteso il carattere fidefacente della relata quanto all’effettività della dichiarazione (cfr. Cass. n. 18123 del 2017).

3.3.3. Nè è possibile sostenere che, così operando, il giudice di merito abbia ritenuto sanata la nullità conseguente alla mancata traduzione dall’intervenuta proposizione del ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8, poichè l’iniziativa giudiziaria è stata valorizzata non in funzione di sanatoria di una precedente nullità per raggiungimento dello scopo, ma al fine di dimostrare in via presuntiva la conoscenza della lingua con cui il decreto di espulsione era stato tradotto.

3.3.4. A tanto deve solo aggiungersi, da un lato, che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 3340 del 2019); dall’altro, che l’odierna doglianza si risolve, sostanzialmente, in una critica al complessivo accertamento fattuale operato dal giudice a quo, cui il ricorrente intenderebbe opporre, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione: ciò non è ammesso, però, nel giudizio di legittimità, che non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

3.4. Occorre, dunque, ribadire il principio secondo cui la nullità del decreto di espulsione – ravvisabile, in linea di principio, per l’omessa traduzione nella lingua conosciuta dall’interessato o in quella veicolare – non sussiste quando lo straniero conosca la lingua italiana o quella in cui il decreto è stato tradotto, circostanza accertabile anche in via presuntiva e costituente accertamento di fatto censurabile nei ristretti limiti dell’attuale disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. ex aliis, Cass. n. 2953 del 2019; Cass. n. 31224 del 2018; Cass. n. 25414 del 2018; Cass. n. 17851 del 2018; Cass. n. 11887 del 2018).

5. Il terzo motivo, il cui esame va anteposto a quello del secondo (che attiene alle modalità propedeutiche all’esecuzione dell’espulsione. Cfr. Cass. n. 27692 del 2018 e Cass. n. 28157 del 2017) è inammissibile laddove denuncia un vizio motivazionale: ciò per le stesse ragioni esposte con riferimento all’analoga censura contenuta nel primo motivo.

5.1. E’, invece, infondato nella parte in cui, prospettando la violazione della L. n. 241 del 1990, artt. 7,8,10-bis e 21-septies lamenta che il provvedimento espulsivo era stato notificato all’odierno ricorrente senza che allo stesso fosse stato notificato il preavviso di rigetto della richiesta di rilascio del permesso di soggiorno.

5.1.1. In proposito, infatti, è dirimente osservare, così dandosi continuità all’orientamento espresso, in sede di risoluzione di contrasto di giurisprudenza, dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 22217 del 2006 (poi ribadito da Cass. n. 12976 del 2016 e Cass. n. 15676 del 2018), che il provvedimento di espulsione dello straniero è provvedimento obbligatorio a carattere vincolato, sicchè il giudice ordinario dinanzi al quale esso venga impugnato è tenuto unicamente a controllare l’esistenza, al momento dell’espulsione, dei requisiti di legge che ne impongono l’emanazione, i quali consistono nella mancata richiesta, in assenza di cause di giustificazione, del permesso di soggiorno, ovvero nella sua revoca od annullamento ovvero nella mancata tempestiva richiesta di rinnovo che ne abbia comportato il diniego; al giudice investito dell’impugnazione del provvedimento di espulsione non è, invece, consentita alcuna valutazione sulla legittimità del provvedimento del questore che abbia rifiutato, revocato o annullato il permesso di soggiorno ovvero ne abbia negato il rinnovo, poichè tale sindacato spetta unicamente al giudice amministrativo, la cui decisione non costituisce in alcun modo un antecedente logico della decisione sul decreto di espulsione. Ne consegue, per un verso, che la pendenza del giudizio promosso dinanzi al giudice amministrativo per l’impugnazione dei predetti provvedimenti del questore non giustifica la sospensione del processo instaurato dinanzi al giudice ordinario con l’impugnazione del decreto di espulsione del prefetto, attesa la carenza di pregiudizialità giuridica necessaria tra il processo amministrativo e quello civile; e, per l’altro verso, che il giudice ordinario, dinanzi al quale sia stato impugnato il provvedimento di espulsione, non può disapplicare l’atto amministrativo presupposto emesso dal questore (rifiuto, revoca o annullamento del permesso di soggiorno o diniego di rinnovo). Infine, ove il giudice amministrativo accolga il ricorso, lo straniero potrà chiedere al Prefetto, ove ne sussistano i presupposti, la revoca dell’espulsione ed in caso di rigetto dell’istanza adire il giudice di pace per ottenere l’annullamento del provvedimento espulsivo privo del requisito dell’insussistenza di un valido titolo di soggiorno (cfr. Cass. n. 15676 del 2018; Cass. n. 6370 del 2004; Cass., SU, n. 22217 del 2006).

5. Inammissibile è, infine, anche il secondo motivo.

5.1. L’espulsione opposta è stato pronunciata dal prefetto nella vigenza del sistema normativo di attuazione della Direttiva CE n. 115/2008, ovvero ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, così come modificato dal D.L. n. 89 del 2011, convertito dalla L. n. 129 del 2011. Alla luce di questo nuovo regime giuridico, la misura deve essere disposta “caso per caso” (citato art. 13, comma 2), e, ove venga richiesta al prefetto, da parte dello straniero destinatario del provvedimento espulsivo, la concessione di un periodo per la partenza volontaria, quest’ultimo, “con lo stesso provvedimento di espulsione”, può intimare allo straniero di lasciare il paese in un termine modulato dai sette ai trenta giorni o, in mancanza dei requisiti per la partenza volontaria, può ordinare al questore di procedere con l’esecuzione coattiva.

5.2. Il novellato art. 13, comma 4 predetermina le ipotesi in cui il questore può eseguire l’espulsione coattivamente (con accompagnamento immediato alla frontiera o con le modalità indicate nel successivo art. 14). Esse sono: a) la pericolosità sociale; b) il rischio di fuga; c) la domanda di permesso di soggiorno respinta perchè manifestamente infondata o fraudolenta; d) l’inosservanza del termine per la partenza volontaria; e) la violazione delle misure di controllo disposte dal questore nella pendenza del termine per la partenza volontaria; f) l’ipotesi di espulsione che consegue ad una misura di sicurezza o ad una misura sostitutiva o alternativa alla detenzione; g) l’assenza della richiesta di un termine per la partenza volontaria.

5.2.1. Nella trasposizione interna della Direttiva predetta, il rischio di fuga si ravvisa ogni qual volta si verifichi almeno una delle seguenti condizioni: a) mancato possesso di passaporto o documento equipollente; b) mancanza di idonea documentazione atta a dimostrare la disponibilità di un alloggio; c) l’avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità; d) il non avere ottemperato ad uno dei provvedimenti emessi dalla competente autorità in applicazione dei commi 5 (rispetto del termine per la partenza volontaria), e 13 (rispetto del termine per il divieto di reingresso) del D.Lgs. n. 286 del 1998, nonchè dell’art. 14 (osservanza dell’ordine di allontanamento ex comma 5-bis) del medesimo decreto; e) avere violato le misure di controllo disposte dal questore durante la pendenza del termine per la partenza volontaria.

5.3. Nella specie, il giudice a quo ha espressamente rimarcato che “nel provvedimento del Prefetto è specificatamente indicato che lo straniero ha dichiarato di non voler tornare nel suo Paese di origine, ed è a rischio di fuga in assenza di garanzie finanziarie e di un alloggio dove possa essere rintracciato. Inoltre, lo stesso è inottemperante alla misura alternativa al trattenimento presso il CPR con obbligo di firma presso l’Ufficio Immigrazione”. Peraltro, non risulta specificamente dedotto in ricorso, nè tanto si evince dal tenore del provvedimento impugnato, che fosse stato richiesto un termine per la partenza volontaria.

5.3.1. In parte qua, dunque, il provvedimento espulsivo contiene una chiara, seppure sintetica, giustificazione del pericolo di fuga, a fronte della quale la censura di cui al motivo in esame, benchè prospettata come violazione di legge, in altro non consiste che in una critica al riportato accertamento fattuale, cui il ricorrente intenderebbe sostituire una diversa valutazione invocando (anche) altre circostanze. Si è già detto, però, che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (cfr. Cass. n. 21381 del 2006, nonchè la più recente Cass. n. 8758 del 2017).

6. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno, la Prefettura e la Questura di Roma rimaste solo intimati.

6.1. Trattandosi di procedimento esente da ogni tassa o imposta (cfr. D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 8, che ha sostituito D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13-bis), non è dovuto il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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