Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5861 del 13/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5861 Anno 2014
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CARRATO ALDO

ORDINANZA
sul ricorso iscritto al N.R.G. 11006/2012 proposto da:
BARONE GIUSEPPA (C.F.: BRN GPP 43M68 F625V); DE FINA MARIA TERESA (C.F.:
DFN MTR 73S63 F625Z); DE FINA ANGELO (C.F.: DFN NGL 79P09 D390I); DE FINA
ROBERTO (C.F.: DFN RRT 68A21 F625H); DE FINA MARIO (C.F.: DFN MRA 65L01
F625H) e DE FINA MICHELANGELA (C.F.: DFN MHL 76T63 D390M), tutti rappresentati e
difesi, in virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Francesco Della Ventura e
domiciliati “ex lege” presso la Cancelleria della Corte di cassazione;
– ricorrenti—
contro
TORTORA MATTEO (C.F.: TRT MTT 46P22 H703Q), rappresentato e difeso, in virtù di
procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Francesco Saverio Del Forno ed
elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Michele Sandulli, in Roma, via XX
Settembre, n. 3; – controricorrente –

Data pubblicazione: 13/03/2014

per la cassazione della sentenza n. 742 del 2011 della Corte di appello di Salerno,
depositata il 21 giugno 2011 (e non notificata).
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 febbraio 2014
dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
lette le memorie depositate — ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. —

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 6 febbraio 2013, la
seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: << Con atto di citazione, notificato in data 21 marzo 1995, il sig. Tortora Matteo conveniva in giudizio l'architetto Pisano Giovanni, al quale aveva affidato la direzione dei lavori per la costruzione di un laboratorio artigianale e De Fina Carmine, con la cui impresa individuale aveva stipulato il relativo contratto di appalto, chiedendo che fosse accertato che la causa dei cedimenti strutturali del fabbricato, era da imputare alla negligenza ed imperizia di questi, con la condanna solidale dei medesimi al pagamento della somma di lire 450.000.000. Si costituivano Pisano Giovanni e l'impresa De Fina Carmine, contestando ogni avverso dedotto. Il Tribunale di Salerno con sentenza n. 1215/2006 condannava i convenuti al solidale pagamento, in favore del committente delle opere, della complessiva somma di euro 177.405,20. Con citazione notificata in data 4 maggio 2007 Barone Giuseppa, De Fina Maria Teresa, De Fina Angelo, De Fina Roberto, De Fina Mario e De Fina Michelangelo, quali eredi di De Fina Carmine, proponevano appello. Si costituiva Tortora Matteo, che formulava, a sua volta, appello incidentale, perché fosse accertata e dichiarata l'esclusiva responsabilità degli appellanti, cui dovevano essere addebitate per l'intero le spese del doppio grado di giudizio e di quelle occorse per la consulenza tecnica. 2 nell'interesse di tutte le parti costituite; Si costituiva anche l'architetto Pisano il quale proponeva appello incidentale tardivo nei confronti sia del De Fina che del Tortora, deducendo l'infondatezza dei relativi gravami. Con successiva comparsa, il Tortora si costituiva, anche nei confronti dell'architetto Pisano, contestando le argomentazioni sollevate. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza n. 742/2011, depositata il 21 giugno 2011 e altresì, l'appello incidentale proposto da Pisano Giovanni; accoglieva, invece, l'appello incidentale formulato da Tortora Matteo, condannando le altre parti al solidale pagamento della somma di euro 177.405,20, nonché al pagamento delle spese di primo grado; condannava Giuseppa Barone, De Fina Maria Teresa, De Fina Angelo, De Fina Roberto, De Fina Mario e De Fina Michelangela, quali eredi di De Fina Carmine, e Pisano Giovanni al pagamento, in via solidale, delle spese processuali del grado. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per cassazione, notificato il 27 aprile 2012 e depositato il 14 maggio 2012, Barone Giuseppa, De Fina Maria Teresa, De Fina Angelo, De Fina Roberto, De Fina Mario, De Fina Michelangela, deducendo un unico motivo. Si costituiva con controricorso Tortora Matteo. Ritiene il relatore che, avuto riguardo all'art. 380-bis c.p.c., in relazione all'art. 375, n. 5), c.p.c., sembrano sussistere i presupposti per pervenire al possibile rigetto del ricorso, rilevandosi la sua manifesta infondatezza, donde la sua definibilità nelle forme del procedimento camerale. Con l'unico motivo formulato i ricorrenti hanno, invero, denunciato l'omessa ed insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, in relazione all'art. 1669 c. c. e all'art. 360 n. 5 c.p.c. Hanno dedotto, in particolare, l'omesso esame, da parte del giudice di secondo grado, della documentazione, pure allegata agli atti del giudizio, che aveva determinato, pertanto, un'insufficiente motivazione della sentenza impugnata. 3 non notificata, definitivamente pronunciando, rigettava l'appello principale; rigettava, Tale doglianza appare manifestamente infondata. Dalla sentenza gravata risulta, infatti, come la Corte territoriale abbia avuto un'adeguata considerazione dei documenti allegati dalla parte ricorrente. Ciò è evidente, in particolare, dalle pagg. da 16 a 19 della suddetta decisione, nelle quali la Corte salernitana ha operato una dettagliata ricostruzione della corrispondenza Ed è proprio dall'esame di tale corrispondenza che la Corte d'Appello ha tratto le valutazioni argomentative per la sua decisione finale, giungendo, però, a conclusioni opposte rispetto a quelle auspicate dai ricorrenti. Il giudizio operato dalla Corte territoriale è risultato, quindi, perfettamente logico e coerente, essendo il convincimento fondato sulle risultanze dell'istruttoria tecnica, che, peraltro, nessuna parte aveva mai posto in discussione, né nei gradi di merito, né nella presente fase di legittimità. Sulla base di tali documenti la Corte ha accertato, in modo del tutto univoco, che la condotto colposa dei ricorrenti era stata posta in essere già prima dell'inizio dei lavori, nonché durante le primissime fasi dell'esecuzione degli stessi. Inoltre, la Corte territorialmente ha sufficientemente spiegato come, al momento della redazione del progetto ed al momento della preventiva verifica dello stato del terreno, i medesimi avessero negligentemente ignorato le avvertenze e le prescrizioni contenute nel p.r.g. e nella relazione geologica; peraltro, all'atto degli scavi per la posa delle fondazioni, quando, cioè, sarebbero potuti intervenire con adeguate soluzioni tecniche, avevano, invece, colpevolmente ignorato i segni, sempre più evidenti, d'instabilità del suolo. É, dunque, stata ritenuta adeguatamente e logicamente sussistente la violazione dell'onere di diligenza in cui essi erano incorsi, confermata, anche, dall'orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte. Ed infatti, si è, in proposito, affermato che "nell'appalto sia pubblico che privato, rientra tra gli obblighi di diligenza dell'appaltatore, 4 intercorsa tra le parti, all'epoca dell'esecuzione dei lavori. senza necessità di una specifica pattuizione, esercitare il controllo della validità tecnica del progetto fornito dal committente, anche in relazione alle caratteristiche del suolo su cui l'opera deve sorgere, posto che dalla corretta progettazione, oltre che dall'esecuzione dell'opera, dipende il risultato promesso; pertanto la scoperta in corso d'opera di peculiarità geologiche del terreno tali da impedire l'esecuzione dei lavori, non può essere idrogeologiche del terreno sul quale l'opera deve essere realizzata e per pretendere una dilazione od indennizzo, essendo egli tenuto a sopportare i maggiori oneri derivanti dalla ulteriore durata dei lavori, mentre la sua responsabilità è esclusa solo se le condizioni geologiche non siano accertabili con l'ausilio di strumenti, conoscenze e procedure normali" (così Cass., n. 3932 del 2008 e, in precedenza, Cass. n. n. 11783 del 2000). Nello stesso senso si è anche ritenuto (cfr. Cass., n. 12995 del 2006) che, "trattandosi di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preesistenti o preparati dal committente o da terzi, l'appaltatore viola il dovere di diligenza stabilito dall'art. 1176 c.c. se non verifica, nei limiti delle comuni regole dell'arte, l'idoneità delle anzidette strutture a reggere l'ulteriore opera commessagli e ad assicurare la buona riuscita della medesima, ovvero se, accertata l'inidoneità di tali strutture, procede egualmente all'esecuzione dell'opera. Anche l'ipotesi della imprevedibilità di difficoltà di esecuzione dell'opera manifestatesi in corso d'opera derivanti da cause geologiche, idriche e simili, specificamente presa in considerazione in tema di appalto dall'ad. 1664, 20 co., c.c. e legittimante se del caso il diritto ad un equo compenso in ragione della maggiore onerosità della prestazione, deve essere valutata sulla base della diligenza media in relazione al tipo di attività esercitata. E laddove l'appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l'obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a 5 invocata dall'appaltatore per esimersi dall'obbligo di accertare le caratteristiche garantire la realizzazione dell'opera senza difetti costruttivi. La maggiore specificazione del contenuto dell'obbligazione non esclude infatti la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per quanto attiene agli aspetti dell'adempimento, sicché gli specifici criteri posti da particolari norme di settore ( es. il riferimento ai c. d. "coefficienti di sicurezza" previsti dalla L. 5 novembre 1971, n. 1086 ed il relativo regolamento di responsabilità dell'appaltatore ma sono per converso da intendersi nel senso che la relativa inosservanza viene a ridondare in termini di colpa grave dell'appaltatore)". Tale comportamento, idoneamente e logicamente motivato sulla scorta degli accertamenti di fatto espletati in relazione ai riscontri probatori complessivamente acquisiti, è stato considerato, dalla Corte territoriale, sufficiente per addebitare la piena responsabilità ai ricorrenti nella presente sede di legittimità. Si riconferma, in definitiva, che sembrano sussistere le condizioni, in ordine all'art. 380 bis c.p.c., per definire nelle forme camerali il proposto ricorso, rilevandosi la manifesta infondatezza dell'unico motivo formulato, in relazione all'ipotesi formulata dall'art. 375 n. 5 c.p.c.>>.
Considerato che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella
relazione di cui sopra, avverso la quale, peraltro, la memoria difensiva depositata – ai sensi
dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c. — nell’interesse dei ricorrenti non apporta nuove
argomentazioni sul piano giuridico che risultino idonee a confutare, in modo determinante,
il contenuto della relazione stessa;

ritenuto, in particolare, che, con gli argomenti complessivamente riportati nella
suddetta memoria finale, il difensore dei ricorrenti tende a sollecitare — ma
inammissibilmente nella presente sede di legittimità – una rivalutazione dei fatti e dei
documenti attinenti alla corrispondenza intercorsa tra le parti al fine di far emergere la
possibile riconducibilità della causa dei danni a circostanze preesistenti e non (anche) alla
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attuazione D.M. 16 giugno 1976 ) non solo non valgono a ridurre o limitare la

negligenza della ditta appaltatrice nell’esecuzione dei lavori, poiché, in ordine ad essi,
come già evidenziato nella relazione ex art. 380 bis c.p.c., la Corte salernitana ha adottato
una motivazione più che logica ed adeguata ai fini della giustificazione, sul piano giuridico,
della decisione emessa;

riconfermato, in questa sede, il consolidato principio secondo cui la deduzione

al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda
processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della
correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal
giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del
proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la
concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute
maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così,
liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi
tassativamente previsti dalla legge;

considerato che, nel caso di specie, il preteso vizio di motivazione va
escluso poiché, nel ragionamento della Corte di merito, non è rinvenibile il mancato (od
insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, né esiste un insanabile contrasto
tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione
del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione adottata;

rilevato

che, in definitiva, il ricorso deve essere rigettato, con

conseguente condanna dei ricorrenti (in via solidale) al pagamento, in favore del
controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate (in base al valore della
controversia ed alle complessive attività espletate nell’interesse del Tortora) nei sensi di cui
in dispositivo, sulla scorta dei nuovi parametri previsti per il giudizio di legittimità dal D.M.
Giustizia 20 luglio 2012, n. 140 (applicabile nel caso di specie in virtù dell’art. 41 dello
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di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce

stesso D.M.: cfr. Cass., S.U., n. 17405 del 2012), mentre non occorre adottare alcuna
statuizione in punto spese con riferimento al rapporto processuale instauratosi tra i
ricorrenti e l’altro intimato, non avendo quest’ultimo svolto attività difensiva nella presente
sede.
P.Q.M.

del contro ricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro
6.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori nella misura e sulle voci come per
legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI Sezione civile della Corte Suprema
di Cassazione, in data 21 febbraio 2014.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento, in favore

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