Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5859 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 03/03/2020), n.5859

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30941/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Udine, via Giusto

Muratti 64, presso lo studio dell’avv. Martino Benzoni che lo

rappresenta e difende per procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS), elettivamente domiciliato in Roma

Via Dei Portoghesi 12 Avvocatura Generale Dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato 11/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal consigliere Dott. Lina RUBINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.M., cittadino (OMISSIS), propone ricorso per Cassazione articolato in sei motivi e preceduto da due eccezioni di legittimità costituzionale nei confronti del decreto del Tribunale di Trieste – Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione Internazionale r.g. 271/2018 – in data 11 settembre 2018, con il quale veniva confermato il rigetto della propria domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine di protezione internazionale o in subordine di protezione sussidiaria presentata alla Commissione territoriale di Gorizia.

Il Ministero dell’Interno resiste con controricorso.

Il ricorrente assume che la sua famiglia aveva una scuola femminile, prima chiusa e poi occupata dai talebani, e che lui stesso era stato costretto a svolgere svariati lavori per i talebani e di esser fuggito dalla zona della (OMISSIS) e di aver prodotto il certificato di domicilio e l’atto di nascita.

Il Tribunale di Trieste, nella ricostruzione del ricorrente, non disponeva l’acquisizione delle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente al momento della formalizzazione della domanda di protezione, allegate al modello C3, e non approfondiva la situazione nella zona di provenienza del ricorrente.

Rigettava la domanda ritenendo la sua ricostruzione vaga, non suffragata da alcun riscontro e poco credibile, in particolare per la mancanza di documenti in originale da parte del richiedente. Affermava che il ricorrente aveva transitato per vari paesi Europei, senza attivarsi immediatamente a chiedere la protezione e riteneva non fosse concretamente accertabile neppure la zona del paese di effettiva provenienza del richiedente.

Rigettava anche la domanda, residuale, volta ad ottenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 5, comma 6, in mancanza di allegazioni specifiche, specificando che non rilevano di per sè sole, le buone prospettive di integrazione.

Il ricorso premette due questioni di legittimità costituzionale e reca sei motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso solleva anzitutto questioni di legittimità costituzionale del decreto L. n. 13 del 2017, poichè adottato in carenza dei requisiti di necessità ed urgenza, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 per aver previsto lo svolgimento nelle forme del rito camerale della fase giurisdizionale del procedimento volto al riconoscimento della protezione internazionale.

Il primo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, erronea e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8, censurando il decreto impugnato sull’assunto che l’amministrazione non avrebbe prodotto il documento contenente le dichiarazioni del ricorrente in ordine alle ragioni della domanda di protezione internazionale.

Il secondo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, erronea e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9, censurando il decreto impugnato poichè si sarebbe limitato all’acquisizione di informazioni presso fonti non identificate, mentre per le informazioni sulla situazione del paese – (OMISSIS), zona del (OMISSIS) avrebbe assunto come unica fonte di informazione il rapporto EASO 2017.

Il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, erronea e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 omessa valutazione della vicenda personale del richiedente la protezione, sostenendo che il Tribunale non avrebbe nemmeno esaminato con opportuna traduzione in lingua italiana i documenti comprovanti l’accusa di blasfemia sporta in danno del ricorrente.

Il quarto motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, erronea e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 e omessa valutazione della vicenda personale del richiedente la protezione, lamentando che il Tribunale avesse ritenuto non attendibile quanto riferito dal ricorrente a fondamento della propria domanda.

Il quinto motivo denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, erronea e falsa applicazione delle norme di diritto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. B. per aver il tribunale affermato apoditticamente che l’episodio denunciato fosse inquadrabile nella criminalità comune, senza effettuare alcuna attività istruttoria.

Il sesto motivo denuncia violazione ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 censurando il decreto impugnato per aver escluso che il ricorrente potesse essere considerato soggetto vulnerabile e come tale meritevole della protezione umanitaria.

Il collegio ha disposto la redazione del provvedimento in forma semplificata.

Il ricorso è inammissibile.

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente sono già state dichiarate da questa Corte non rilevanti e manifestamente infondate (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717, alla cui motivazione è sufficiente riportarsi): nè i termini della questione concernente l’applicabilità del rito camerale sono immutati dalle considerazioni svolte dal ricorrente in memoria illustrativa, ove si sostiene dovrebbe aversi riguardo “al richiedente la sola protezione statuale”, peraltro in base all’indimostrata premessa che ad essa detto rito non si applicherebbe.

Il primo motivo è inammissibile per la sua novità, concernendo una questione, quella del deposito del documento contenente le dichiarazioni del ricorrente in ordine alle ragioni della domanda di protezione internazionale, delle quali non v’è traccia nel provvedimento impugnato, sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675).

Il secondo motivo è inammissibile. Esso, difatti, non ha nulla a che vedere con il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma mira a ribaltare la valutazione di merito compiuta dal Tribunale, il quale, avvalendosi del rapporto EASO 2017, ha escluso che nella zona di provenienza del ricorrente fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato. Trova dunque applicazione il ribadito principio secondo cui dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi, violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

In ogni caso, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925).

Il terzo motivo, svolto come motivo cumulato, è inammissibile. Il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente, secondo cui la sua famiglia sarebbe stata privata della scuola di sua proprietà per l’intervento dei talebani, fosse priva di attendibilità, perchè priva di riscontri anche sulla effettiva identità del ricorrente, a ciò aggiungendo che il ricorrente aveva transitato per diversi paesi Europei prima di fermarsi in Italia e chiedere la protezione. Trattasi anche in questo caso di accertamento di merito sottratto al controllo di questa Corte: mentre non sussiste il denunciato vizio di violazione di legge, giacchè, ancora una volta, la censura non mette punto in discussione il significato e la portata applicativa della norma richiamata in rubrica, la censura di vizio motivazionale si colloca ben al di fuori dell’ambito di applicabilità del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 giacchè non si fonda sull’omessa considerazione di un fatto storico decisivo è controverso, ma pone in discussione la valutazione di merito operata dal Tribunale nel ritenere che il racconto del ricorrente fosse inattendibile e contraddittorio.

Il quarto motivo è inammissibile. Anche in questo caso si tratta di motivo cumulato di violazione di legge ed error in procedendo, e tuttavia non è dato comprendere quale sarebbe l’errore procedurale posto in essere dal giudice di merito. Quanto alla violazione di legge, valgono le considerazioni già svolte, giacchè la censura mira inammissibilmente a rimettere in discussione la valutazione del Tribunale in ordine all’inattendibilità del racconto del ricorrente.

Il quinto motivo è inammissibile per la sua totale genericità, svolgendo considerazioni di ordine generale che nulla hanno a che vedere con la specifica motivazione adottata dal Tribunale a fondamento del proprio decreto.

Il sesto motivo è inammissibile giacchè anch’esso volto a rimettere in discussione l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale nell’escludere la dimostrazione della sussistenza, in capo al ricorrente, di una propria individuale condizione di vulnerabilità.

Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso, in favore del controricorrente, delle spese sostenute per questo giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.100,00, oltre alle spese prenotate a debito, dichiarando, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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