Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5873 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 16/01/2020, dep. 03/03/2020), n.5873

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 32970/2018 r.g. proposto da:

S.A., (nato a (OMISSIS) – (OMISSIS) – il (OMISSIS)),

rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al

ricorso, dall’Avvocato Uljana Gazidede, con cui elettivamente

domicilia in Roma, presso la Cancelleria della Corte di cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA DI PIACENZA, in persona del Prefetto pro tempore; QUESTURA

DI PIACENZA, in persona del Questore pro tempore;

– intimate –

avverso l’ordinanza del GIUDICE DI PACE DI PIACENZA depositata in

data 04/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/01/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.A., cittadino (OMISSIS), venne espulso dal territorio nazionale con decreto del Prefetto di Piacenza del 7 giugno 2017, notificato in pari data, che contestualmente dispose che lo stesso fosse accompagnato alla frontiera a mezzo della Forza Pubblica ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 2, lett. c).

1.1. L’opposizione avverso questo decreto proposta dallo S. solo il 5 giugno 2018 è stata dichiarata inammissibile, perchè tardiva (in quanto “inviata oltre il termine di 30 giorni e anche di 60 se il prevenuto fosse residente all’estero”), dall’adito Giudice di Pace di Piacenza, con ordinanza del 4 settembre 2018, che, dopo aver disposto l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, ed aver compensato le spese di giudizio, ha poi quantificato in Euro 70,00, oltre accessori di legge, il compenso del difensore.

2. Contro questa decisione S.A. ricorre per cassazione, affidandosi a due motivi. La Prefettura e la Questura di Piacenza sono rimaste solo intimate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Rileva, pregiudizialmente, il Collegio che il ricorso dello S. risulta essere stato notificato alla Prefettura di Piacenza (oltre che alla Questura di quella stessa città) presso l’Avvocatura Generale dello Stato.

1.1. Non risulta, però, che, innanzi al Giudice di Pace a quo, la menzionata Prefettura si fosse costituita in giudizio (emergendo, anzi, il contrario da quanto esposto alla pagina 2 dell’odierno ricorso), sicchè la notificazione suddetta deve considerarsi nulla, avendo questa Suprema Corte già chiarito che “il ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso all’esito del giudizio di opposizione al decreto prefettizio di espulsione dello straniero va proposto nei confronti dell’autorità che ha emanato il decreto impugnato e notificato presso di essa, sicchè, nel caso in cui detto ricorso sia notificato all’Avvocatura dello Stato senza che, nella precedente fase di merito, quest’ultima abbia assunto il patrocinio dell’ufficio del prefetto, la notificazione è da ritenersi nulla e, peraltro, rinnovabile, ai sensi dell’art. 291 c.p.c.” (cfr. Cass. n. 12665 del 2019; Cass. n. 28852 del 2005).

1.2. Nella specie, peraltro, non vi è necessità di disporre tale rinnovazione presentandosi il ricorso, prima facie, come infondato, dovendo, perciò, trovare applicazione il principio secondo cui il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare ed impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perchè non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti (cfr., ex multis, Cass. n. 12515 del 2018; Cass. n. 11287 del 2018; Cass. n. 15106 del 2013).

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c.; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, commi 2 e 7; violazione della L. n. 241 del 1990, art. 21-octies: illegittimità per incompetenza dell’organo emanante; violazione dell’art. 112 c.p.c. – omessa pronuncia sulle questioni preliminari; illogicità e nullità dell’ordinanza laddove non ha dichiarato la nullità del decreto di espulsione perchè non sottoscritto dal prefetto ossia, emesso da autorità priva del potere di emanare il provvedimento; violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; motivazione apparente ancorchè inesistente”. Si assume che la motivazione resa dal giudice di pace nel provvedimento oggi impugnato “non permette di comprendere /Iter logico seguito dal giudice per arrivare al risultato enunciato nel dispositivo, che, peraltro, è nullo, illegittimo, ancorchè illogico, per essersi il giudicante già spogliato della potestas iudicandi per effetto della pronuncia di inammissibilità in rito”. La stessa, inoltre, “deve ritenersi apparente” essendosi limitata a constatare il mero dato cronologico, “senza dare contezza delle richieste formulate, in via preliminare dal ricorrente che ne imponevano, quanto meno una rimessione in termini”. Si afferma, infine, richiamandosi Cass. n. 17253 del 2005, che, in relazione ai provvedimenti di espulsione, nei casi di mancata o difforme traduzione in lingua nota allo straniero o per mancanza di sottoscrizione del Prefetto, non decorre il termine ad opponendum.

II) “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014”. Si censura l’avvenuta liquidazione, in via equitativa, della “irrisoria somma di C 70,00 per spese legali, senza valutare l’impegno profuso nella redazione del ricorso e nella discussione all’udienza del 20.07.2018, nonchè, le spese sostenute per presenziare all’udienza da Bari a Piacenza”.

3. Il primo motivo è infondato.

3.1. Deve immediatamente evidenziarsi che la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata un’ordinanza decisoria resa il 4 settembre 2018), ha avuto l’effetto di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare, con riferimento a quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza (o di altro provvedimento decisorio) per “mancanza della motivazione”, ipotesi configurabile allorchè la motivazione manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione ovvero formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum (cfr. Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017). In altri termini, la riformulazione della norma suddetta deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione solo della “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, della “motivazione apparente”, del “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e della “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, con esclusione, dunque, di qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” o di logicità della motivazione (cfr. Cass., S.U. n. 8053 del 2014; Cass. n. 7472 del 2017).

3.2. Nella specie, il provvedimento oggi impugnato reca una motivazione che, pur nella sua stringatezza, consente comunque di individuare agevolmente la ratio che la sorregge. Il giudice a quo, invero, muovendo dal pacifico presupposto che la notifica del provvedimento di espulsione nei confronti dello S. era avvenuta il 7 giugno 2017, ha poi ritenuto tardiva l’opposizione proposta da quest’ultimo (evidentemente giusta il combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 3) in quanto “inviata oltre il termine di 30 giorni e anche di 60 se il prevenuto fosse residente all’estero”, potendo, in tal modo, ritenersi sufficientemente soddisfatto l’onere minimo motivazionale di cui si è detto.

3.3. Nemmeno risulta, poi, essere stata formulata, innanzi a quel giudice, una specifica richiesta di rimessione in termini ad opera dell’odierno ricorrente, tale non potendo essere considerato – diversamente da quanto oggi preteso in ricorso – il motivo di opposizione, ivi proposto, concernente l’asserita nullità del decreto prefettizio per la mancata sua sottoscrizione del Prefetto o vice prefetto vicario. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che, da un lato, l’eventuale carenza della delega del Prefetto in favore di un viceprefetto determina la mera illegittimità del decreto di espulsione, rimanendosi, dunque, nel capo della invalidità dell’atto (piuttosto che della sua inesistenza); dall’altro, che la più recente giurisprudenza di legittimità, superando quanto sancito da Cass. n. 17253 del 2005, è ormai nel senso che una causa di nullità del decreto di espulsione può essere fatta valere soltanto mediante il ricorso in opposizione, in quanto si verte in materia d’invalidità e non d’inesistenza dell’atto amministrativo (cfr., ex aliis, Cass. n. 18878 del 2017; Cass. n. 22607 del 2015, rese in fattispecie di mancata traduzione del decreto di espulsione, ma il cui principio è evidentemente utilizzabile, anche per le altre ipotesi di sua invalidità).

4. Il secondo motivo è, invece, inammissibile, perchè la contestazione in ordine alla quantificazione del compenso liquidato in favore del difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato deve essere proposta, da colui che sia a tanto legittimato (cioè il difensore stesso, e non la parte patrocinata. Cfr. Cass. n. 1539 del 2015), secondo il procedimento di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 84 e 170 in cui è contraddittore necessario il Ministero della Giustizia, dovendosi escludere che, ove quella liquidazione sia avvenuta nell’ordinanza del giudice di pace conclusiva del giudizio di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 8 e del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 3, la stessa sia, per ciò solo, impugnabile, in parte qua, immediatamente con il ricorso per cassazione.

5. Il ricorso va, dunque, respinto, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo la Prefettura di Piacenza rimasta solo intimata.

5.1. Trattandosi di procedimento esente da ogni tassa o imposta (cfr. D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 18, comma 8, che ha sostituito il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13-bis), non è dovuto il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile della Corte di cassazione, il 16 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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