Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5868 del 13/03/2014
Civile Ord. Sez. 6 Num. 5868 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 16009/2012 proposto da:
BOSCO ALDO s.p.a. (P.I.: 02766650879), in persona del legale rappresentante protempore, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli
Avv.ti Gaetano Franchina e Giovanni Esterini e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria
della Corte di cassazione; – ricorrente —
contro
TE.CA.V. s.r.l. (P.I.: 03719480877), in persona del legale rappresentante pro-tempore,
rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.
Giuseppe Privitera e domiciliata “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
– controricorrente per la cassazione della sentenza n. 446 del 2012 della Corte di appello di Catania,
depositata il 13 marzo 2012 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2014
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
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A63
Data pubblicazione: 13/03/2014
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 15 marzo 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione
notificato il 13 marzo 2003 la società Bosco Aldo S.p.a. conveniva in giudizio, davanti al
Tribunale di Catania, la società Te.cav. s.r.I., chiedendo la risoluzione, per inadempimento
della società convenuta, del contratto di appalto stipulato il 14 maggio 2001, nonché la Si costituiva tardivamente la società Te.cav. S.r.l., contestando la fondatezza della
domanda attorea, formulando domanda riconvenzionale per la risoluzione del contratto per
inadempimento della contro parte, per la condanna della società attrice al risarcimento dei
danni e alla restituzione del materiale ancora presente in cantiere.
Con ricorso depositato il 4 giugno 2003 la società Te.cav. S.r.l. chiedeva ingiunzione di
pagamento nei confronti della Bosco s.p.a., per l'importo di euro 203.525.01, quale saldo
delle fatture emesse nell'anno 2003 relative ai lavori già eseguiti.
Emessa l'ingiunzione di pagamento, con atto di citazione notificato il 18 luglio 2003, la
società Bosco Aldo S.p.a. proponeva opposizione avverso il suddetto decreto ingiuntivo e
chiedeva la revoca dello stesso per inadempimento della controparte.
Si costituiva la Te.cav. S.r.l., chiedendo la conferma del decreto ingiuntivo opposto.
Riuniti i due giudizi, il Tribunale adito, con sentenza n. 378/09, condannava la società
Bosco Aldo S.p.a. a pagare alla Te.cav. 5. r.!. la somma di euro 144.977,00 oltre interessi
legali, e a pagare i due terzi delle spese processuali del procedimento monitorio, di quello
di merito e di consulenza tecnica d'ufficio, compensando tra le parti il restante terzo.
Avverso questa sentenza proponeva appello la Bosco Aldo S.p.a., con atto di citazione
notificato 11 12 gennaio 2010.
Si costituiva la società appellata, chiedendo il rigetto del gravame, perché infondato. 2 condanna della medesima al risarcimento dei danni. Con sentenza n. 446/12, depositata il 13 marzo 2012 e non notificata, la Corte d'Appello di
Catania, definitivamente pronunciando, rigettava l'appello, condannando la società Bosco
Aldo S.p.a. al rimborso delle spese processuali.
Con ricorso per cassazione, notificato il 6 giugno 2012 e depositato il 26 giugno 2012, la
società Bosco Aldo S.p.a. impugnava la sentenza di secondo grado, sulla base di due Si costituiva con controricorso l'intimata.
Rileva il relatore che, nel caso di specie, sembrano sussistere le condizioni per il rigetto
del ricorso, stante la manifesta infondatezza di entrambi i motivi con esso formulati, avuto
riguardo all'art. 375 n. 5 c.p.c. e all'art. 380 bis c.p.c..
Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato la motivazione insufficiente in relazione al
rigetto del primo motivo di appello, con cui veniva lamentata la violazione delle norme
sull'onere della prova.
Tale doglianza appare, ad avviso del relatore, manifestamente infondata.
Invero, la Corte catanese si è ampiamente soffermata sul punto, uniformandosi ai principi
più volte espressi da questa Corte (cfr. Cass., S.U., n. 13533 del 2001; Cass. n. 8615 del
2006 e, da ultimo, Cass. n. 3373 del 2010), evidenziandosi, oltretutto, come la ricorrente
non abbia, nel caso di specie, nemmeno dedotto l'eventuale violazione di legge
riconducibile all'art. 2697 c.c. .
Ha, infatti, affermato che, in tema di inadempimento di un'obbligazione, oltre alla
dimostrazione dei fatti che costituiscono il fondamento del diritto, il regime di ripartizione
dell'onere della prova pone a carico del creditore che agisca per la risoluzione
contrattuale, per il risarcimento del danno ovvero per l'adempimento, soltanto la prova
della fonte costitutiva del proprio diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla
mera allegazione della circostanza dell'fffra inadempimento della controparte, fornendo
altresì la prova del nesso causale tra l'altrui inadempimento ed il danno subito: il debitore
3 motivi. convenuto, invece, è gravato della dimostrazione del fatto estintivo dell'altrui pretesa,
costituito dall'avvenuto esatto adempimento.
Alla stregua di ciò, la Corte territoriale ha correttamente evidenziato come fosse onere del
creditore dimostrare la fonte negoziale o legale del suo diritto, e, cioè, la sussistenza del
patto successivo, in virtù del quale la società Te. Cav. avrebbe dovuto fornire solo i espletato tale onere, il debitore avrebbe dovuto dimostrare l'esatto adempimento della
suddetta obbligazione di fornitura.
Dunque, dalla lettura della sentenza di appello, emergono la chiarezza e la logicità del
ragionamento seguito dalla Corte di secondo grado, che ha adottato la sua decisione con
motivazione congrua ed adeguata oltre che rispondente ai principi di diritto in tema di
ripartizione dell'onere della prova come affermati dalla giurisprudenza di questa Corte.
Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la motivazione insufficiente in relazione
al rigetto del secondo motivo di appello con cui veniva lamentata l'erronea valutazione
delle prove assunte in primo grado.
Tale seconda doglianza appare, altresì, manifestamente infondata.
Infatti, la Corte catanese ha, sia sotto il profilo della correttezza giuridica, sia sotto quello
della coerenza logico-formale, coerentemente sviluppato le sue argomentazioni
pervenendo, consequenzialmente, al rigetto delle doglianze avanzate dall'appellante.
La Corte territoriale ha, dapprima, esaminato, adeguatamente, la dichiarazione del Bosco,
ritenendola assolutamente generica ed inidonea a dimostrare una così radicale
trasformazione — considerato, per di più, che la stessa società appellante non aveva
nemmeno dedotto alcunché in ordine alle necessarie conseguenze della pretesa modifica
sulle altre clausole contrattuali - anche a seguito di un puntuale raffronto con le altre prove
raccolte, tra le quali rientravano l'elenco dei lavoratori assunti dalla stessa Bosco S.p. a., i
dati tecnici rilevati dal c.t.u. e la documentazione allegata alla relazione dell'ausiliario.
4 materiali e la società Bosco, avrebbe dovuto provvedere alla messa in posa; una volta In secondo luogo, nel legittimo esercizio dei suoi poteri, la Corte etnea ha riconosciuto
veridicità alle dichiarazioni rese dagli operai addetti al cantiere per conto della Te.cav,
dalle quali era risultato che i lavori di impianto venivano realizzati dalla società
appaltatrice, ad eccezione di una sporadica attività di collaborazione, riscontrando, inoltre,
tali dichiarazioni, con i risultati dell'indagine tecnica svolta dal C. t.u.(in particolare, la Corte Peraltro, la Corte catanese, con motivazione congrua e sufficientemente logica, ha
aggiunto, ad ulteriore riscontro dell'inidoneità della documentazione proposta dalla Bosco
S.p.a., che la prova dell'esecuzione di detti lavori non poteva essere desunta dalla
relazione di consulenza tecnica di ufficio, dal momento che il C.t.u. si era solo limitato ad
esaminare la documentazione prodotta dalla parte e ad individuare il personale con
qualifica attinente alle lavorazioni oggetto del contratto con la Te.cav., concludendo con
l'indicazione, in via meramente probabilistica, dei lavoratori impegnati nei lavori di cui
trattasi.
In modo logico e coerente con le considerazioni ivi indicate, la Corte territoriale, con
esaustiva motivazione, ha ritenuto che la Bosco S.p.a. non avesse assolto l'onere della
prova circa il fatto di aver provveduto direttamente ai lavori di messa in opera degli
impianti consegnati dalla società Te.cav. .
In ogni caso ed in via generale, peraltro, si ricorda che, secondo il costante insegnamento
giurisprudenziale di questa Corte, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di
legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la
facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logicoformale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva,
il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la
concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così
5 fa riferimento al controllo dei libretti di misura). liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge.
In definitiva, si riconferma che, nel caso di specie, sembrano sussistere le condizioni per il
rigetto del ricorso, potendosi ravvisare la manifesta infondatezza di entrambi i motivi con
esso formulati, avuto riguardo all'ipotesi contemplata nell'art. 375 n. 5 c.p.c., donde la sua Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, il difensore della ricorrente non ha
depositato la memoria finale ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c., né è comparso in sede di
discussione nell'ambito dell'adunanza camerale;
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente
condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei
sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di
legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù
dell'art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012). P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 21 febbraio 2014. definizione nelle forme camerali di cui all'art. 380 bis c.p.c.».