Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5857 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 03/03/2020), n.5857

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20539/2018 proposto da:

E.E., elettivamente domiciliato in Ravenna, via Castel san

Pietro n. 13, presso lo studio dell’avv. Federica Moschini, PEC

federica.moschini.ordinedegliavvocatiravenna.eu, che lo rappresenta

e difende per procura speciale in calce al ricorso manca il

domiciliatario;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno Commissione Internazionale Riconoscimento

Protezione Gorizia;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositato l’11/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal consigliere Dott. Lina RUBINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

E.E., cittadino (OMISSIS), propone ricorso per cassazione articolato in due motivi nei confronti del decreto n. 1391/2018 del Tribunale di Trieste – Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione Internazionale – in data 11 maggio 2018, con il quale veniva confermato il rigetto della propria domanda di protezione umanitaria D.Lgs. n. 35 del 2008, ex art. 35.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Il ricorrente espone che la commissione territoriale di Gorizia respingeva la sua domanda di rinnovo della protezione umanitaria, in presenza di condanna penale ed in assenza di una situazione di pericolo attuale nel paese di provenienza. Assume di aver lasciato la Nigeria nel 2007 per ragioni politiche, di aver transitato per il Niger e poi la Libia, di essere in Italia dal 2011.

Dal decreto impugnato si apprende che il ricorrente godeva dal 2013 di un permesso di soggiorno in Italia per gravi motivi umanitari, rilasciato in relazione alla c.d. “(OMISSIS)”; si precisa che il Decreto n. 251 del 2007, artt. 10 e 16 precludono il riconoscimento dello status di rifugiato o anche la protezione sussidiaria qualora si sia commesso un grave reato, in Italia o all’estero; si ricostruisce la condotta tenuta dal ricorrente già in (OMISSIS), dove questi riconosceva di esser fuggito dopo aver bruciato la caserma della polizia perchè questa insieme ai membri del partito avversario avrebbe bruciato la casa del padre, e poi in Italia, dove veniva colpito da una condanna per spaccio di stupefacenti e si rendeva responsabile, nel 2015, di una rissa mentre si trovava, a causa della predetta condanna, detenuto in carcere. Sulla base di questi fatti, il tribunale reputava accertata l’inclinazione del ricorrente a scivolare verso condotte violente e rigettava l’istanza, escludendo anche l’esistenza di ragioni di vulnerabilità, legate al rientro in (OMISSIS), sulla base del rapporto EASO 2017, dal quale risultava che il sud ovest del paese, zona di provenienza del ricorrente, fosse la zona più sicura.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, commi 5 e 5 bis, e art. 4 nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 10 e 16.

Sostiene che il giudice di merito avrebbe desunto automaticamente, semplicemente dalla condanna penale riportata la pericolosità sociale dell’interessato, laddove la valutazione di pericolosità va operata caso per caso.

Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato, perchè teso a proporre una rivalutazione in fatto delle risultanze istruttorie: il tribunale ha esaminato tutti gli elementi relativi al ricorrente, alla sua condotta precedente all’abbandono del paese di provenienza ed a quella tenuta in Italia, ed ha effettuato una valutazione complessiva ed attuale della pericolosità sociale del soggetto, che esclude la concedibilità della misura della protezione sussidiaria.

Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 Cost., comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,17 e 20 del D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dell’art. 19, nonchè della Convenzione di Ginevra sulla protezione dei rifugiati, in quanto il giudice di merito, nel rigettare la sua richiesta di rinnovo della protezione umanitaria, non avrebbe ben applicato le norme indicate avendo sottovalutato che attualmente la (OMISSIS) registri persistenti gravi conflitti in varie regioni, considerando in particolare gli attentati compiuti da (OMISSIS), con episodi di violenza diffusi e milioni di cittadini sfollati.

Pone la questione se il giudice possa fermare la propria disamina al paese di nazionalità del richiedente la protezione internazionale, o allargare lo scrutinio a tutti i paesi attraverso i quali il richiedente è transitato e rischia di essere rimandato, e richiama il principio del non refoulement.

Il motivo è inammissibile, in quanto il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in conformità alla giurisprudenza della Corte (v. Cass. n. 31676/2018: “Nella domanda di protezione internazionale, l’allegazione da parte del richiedente che in un Paese di transito (nella specie la Libia) si consumi un’ampia violazione dei diritti umani, senza evidenziare quale connessione vi sia tra il transito attraverso quel Paese ed il contenuto della domanda, costituisce circostanza irrilevante ai fini della decisione, perchè l’indagine del rischio persecutorio o del danno grave in caso di rimpatrio va effettuata con riferimento al Paese di origine o alla dimora abituale ove si tratti di un apolide. Il paese di transito potrà tuttavia rilevare (dir. UE n. 115 del 2008, art. 3) nel caso di accordi comunitari o bilaterali di riammissione, o altra intesa, che prevedano il ritorno del richiedente in tale paese, e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento della stessa.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater e 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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