Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5862 del 13/03/2014
Civile Ord. Sez. 6 Num. 5862 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 11477/2012 proposto da:
NIERO GIORGIA ved. Ventricelli (C.F.: NRI GRG 38C68 F241D), rappresentata e difesa,
in virtù di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv.ti Natalino Manente e Ilaria
Romagnoli ed elettivamente domiciliata presso lo studio della seconda, in Roma, v. L.
Andronico, n. 24; – ricorrente —
contro
PAVEGGIO MAURIZIO (C.F.: PVG MRZ 50L14 L7360), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale a margine del controricorso, dagli Avv.ti Alvise Benvenuti e Franco
Garcea ed elettivamente domiciliato presso lo studio del secondo, in Roma, via S. Pellico,
– controricorrente –
n. 16;
per la cassazione della sentenza n. 2412 del 2011 della Corte di appello di Venezia,
depositata il 9 novembre 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2014
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
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Data pubblicazione: 13/03/2014
sentito l’Avv. Franco Garcea per il controricorrente;
Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 6 febbraio 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto notificato il 16.03.06, il sig. Paveggio Maurizio conveniva la sig.ra Niero Giorgia, dinanzi al Tribunale
di Venezia, chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 101.838,22 Ivo, sul presupposto che la stessa convenuta avesse perso il diritto di rinunciare
all'eredità.
Si costituiva la sig.ra Niero, chiedendo il rigetto della domanda, assumendo di aver
validamente rinunciato all'eredità del coniuge, e chiedendo la condanna dell'attore ex art.
96 c.p.c..
Il Tribunale respingeva la domanda, compensando le spese.
Avverso tale sentenza proponeva appello il Paveggio, con atto notificato il 14 gennaio
2009, chiedendo in riforma dell'impugnata decisione, l'accoglimento delle domande
proposte in primo grado.
Si costituiva l'appellata, invocando il rigetto dell'appello e, in via di appello incidentale, la
condanna dell'appellante alle spese del primo grado.
La Corte d'appello di Venezia, definitivamente pronunciando, in riforma dell'impugnata
sentenza, accoglieva l'appello, condannando la sig.ra Niero alla rifusione delle spese del
doppio grado.
Con ricorso per cassazione, notificato il 2 maggio 2012 e depositato il 18 maggio 2012, la
sig.ra Niero impugnava la decisione di secondo grado, deducendo tre motivi.
Si costituiva con controricorso l'intimato.
Ritiene il relatore che, nella fattispecie in esame, sembrano sussistere le condizioni per
procedere nelle forme camerali di cui all'ad. 380 bis c.p.c., potendosi ravvisare la 2 stabilita da una sentenza pronunciata contro il defunto marito della convenuta Ventricelli manifesta infondatezza del ricorso, con riferimento all'ipotesi enucleata dall'ad. 375 n. 5
c.p.c.
Con il primo motivo la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'ad.
342 c.p.c., nonché, in subordine, l'insufficiente motivazione su un punto decisivo.
Ha sostenuto, infatti, che, da un lato, il sig. Paveggio si era limitato a prospettare la mera all'onere della specificità richiesto dall'ad. 342 c.p.c.
Dall'altro lato, ha sottolineato come la Corte veneziana avesse affermato, in modo
solamente apodittico, che il possesso di un bene, almeno in parte ereditario, "onerava
l'appellata alla redazione dell'inventario nei termini di legge".
Tale doglianza appare, ad avviso del relatore, destituita di fondamento.
Infatti, fin dall'atto di appello notificato in data 14 gennaio 2009, la difesa del sig. Paveggio
aveva indicato, in modo preciso ed ampio, le motivazioni a fondamento dell'impugnazione
della sentenza di primo grado ( cfr. le pagg. 4 e ss. dell'atto di appello).
Parimenti priva di pregio è la seconda doglianza circa l'insufficiente motivazione su un
punto decisivo.
Dalla lettura della sentenza d'appello (cfr., in particolare le pagg. 4 e 5) si ricava l'applicazione dell'esatto principio per cui il possesso di un bene, almeno in parte
ereditario, onera alla redazione dell'inventario nei termini di legge, in tal senso emergendo
la chiarezza e l'esaustività della motivazione della Corte territoriale: la vedova Niero, al
momento della morte del marito aveva il possesso del 50% dell'autovettura e, dunque,
stante la relazione materiale con la res, avrebbe dovuto provvedere alla redazione
dell'inventario.
Con il secondo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 116 c.p.c. e 527
e 2697 c.c., nonché l'insufficiente motivazione su un punto decisivo, lamentando una
supposta carenza di prove in merito alla sottrazione e distruzione di beni ereditari da parte
3 incomprensibilità della motivazione del giudice di secondo grado, senza quindi assolvere della stessa, oltre che una valutazione da parte della Corte d'Appello di Venezia, delle
prove fornite dal sig. Paveggio, "censurabile".
Anche questa doglianza è, all'evidenza, infondata, in quanto fin dall'atto di citazione
introduttivo del primo grado di giudizio, sono state prodotte le documentazioni necessarie
ed idonee per provare siffatta sottrazione e distruzione di beni ereditari. processuali è rimessa al prudente apprezzamento del giudice di merito, è stata ritenuta,
con motivazione logica ed adeguata, idonea a provare pienamente quanto dedotto dal sig.
Paveggio.
Con il terzo ed ultimo motivo la ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione
dell'art. 485 c. c., sostenendo che l'indirizzo condiviso dalla Corte territoriale secondo cui
"una rinuncia all'eredità, non accompagnata dalla dismissione dei beni ereditari,
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frustprebbe gli scopi perseguiti dal legislatore" non sarebbe affatto "satisfattiva".
Anche tale motivo si palesa come infondato.
Infatti, la Corte veneta non ha aderito a nessun indirizzo dottrinale o giurisprudenziale, ma
ha solamente applicato in modo corretto il principio di cui all'art. 485 c.c.: ha, dapprima,
accertato che la ricorrente fosse nel possesso dei beni ereditari, senza aver redatto alcun
inventario nei termini di legge, e, poi, ha dichiarato la stessa "erede pura e semplice" del
defunto marito.
Si riconferma, in definitiva, che nel caso di specie, sembrano sussistere le condizioni per
la definizione del ricorso nelle forme del procedimento camerale di cui all'art. 380 bis
c.p.c., alla stregua della manifesta infondatezza di tutti i motivi di ricorso, in relazione
all'ipotesi enunciata dall'art. 375 n. 5 c.p.c.».
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, il difensore della ricorrente non ha
depositato alcuna memoria ex art. 380 bis, comma 2, c.p.c. (senza, oltretutto, trascurare la
4 Documentazione che, in virtù del principio in base al quale la valutazione delle risultanze circostanza che il secondo motivo presenta anche profili di inammissibilità per aver posto
riferimento a questioni che non si correlano all'impianto motivazionale della sentenza
impugnata);
ritenuto che, pertanto, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate nei legittimità dal D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù
dell'art. 41 dello stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente
giudizio, liquidate in complessivi euro 4.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre
accessori nella misura e sulle voci come per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 21 febbraio 2014. sensi di cui in dispositivo, sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di