Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5865 del 13/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5865 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 15919/2012 proposto da:
C.M.C. F.LLI CILLI S.N.C. IN LIQUIDAZIONE (P.I.: 03990141008), in persona del
liquidatore p.t., rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale a margine del ricorso,
dall’Avv. Augibto Colatei ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Graziano
De Giovanni, in Roma, v. Tacito, n. 23; – ricorrente —
contro
STANGEL ELZBIETA;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 1567 del 2012 della Corte di appello di Roma,
depositata il 22 marzo 2012 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2014
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 9 aprile 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << La sig.ra Stangel Elzbieta conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la società C. M. C. F.11i Cilli -e346. Data pubblicazione: 13/03/2014 S.n.c., chiedendone la condanna al pagamento della penale per il ritardo nell'esecuzione dei lavori, oggetto di contratto di appalto dalla stessa commissionato, e al risarcimento dei danni per la cattiva esecuzione degli stessi. Si costituiva la società convenuta, adducendo la decadenza dell'attrice dalla garanzia dei vizi lamentati e, comunque, eccependo che i lavori, non correttamente eseguiti, non erano società, ma ad altra impresa che aveva eseguito opere murarie. Con la sentenza emessa in primo grado si statuiva che l'attrice era decaduta dall'azione; veniva, peraltro, accolta la domanda risarcitoria riconducibile all'ostruzione del pozzetto della fogna, liquidando il danno nella misura di 1.770 euro, e quantificando la penale nella misura di lire 33 milioni. La società impugnava la detta sentenza. Si costituiva la Stangel chiedendo il rigetto dell'appello e svolgendo, altresì, appello incidentale in ordine alla dichiarata decadenza. Con sentenza n. 1576/2012, depositata il 22 marzo 2012 e non notificata, la Corte d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza impugnata, accoglieva, per quanto di ragione, sia l'appello principale, proposto dalla suddetta società, che quello incidentale proposto "ex adverso". Avverso detta sentenza, la Società C.M.C. ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 21 giugno 2012 e depositato il 9 luglio 2012, sulla base di due motivi. L'intimata non si è costituita in questa fase. Ritiene il relatore che, nel caso di specie, sembrano sussistere i presupposti per il rigetto del primo motivo del ricorso (stante la sua manifesta infondatezza) e per l'accoglimento del secondo (in relazione alla sua manifesta fondatezza), con la conseguente definizione del procedimento nelle forme camerali ex art. 380 bis c.p.c., avuto riguardo all'art. 375 n. 5 c. p. c. . 2 stati oggetto del contratto e che la tracimazione delle acque non era imputabile ad essa Con il primo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione degli artt. 343 c.p.c. e 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte territoriale disatteso l'eccezione di inammissibilità per l'intempestività dell'appello incidentale (peraltro, rilevabile anche d'ufficio). In particolare, la difesa della società ricorrente ha inteso sostenere che l'appello Corte, perché, pur proposto nella comparsa di costituzione e risposta, esso non era stato depositato nel termine di venti giorni prima dell'udienza di comparizione, secondo quanto prescritto dall'art. 343 c.p.c., così come nove/lato dalla riforma processuale di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353 e sul presupposto che quest'ultima fosse entrata in vigore — ai fini in questione— nel 1993, anno in cui si era radicata la litispendenza. Senonché, diversamente da quanto prospettato dalla ricorrente, la causa in discorso risulta instaurata con atto di citazione notificato il 22 novembre 1993 e, quindi, in data antecedente al 30 aprile 1995, ragion per cui, nella specie, si sarebbe dovuto applicare il previgente testo dell'art. 343 c.p.c. (mentre il nuovo si sarebbe dovuto riferire solo alle controversie introdotte successivamente alla suddetta data del 30 aprile 1995), il quale prevedeva che l'appello incidentale si potesse proporre nella prima comparsa o, in difetto di costituzione in cancelleria, nella prima udienza fissata per la celebrazione dell'appello (cfr., ad es., Cass. n. 3688 del 1995 e Cass. n. 8388 del 1998). Orbene, nello specifico, dall'esame degli atti processuali (consentito anche nella presente sede di legittimità, in virtù della natura processuale del vizio denunciato), è emerso che, a fronte della data di prima udienza del 29 settembre 2005, fissata nell'atto di citazione in appello (poi slittata, per ragioni di ufficio, al 3 ottobre 2005), l'appellata ebbe a costituirsi con comparsa di risposta (contenente l'appello incidentale) datata 30 settembre 2005, che — per quanto desumibile dallo stesso verbale di prima udienza (in relazione all'attestazione del suo difensore) — venne depositata nella stessa data di celebrazione della medesima 3 incidentale proposto dalla Stangel avrebbe dovuto essere giudicato inammissibile dalla (ove la Stangel formalizzò la sua costituzione) e, pertanto, nel rispetto del pre vigente art. 343 c.p.c. ( come precedentemente riportato), al quale, quindi, non si applicano i principi giurisprudenziali richiamati in ricorso e riferibili, invero, alla stessa disposizione normativa, ma nel testo successivamente novellato. Pertanto, legittimamente la Corte di appello capitolina ha ritenuto (ancorché solo stesso. Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt 91 e 92 c.p.c., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., per aver la Corte romana operato la condanna alle spese del grado, a totale carico del ricorrente, malgrado fosse stato accolto anche, pur se parzialmente, l'appello principale, con la conseguente configurazione, quanto meno, di una ipotesi di reciproca soccombenza (totale o, almeno, parziale), tale da legittimare una pronuncia di compensazione (in tutto od in parte) delle spese stesse. Questa doglianza appare, all'evidenza, manifestamente fondata. Infatti, con una motivazione del tutto apodittica ed illogica, la Corte di secondo grado ha ravvisato l'esclusiva soccombenza dell'appellante principale (avuto riguardo anche all'accoglimento dell'appello incidentale), omettendo di valutare che anche l'attuale società ricorrente si era vista accogliere — per quanto di ragione - il suo gravame, ragion per cui, nella specie, non sarebbe stato applicabile, in via esclusiva e diretta, il principio generale della soccombenza, dovendosi il suddetto giudice verificare la sussistenza dei presupposti per l'applicabilità del disposto di cui all'art. 92 c.p.c. . E tanto senza sottacere che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte (v., ad es., Cass. n. 15483 del 2008 e, da ultimo, Cass. n. 17523 del 2011), in materia di procedimento civile, il potere del giudice d'appello di procedere d'ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto 4 implicitamente) che l'appello incidentale fosse ammissibile, pronunciandosi sul merito dello ; il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all'esito complessivo della lite mentre, in caso di conferma della sentenza impugnata, la decisione sulle spese può essere dal giudice del gravame modificata soltanto se il relativo capo della sentenza abbia costituito oggetto di specifico motivo d'impugnazione. Invero, la soccombenza, ai fini della liquidazione delle spese, deve essere stabilita in base ad un criterio unitario e globale soccombente in un grado di giudizio e, invece, vincitrice in un altro grado. Peraltro, il criterio di individuazione della soccombenza deve essere unitario e globale anche qualora il giudice ritenga di giungere alla compensazione parziale delle spese di lite per reciproca parziale soccombenza, condannando poi per il residuo una delle due parti; in tal caso, l'unitarietà e la globalità del suddetto criterio comporta che, in relazione all'esito finale della lite, il giudice deve individuare quale sia la parte parzialmente soccombente e quella, per converso, parzialmente vincitrice, in favore della quale deve essere liquidata quella parte delle spese processuali che sia residuata all'esito della disposta compensazione parziale. In conclusione, si riconferma che, nel caso di specie, sembrano sussistere i requisiti per pervenire al rigetto del primo motivo del ricorso ed all'accoglimento del suo secondo motivo, con la conseguente definizione nelle forme camerali dell'art. 380 bis c.p.c., in relazione al disposto dell'art. 375 n. 5) c.p.c. ed a quello dell'art. 360 bis n. 1) c.p.c. >>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, limitatamente all’esame della prima censura, mentre ritiene che
sussistano (diversamente da quanto prospettato nella suddetta relazione) le condizioni per
pervenire anche al rigetto del secondo motivo del ricorso, dal momento che – in
considerazione della valutazione complessiva dell’esito del giudizio di appello — era venuta
a configurarsi la soccombenza effettiva assolutamente prevalente della società in questa
sede ricorrente (dal momento che, a fronte della statuizione principale di dichiarazione di
decadenza dall’azione intervenuta con la sentenza di primo grado nei riguardi della
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sicché viola il principio di cui all’art. 91 c.p.c. il giudice di merito che ritenga la parte come

committente, quest’ultima, a seguito dell’appello incidentale proposto, si era vista
riconoscere la fondatezza dell’azione risarcitoria originariamente proposta e della
domanda di condanna dell’appaltatrice al pagamento della penale — ancorché in misura
ridotta – per il ritardo nell’esecuzione dei lavori, nel mentre le ragioni dedotte
dall’appellante principale eraqtate accolte solo con riferimento ad aspetti marginali e di

dovuta a titolo di penale e l’insussistenza delle condizioni per il riconoscimento della
rivalutazione monetaria su quest’ultima somma);

considerato, quindi, che l’impugnata sentenza della Corte di appello di
Roma deve ritenersi corretta anche nella parte in cui ha posto le spese del giudizio di
appello a totale carico dell’appellante principale, sulla scorta del principio della
soccombenza (avuto riguardo anche all’accoglimento del formulato appello incidentale);

ritenuto che, in definitiva, occorre pervenire al rigetto integrale del ricorso,
non dovendosi disporre alcuna statuizione sulle spese della presente fase di legittimità,
non avendovi l’intimata svolto attività difensiva.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 21 febbraio 2014.

rilevanza economica di gran lunga inferiore, concernenti la rideterminazione della somma

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