Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5863 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 18/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5863

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo A. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26430/2017 proposto da:

Ministero dell’interno, domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12,

presso l’Avvocatura generale dello Stato, che lo rappresenta e

difende per legge;

– ricorrente –

contro

S.D.;

– intimato –

Avverso sentenza della Corte d’appello di Milano, depositata il

09/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/12/2019 dal cons. Dott. MAURO DI MARZIO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il Ministero dell’interno ricorre per un mezzo, nei confronti di S.D., contro la sentenza del 9 maggio 2017 con cui la Corte d’appello di Milano, provvedendo in parziale riforma di sentenza del locale Tribunale, ha riconosciuto al S.D. la protezione umanitaria, già negata dal primo giudice.

2. – S.D. non svolge difese.

3. – La causa è stata rinviata a nuovo ruolo, con ordinanza del 27 giugno 2019, per essere stata rimessa alle Sezioni Unite la questione, tra l’altro, dell’ambito di applicazione della protezione umanitaria riconosciuta in funzione dell’integrazione del richiedente in Italia.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorso contiene un unico motivo con cui è denunciata violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si censura la sentenza impugnata per aver fondato il riconoscimento della protezione umanitaria sul grado di integrazione del richiedente in Italia, in mancanza di un personalizzato raffronto con la situazione del paese di provenienza.

2. – Il ricorso è fondato.

Ha affermato la Corte territoriale che “i seri motivi di carattere umanitario afferiscono alla estrema vulnerabilità personale e sociale del sig. S.D., conseguente alla migrazione determinata già nel novembre del 2014, nonchè dal tempo trascorso in Europa che ha determinato il suo completo sradicamento familiare e sociale dal suo Paese d’origine. Rilevante è inoltre la circostanza che l’appellante è attualmente ospite in (OMISSIS) presso il centro di accoglienza, che ha svolto il corso di panificazione, documentato dall’attestato ricevuto, oltre ad altri corsi di formazione non ancora conclusi; ciò consente di esprimere un giudizio positivo circa il progressivo inserimento sociale dell’appellante sul territorio italiano”.

Tale ragionamento non è conforme a diritto.

Le Sezioni Unite di questa Corte con sentenza del 13 novembre 2019, n. 29460 hanno difatti stabilito che, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria “occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione di integrazione raggiunta nel paese di accoglienza”, sulla scia del principio secondo cui “non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari… considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza” (Cass. 28 giugno 2018, n. 17072), giacchè “la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria deve essere ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo” (Cass. 3 aprile 2019, n. 9304), il tutto in vista della verifica “se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo della dignità personale” (Cass. 23 febbraio 2018, n. 4455).

Viceversa, la Corte d’appello si è limitata a considerare l’integrazione del richiedente in Italia, facendo inoltre riferimento ad un elemento, quello dello sradicamento dal paese di provenienza, evidentemente privo di rilievo, giacchè coessenziale al fatto stesso dell’ingresso del richiedente in Italia, e del tutto irrilevante per i fini della verifica comparativa.

Si impone dunque la cassazione della sentenza con rinvio alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che si atterrà a quanto dianzi indicato e provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 18 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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