Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5867 del 11/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 11/03/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 11/03/2010), n.5867

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. COLETTI DE CESARE Gabriella – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA RENO 21,

presso lo studio dell’avvocato RIZZO ROBERTO, che la rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende,

giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7006/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 08/03/2005 R.G.N. 6747/02;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. TOFFOLI Saverio;

udito l’Avvocato DE MARINIS NICOLA per delega FIORILLO LUIGI;

udito l’Avvocato RIZZO ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

P.R. adiva il Tribunale di Roma contro la s.p.a.

Poste Italiane affinche’ fosse dichiarata la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con decorrenza dall’inizio dei tre contratti di lavoro a termine stipulati dalle parti. Precisava che il primo era stato sottoscritto per il periodo 7.2.1998 – 30.4.1998, con proroga al 30.5.1998, per “esigenze eccezionali”; il secondo per il periodo 1.7.1998 – 30.9.1998 per “ferie”; il terzo per il periodo 23.11.1998 – 30.1.1999 con proroga al 31.3.1999, per “esigenze eccezionali”.

Il Tribunale rigettava la domanda con sentenza confermata dalla Corte d’appello di Roma.

La P. ricorre per Cassazione con sei motivi illustrati da successiva memoria. Le Poste italiane resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente, con riferimento al terzo contratto, in sostanza censura la impugnata sentenza nel punto in cui ha disatteso la tesi della nullita’ del termine apposto ai contratti stipulati, per “esigenze eccezionali” ex accordo 25.9.1997, dopo il 30.4.1998.

In particolare la ricorrente lamenta la violazione dei criteri ermeneutici nella interpretazione accolta dalla Corte d’appello circa la natura meramente ricognitiva degli accordi “attuativi” dell’accordo 25.9.1997, nonche’ motivazione insufficiente e contradditoria al riguardo. La censura e’ fondata. Con numerose sentenze questa Corte Suprema (cfr., ex plurimis, Cass. 23.8.2006 n. 18378), decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione…), dopo il 30 aprile 1998. Richiamato quanto precedentemente affermato circa la configurabilita’, in relazione alla L. n. 56 del 1987, art. 23 di una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati nell’individuazione di nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, e premesso altresi’ che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998, e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998, della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione, l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di personale straordinario con contratto tempo determinato. Da cio’ deriva che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo.

Questa Corte ha osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi attutivi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di un piu’ diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).

Inoltre e’ stato rilevato che tale interpretazione e’ rispettosa del canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando, ritenendo cioe’ che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, cosi definiti dalle parti sindacali, erano “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866).

Infine, questa Corte ha ritenuto corretta, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del soggetto si era gia’ perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione e’ comunque conforme alla regula iuris dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere, anche mediante Io strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29.7.2005 n. 15969, Cass. 21.3.2007 n. 6703) il primo motivo, riguardante il terzo contratto, con decorrenza 23.11.1998, va accolto, restando assorbita la censura relativa alla proroga del contratto stesso (contenuta nel sesto motivo), una volta riconosciuta la nullita’ del termine originario apposto al contratto stesso.

2. Con il secondo, terzo, e quarto motivo, si censura la sentenza impugnata sotto numerosi profili (quali la genericita’ della formula usata dalle parti collettive nella previsione della ipotesi di contratto a termine delle c.d. esigenze eccezionali introdotta dall’accordo 25.9.1997 e la sua non rispondenza alla fattispecie di cui alla L. n. 56 del 1987, art. 23; la non sottoscrizione da parte di tutte le OO.SS. firmatarie del c.c.n.l di detto accordo, modificativo dello stesso; la mancata allegazione e prova delle esigenze concrete e del nesso causale con la assunzione specifica).

Occorre richiamare la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte sulle questioni al riguardo rilevanti.

Sulla scia di Cass. S.U. 2.3.2006 n. 4588, e’ stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4.8.2008 n. 21063, v. anche Cass. 20.4.2006 n. 9245, Cass. 7.3.2005 n. 4862, Cass. 26.7.2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato”. (v., fra le altre, Cass. 4.8.2008 n. 21062, Cass. 23.8.2006 n. 18378).

La Corte ha ritenuto in palese violazione del suddetto principio di diritto le decisione di merito alla cui base sia in sostanza l’assunto secondo cui non sarebbe consentito autorizzare un datore di lavoro ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra contratti ed esigenze aziendali cui sono strumentali, e che si muovano quindi nella prospettiva che il legislatore non abbia conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui della L. n. 230 del 1962, art. 1 (cfr. Cass. n. 27155/2008).

Quanto alla questione della validita’ dell’accordo del 25.9.1997 per la sua mancata sottoscrizione da parte di una delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale da esso modificato, basta osservare che in effetti le parti in sostanza non hanno modificato tale contratto, ma introdotto una nuova causale di contratto termine nell’ambito dei poteri riconosciuti loro dalla legge in materia del 1987.

I motivi in esame devono quindi essere rigettati.

3. Con il quinto motivo la sentenza e’ censurata nella specifica parte relativa al mancato riconoscimento dell’illegittimita’ del termine apposto al secondo contratto, cioe’ quello concluso per “necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre”, in sostanza ribadendosi la tesi circa la illegittimita’ del termine, stante la mancata indicazione del nominativo del dipendente sostituito e la mancata allegazione e prova della specifica esigenza sostitutiva concreta.

Tale tesi, respinta dalla Corte di Appello, e’ stata piu’ volte disattesa da questa Corte in casi analoghi.

In particolare questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933 e Cass. n. 22920/2008), decidendo su una fattispecie sostanzialmente simile a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno – settembre) ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

La violazione di norme di diritto e’ stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie; tale statuizione del giudice di merito – si e’ osservato – si pone in contrasto col gia’ richiamato principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588) secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 che demanda alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare – oltre alle fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche, nonche’ dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge.

Inoltre altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678) hanno confermato la decisione di merito che, decidendo sulla stessa fattispecie, aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operativita’ fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Il motivo deve quindi essere rigettato.

4. Resta da esaminare il sesto motivo per la parte diretta a contestare la legittimita’ della proroga del primo contratto. Si lamenta che il giudice di appello sul punto abbia apoditticamente affermato che erano state provate tutte le ragioni dedotte in primo grado.

In effetti sul punto e’ assorbente, ad escludere la rilevanza e l’accoglibilita’ della censura, la circostanza che la proroga dei contratti a termine in scadenza 30.4.1998 era stata espressamente convenuta con l’accordo collettivo 27.4.1998, specificamente richiamato nello stesso ricorso.

5. In conclusione il ricorso, come si e’ visto, deve essere accolto nella sola parte in cui non e’ stata riconosciuta l’illegittimita’ del termine apposto al terzo contratto a termine inter partes, stipulato per un periodo decorrente dal 23.11.1999. La sentenza deve essere conseguentemente cassata e la causa deve essere rinviata per nuovo esame ad altro giudice (la stessa Corte in diversa composizione), che si atterra’ ai principi richiamati nell’esame del primo motivo.

La regolazione delle spese del giudizio di cassazione e’ rimessa al giudice di rinvio.

PQM

LA CORTE Accoglie il ricorso nei limiti di cui alla motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2010

 

 

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