Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5870 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2010, (ud. 22/12/2009, dep. 11/03/2010), n.5870

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO S.P.A., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA

PIAZZA GIUSEPPE VERDI N. 10, presso lo studio dell’Avvocato TURCO

Chiara, (c/o l’Ufficio della Funzione Affari Legali e Societari), che

lo rappresenta e difende giusta delega a margine del riscorso;

– ricorrente –

contro

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO

35, presso lo studio degli avvocati D’AMATI DOMENICO, e D’AMATI

NICOLETTA, che lo rappresentano e difendono giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3533/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/06/2006 R.G.N. 2567/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

22/12/2009 dal Consigliere Dott. ZAPPIA Pietro;

udito l’Avvocato COSTANTINI CLAUDIA per delega D’AMATI DOMENICO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

Con ricorso al Tribunale, giudice del lavoro, di Roma, ex art. 414 c.p.c., B.V., gia’ dipendente dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a., premesso di aver prestato, nel corso del suo rapporto, lavoro straordinario con caratteristiche di continuita’ ed obbligatorieta’ nella misura risultante dalle buste paga allegate, deduceva che i compensi percepiti a tale titolo dovevano essere inclusi nella base di calcolo dell’indennita’ di anzianita’ e del TFR. Istauratosi il contraddicono l’Istituto Poligrafico contestava quanto dedotto dal ricorrente rilevando che l’accordo aziendale del 22.6.1974 e la contrattazione collettiva applicabile imponevano di escludere la computabilita’ dei compensi per lavoro straordinario nelle voci retributive indicate; eccepiva l’intervenuta prescrizione al ricalcolo del TFR; proponeva altresi’ domanda riconvenzionale tesa ad ottenere la compensazione delle somme eventualmente riconosciute con quanto corrisposto al lavoratore sulla base del predetto accordo aziendale.

Il giudice adito accoglieva la domanda attorea condannando l’Istituto Poligrafico a corrispondere ai lavoratore le somme relative alla inclusione nella base del computo dell’indennita’ di anzianita’ e del TFR del compenso per lavoro straordinario prestato.

Avverso tale sentenza proponeva appello l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato; col detto gravame, ribadita l’eccezione di prescrizione svolta in primo grado, deduceva che il Tribunale aveva errato nel non considerare l’incidenza dell’accordo del 22.6.1974 relativamente al computo del lavoro straordinario sugli istituti di fine rapporto, atteso che detto accordo era stato appositamente pattuito per assorbire eventuali richieste successive volte ad ottenere ulteriori liquidazioni per lavoro straordinario, e pertanto il primo giudice avrebbe dovuto quanto meno accogliere la domanda riconvenzionale proposta in primo grado; chiedeva pertanto il rigetto delle domande proposte da controparte con il ricorso introduttivo.

Con sentenza in data 26.4.2006 la Corte d’appello di Roma rigettava il gravame compensando tra le parti le spese di giudizio.

Avverso questa sentenza propone ricorso per Cassazione l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato s.p.a. con tre motivi di impugnazione.

Resiste con controricorso il lavoratore intimato.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

Col primo motivo di gravame l’Istituto Poligrafico eccepisce la prescrizione del diritto al computo dello straordinario negli istituti di fine rapporto – Insufficiente motivazione, violazione e falsa applicazione della L. n. 297 del 1982, dell’art. 2120 c.c. e degli artt. 2934 e 2935 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare che erroneamente la Corte d’appello aveva rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto al computo dei compensi per lavoro straordinario negli istituti di fine rapporto, argomentando dal rilievo che la prescrizione ai sensi dell’art. 2935 c.c. decorre dal giorno in cui il diritto puo’ essere fatto valere e che il diritto al TFR maturava dalla cessazione del rapporto, con la conseguenza che da tale data non era decorso il termine prescrizionale di cinque anni previsto dalla legge.

Osserva per contro il ricorrente che la cessazione del rapporto lavorativo costituisce il momento in cui il TFR diviene esigibile, ma la maturazione del relativo diritto si verifica progressivamente nel corso del rapporto lavorativo, e poiche’ nel caso di specie la materia del contendere non riguardava il “diritto al TFR”, bensi’ la determinazione di quali compensi andavano o meno calcolati al fine degli accantonamenti annuali, e quindi il diritto a vedere computata nella base di calcolo del TFR le varie voci che anno per anno concorrevano a comporto, la relativa prescrizione si maturava anche nel corso del rapporto lavorativo.

Il motivo non e’ fondato.

Osserva il Collegio che, contrariamente a quanto ritenuto da parte ricorrente, il diritto al trattamento di fine rapporto sorge, a norma dell’art. 2120 c.c., comma 1, (come sostituito dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 1 recante la disciplina del trattamento di fine rapporto) e per come previsto dalla lettera della legge, al momento della cessazione del rapporto di lavoro ed in conseguenza di essa. Ed invero l’uso del termine “quota” con riferimento all’importo della retribuzione annuale “dovuta”, lungi dal dare l’idea del frazionamento annuale e dell’acquisizione periodica del diritto, richiama, invece, solo una modalita’ del calcolo dell’unico diritto al trattamento di fine rapporto, da adoperarsi al momento in cui questo sorge, con la cessazione del rapporto, al fine di determinarne, mediante l’utilizzazione degli altri coefficienti previsti, applicati con riferimento a tutta la durata del rapporto stesso, l’entita’ complessiva che e’ solo ed esclusivamente quella finale.

Ma oltre che dal dato letterale, la tesi e’ suffragata dal rilievo che nel nuovo contesto, la somma da corrispondere, se pur non e’ costituita da una quota dell’ultima retribuzione, come per l’indennita’ di anzianita’, e’ pur sempre rappresentata non gia’ dalla somma degli accantonamenti annuali, bensi’ da quella delle “quote”, che avrebbero dovuto essere accantonate anno per anno, di una retribuzione annua dovuta, calcolabile solo alla cessazione del rapporto come e’ stato gia’ osservato. Cosa questa che impedisce che possa parlarsi di liquidita’ e di certezza anno per anno essendo l’entita’ del diritto quantificabile solo alla fine del rapporto sia come base retribuiva che, conseguenzialmente, come quota rivalutativa secondo il meccanismo previsto, anche se l’importo che ne risulta puo’ anche e solo eventualmente, corrispondere a quello risultante dall’accantonamento progressivo.

D’altronde, l’incertezza sulla determinazione delle quote annuali accantonate a motivo della computabilita’ o meno di somme corrisposte non appare eliminabile in costanza di rapporto in via autonoma, giacche’ ai fini di questa computabilita’ puo’ essere determinante la previsione della contrattazione collettiva del tempo della cessazione del rapporto; con la conseguenza che la tesi di parte ricorrente porterebbe alla incidenza, in maniera irrimediabile, degli errori e delle omissioni non fatti valere tempestivamente, sulla entita’ del TFR calcolata al momento in cui sorge il diritto, e cioe’ al momento della cessazione del rapporto lavorativo.

Ne consegue che la prescrizione del diritto al TFR non matura nel corso di svolgimento del rapporto di lavoro.

Col secondo motivo di gravame il ricorrente lamenta errata interpretazione dell’accordo aziendale nazionale del 1974, con conseguente illegittima reiezione della domanda riconvenzionale – eccezione di compensazione proposta dall’istituto anche in violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; ed in violazione e falsa applicazione dell’art. 2120 c.c., come modificato dalla L. n. 297 del 1982 in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Rileva in particolare il ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva escluso la riassorbibilita’ di quanto erogato al lavoratore in forza delle previsioni contenute nel Punto A del contratto aziendale 22.6.1974, assumendo che tale compenso sarebbe stato assorbibile solo in caso di vertenze proposte dal personale e che fossero ricollegate alla contropartita dello stesso compenso (e cioe’ l’aumento della produttivita’).

Per contro il c.d. Punto A dell’accordo del 1974 non era in alcun modo legato alla produttivita’, ed aveva invece la precipua finalita’ di evitare per il futuro un contenzioso di massa relativo alla inclusione nel calcolo della indennita’ di anzianita’, e poi del TFR, dei compensi per lavoro straordinario.

Il motivo non e’ fondato.

Rileva innanzi tutto il Collegio che la questione sollevata involge la interpretazione del predetto accordo aziendale, interpretazione che costituisce un tipico accertamento di fatto, come tale demandato esclusivamente al giudice di merito, e sottratto quindi al giudizio di legittimita’ se non per vizio di motivazione o per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale nell’interpretazione della disciplina collettiva applicabile.

Ed invero, “il controllo di logicita’ del giudizio di fatto, consentito dall’art. 360 c.p.c., n. 5, non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio”, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione, in realta’, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’; ne consegue che risulta del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Suprema Corte di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso la autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa” (Cass. sez. lav., 7.6.2005 n. 11789).

Posto cio’ osserva il Collegio che nel caso di specie la Corte territoriale ha preso in esame le censure sollevate dall’appellante ed ha, con motivazione assolutamente coerente e logica che si sottrae pertanto alle censure ed ai rilievi sollevati da parte ricorrente, rilevato che l’oggetto della pattuizione consisteva nello scambio di un immediato, iniziale aumento di produttivita’ con un miglioramento retribuivo specificamente individuato, con la precisazione che tale compenso era assorbibile in caso di vertenze proposte dal personale dipendente che potessero a tale compenso collegarsi; mentre la dedotta prospettiva della eliminazione delle prestazioni straordinarie continuative non costituiva l’oggetto della regolamentazione adottata.

Deve ritenersi quindi che il giudice di merito abbia illustrato le ragioni che rendevano pienamente contezza delle ragioni del proprio convincimento esplicitando l’iter motivazionale attraverso cui lo stesso era pervenuto alla propria decisione.

E pertanto il motivo si risolve in un’inammissibile istanza di riesame della valutazione del giudice d’appello, fondata su tesi contrapposta al convincimento da esso espresso, e pertanto non puo’ trovare ingresso (Cass. sez. lav., 28.1.2008 n. 1759).

Col terzo motivo di gravame il ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su domanda formulata in via subordinata circa la corretta applicazione del CCNL del 1992 con riferimento al calcolo del TFR, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, illogicita’ manifesta della decisione.

Rileva in particolare che la Corte territoriale aveva omesso ogni pronuncia sulla domanda formulata in via subordinata dall’Istituto circa la limitazione della pretesa di controparte al 31.10.1992, stante la valenza innovativa del nuovo art. 21 del CCNL 1992.

Ed invero, posto che l’art. 2120 c.c. consentiva all’autonomia delle parti la possibilita’ di derogare in peius alla disciplina codicistica del TFR, questa facolta’ era stata appunto esercitata nella contrattazione collettiva del 1992. Era indubbio infatti, stante la chiara dizione della norma pattizia, che l’intento dei contraenti era quello di escludere l’incidenza di quanto percepito fuori dell’”orario normale” nel calcolo del TFR. Il motivo e’ inammissibile.

Rileva in proposito il Collegio la evidente incongruenza fra l’intestazione del motivo ed il contenuto della sentenza impugnata.

Il motivo svolge infatti considerazioni critiche volte ad evidenziare la omessa pronuncia in ordine alla domanda formulata in via subordinata dall’Istituto circa la limitazione della pretesa di controparte al 31.10.1992, in considerazione della valenza innovativa del nuovo art. 21 del CCNL del 1992; per contro la Corte territoriale ha rilevato, dando quindi espressa contezza delle proprie determinazioni, che “in base alla disciplina contrattuale (art. 34 CCNL del 1992) il TFR deve essere calcolato sulla base della “retribuzione dovuta”, non contenendo cosi’ alcuna deroga al criterio di calcolo omnicomprensivo di legge (L. n. 297 del 1982, art. 1, comma 2)”, rilevando altresi’ che ad avviso della predetta Corte territoriale non potevano trarsi elementi di segno diverso “dalla circostanza che il medesimo CCNL 1992, e quindi i successivi, facciano riferimento ad un concetto di retribuzione corrispondente a quanto complessivamente percepito… per la prestazione lavorativa nell’orario normale”.

D’altra parte, non si puo’ in questa sede procedere alla valutazione della correttezza, o meno, di tale conclusione, come anche dell’insufficienza della motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non avendo la parte ricorrente depositato il contratto collettivo de quo, la cui produzione – nella sua interezza e non soltanto per alcuni stralci – e’ imposta, appunto a pena di improcedibilita’, dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, allorche’ si tratti, come nella specie, di contratti collettivi nazionali di diritto privato, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza di questa Corte con indirizzo ormai consolidato (Cass. sez. lav., 21.9.2007 n. 19560, con riferimento all’art. 420 bis c.p.c.; Cass. sez. lav., 11.2.2008 n. 6432; Cass. sez. lav., 5.2.2009 n. 2855;

Cass. sez. lav., 2.7.2009 n. 15495; Cass. sez. lav., 16.7.2009 n. 16619; Cass. sez. lav., 28305/09; Cass. sez. lav., 28306/09).

Il ricorso non puo’ pertanto trovare accoglimento.

A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in Euro 30,00 oltre Euro 2.000,00 (duemila/00) per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 22 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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