Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5856 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 10414/2009 proposto da:

M.A. (nato a (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA RICASOLI 7, presso l’avvocato MUGGIA STEFANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIOVANNINI MARZIA, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente

contro

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI APPELLO DI MILANO;

– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO depositato il

05/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA COLTRERA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il cittadino albanese M.A., con ricorso 15 novembre 2007 proposto innanzi al Tribunale per i minorenni di Milano, chiese di essere autorizzato ai sensi dell’art. 31 del T.U. sull’Immigrazione alla temporanea permanenza sul territorio nazionale anche in deroga alle altre norme del D.Lgs. n. 286 del 1998, nell’interesse dei figli minori S. e An., nati dal matrimonio celebrato il (OMISSIS) con My.Al., titolare di permesso di soggiorno ed in attesa della cittadinanza italiana a seguito di adozione da parte del sig. G.G., pronunciata con sentenza n. 15/2005 dal Tribunale di Busto Arsizio.

Il Tribunale adito respinse l’istanza con decreto 24 settembre 2008 che, impugnato dall’istante innanzi alla Corte d’appello di Milano, è stato confermato con decreto n. 1009 depositato il 5 febbraio 2009.

Avverso tale pronuncia M.A. ha proposto il presente ricorso per cassazione in base a due motivi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente col primo motivo, articolato in duplice profilo e corredato di conclusivo e pertinente quesito di diritto, deduce:

1.- violazione del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 31, e dell’art. 3 della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Sostiene a conforto che la circostanza che la presenza del genitore di un minore straniero è indispensabile, sia per l’attuazione di un processo positivo d’individuazione-separazione, sia per il sano sviluppo psico-fisico, concreta la condizione transeunte ed eccezionale che legittima la deroga agli ordinari principi in tema d’immigrazione;

2.- violazione dell’art. 115 c.p.c., per non aver la Corte territoriale preso in esame prova decisiva, rappresentata dalla relazione redatta dai servizi sociali del Comune di Gallarate su incarico del Tribunale per i minori, da cui era emerso che il suo allontanamento dalla famiglia comporterebbe “non solo destabilizzarla, ma riguardo ai figli, un vero e proprio depauperamento sentimentale che andrebbe necessariamente ad incidere sul loro futuro”, e che approfondiva nel resto le condizioni di disagio quanto meno del figlio S..

Col secondo motivo il ricorrente deduce vizio d’omessa ed illogica motivazione, deducendone la non attinenza alle ragioni sottostanti la domanda, fondata sulla rappresentata necessità di completare il faticoso percorso di riavvicinamento ai propri figli, da tempo avviato.

Il primo motivo è privo di fondamento.

La Corte territoriale ha respinto il reclamo proposto dall’odierno ricorrente in ragione dell’accertata insussistenza di una qualche situazione eccezionale e contingente relativa ai figli minori, tale da integrare il presupposto necessario della rivendicata autorizzazione al genitore, privo di permesso di soggiorno, alla permanenza in territorio italiano, che non può concretarsi nella condizione di mero disagio del minore, quale quella rappresentata come eccezionale nel ricorso, dipendente dall’incertezza relativa al completamento del ciclo scolastico, laddove il minore ha il diritto di seguire il genitore espulso nel luogo di destinazione.

Tale statuizione, sorretta da puntuale tessuto argomentativo e fondata sull’apprezzamento delle circostanze dedotte dal ricorrente a sostegno del reclamo, è immune da critica. Fonda infatti l’approdo conclusivo sull’interpretazione del disposto normativo del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, condotta nel solco dell’indirizzo esegetico ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, che ha ravvisato le esigenze di tutela del minore che si trovi nel territorio italiano che consentono al suo familiare la permanenza per un periodo di tempo determinato, solo se i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore concretino una situazione d’emergenza rappresentata come conseguenza della mancanza o dell’allontanamento improvviso, che il Tribunale per i minori accerti, anche attraverso c.t.u., essere eccezionale e temporanea, e ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, sia fisico che psichico, tanto da richiedere la presenza del genitore nel territorio dello Stato.

Tenendo ben presente l’inserimento della disposizione normativa nell’ambito delle norme contenute nel titolo 4^ del T.U. finalizzate all’unità familiare, suddetta ricostruzione della voluntas legis, necessariamente restrittiva in ragione della natura eccezionale del dettato normativo che prevede l’autorizzazione in discorso “anche in deroga alle altre disposizioni” della legge, subordina la necessità di garantire al minore che il suo ordinario processo educativo, formativo o scolastico si realizzi con l’assistenza del genitore che merita invece di essere allontanato dal territorio italiano al più generale interesse della tutela delle frontiere, che si esprime nelle esigenze di ordine pubblico che convalidano il decreto d’espulsione. In questo contesto sistematico, privilegia suddetta esigenza, dandovi concreta attuazione, solo se, apprezzata in relazione all’età ed alle condizioni del minore, assuma carattere di emergenza, non necessariamente correlata a condizioni di salute, e sia altresì contingente ed eccezionale, dunque non abbia tendenziale stabilità.

Appare invero evidente che la specifica previsione che l’ingresso o la permanenza del familiare possono essere autorizzati “per un periodo di tempo determinato” non è compatibile con la tutela di situazioni caratterizzate da essenziale normalità e tendenziale stabilità, in quanto collegate al normale processo educativo-formativo del minore.

Il diritto del minore a crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia del resto trova adeguata garanzia nel riconoscimento del diritto all’unità familiare, regolato dagli artt. 29 e 30, D.Lgs. cit., che lo tutelano attraverso l’istituto del ricongiungimento, il quale può essere invocato soltanto nell’ipotesi di regolare presenza in Italia del genitore o del minore, laddove, del resto, quest’ultimo, ai sensi dell’art. 19, comma 2, D.Lgs. cit., ha diritto di seguire il genitore espulso nel luogo di destinazione (cfr., ex plurimis, Cass. n. 11624/2001, n. 3991/2002, n. 9088/2002, n. 17194/2003; n. 4301/2004; n. 396/2006).

La tesi opposta, propugnata dal ricorrente, fondata sulla natura autonoma della disposizione contenuta nell’art. 31, consentirebbe lo stabile radicamento nel territorio italiano di siffatto nucleo e finirebbe col “legittimare l’inserimento di famiglie di stranieri strumentalizzando l’infanzia”.

Ad ulteriore conferma, i recenti arresti n.747/2007 e n. 10135/2007, postisi in continuità con la pronuncia delle Sezioni Unite n. 22216 del 2006, hanno escluso dal paradigma del disposto normativo le esigenze di salvaguardia di una situazione di integrazione nel tessuto sociale che renda le condizioni di vita del minore consone alle esigenze evolutive proprie dell’età e migliori rispetto a quelle godute o godibili nel paese di origine o altrove, in quanto si ricollegano al normale processo educativo – formativo del minore stesso e sono perciò d’indeterminabile o lunghissima durata. Indi successiva sentenza n. 4197/2008 ha affermato la compatibilità di tale interpretazione con l’art. 3 della Convenzione di New York 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo, ratificata con L. 27 maggio 1991, n. 176, e richiamata dallo stesso D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 28, in tema di diritto all’unità familiare, che attribuisce efficacia preminente all’interesse superiore del fanciullo, chiarendo che le esigenze di legalità sottese all’espulsione non sono recessive rispetto al suddetto interesse, atteso peraltro che la convenzione rappresenta norma d’indirizzo generale che non ha portata nè generale nè illimitata. La conclusione, nonostante il richiamo nel testo normativo al diritto all’unità familiare protetto dalla convenzione, in uno sforzo di equo bilanciamento tra le esigenze rappresentate dal legislatore, ha valorizzato il criterio interpretativo sistematico attribuendo prevalenza al diritto all’unità familiare, rubricato nello stesso art. 31 “a favore del minore”, rispetto al generale interesse alla legalità solo nei casi che secondo corretta esegesi, condotta alla stregua della stessa lettera della norma, possono giustificare la prevista, e per sua stessa natura eccezionale “deroga”.

Il bilanciamento dell’interesse dello straniero alla permanenza nel territorio dello Stato con altri valori dotati di tutela costituzionale nel senso più rigoroso innanzi prospettato trova ulteriore conferma nel disposto dell’art. 28, lett. C), del regolamento di attuazione del T.U. (D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394), che in relazione al divieto di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita (art. 19, comma 2, lett. D), del T.U.) prevede il rilascio del permesso di soggiorno “per cure mediche�, per il tempo attestato mediante idonea certificazione sanitaria”.

E’ noto a questo collegio che a diversa soluzione è pervenuta questa Corte con la sentenza n. 22080 del 2009, che ha ritenuto ipotizzabile la grave compromissione del diritto del minore ad un percorso di crescita armonico e compiuto derivante dall’allontanamento di un genitore.

L’arresto, isolato nel complessivo panorama giurisprudenziale, si pone in contrasto inconsapevole con il consolidato indirizzo esegetico riferito in quanto non coltiva, nel suo articolato tessuto argomentativo, alcun argomento critico che lo smentisca o ne confuti la correttezza in chiave esegetica. Improntata all’esigenza di tutela del superiore interesse del fanciullo, inquadrata nel complessivo contesto di protezione sia costituzionale che convenzionale internazionale, la decisione affronta la tematica dell’istituto in questa segmentata prospettiva, offrendone una lettura apparentemente estensiva ma in realtà riduttiva, in quanto orientata alla sola salvaguardia delle esigenze del minore, omettendone l’inquadramento sistematico nel complessivo impianto normativo, alla cui voluntas, rimasta inesplorata, non risulta attribuita alcuna rilevanza ermeneutica benchè, ai sensi dell’art. 12 preleggi, l’intenzione del legislatore funga da criterio comprimario nella ricostruzione della mens legis.

Analogamente, l’ordinanza di questa Corte n. 823/2010, emessa ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., che richiama il precedente sopra indicato, asserendo che l’allontanamento di un genitore o l’impossibilità anche solo di vederlo costituisce un sicuro danno che può porre in pericolo il suo sviluppo psico-fisco, non ripercorre, tanto meno confuta espressamente l’esegesi consolidata, cui la relazione del relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c., aveva fatto riferimento. Non si ritiene pertanto di trarre da tale ultimissima giurisprudenza alcun argomento che, nonostante il contrasto col pregresso consolidato orientamento, induca ad una sua rivisitazione o alla rimessione alle Sezioni Unite.

Muovendo da esatti presupposti, la Corte territoriale col decreto impugnato ha concluso nel senso che l’art. 31 del Testo Unico non può essere diretto a salvaguardare la normale situazione di convivenza dei minori con il proprio genitore, essendo invece esso correlato esclusivamente alla sussistenza di situazioni particolari, le quali non possono assumere carattere di normalità e stabilità collegate al ciclo scolastico. Può aggiungersi che il fatto che essi si siano inseriti con profitto nella scuola e che ivi abbiano intrecciato stabili amicizie non è circostanza eccezionale nè transeunte, poichè la scolarizzazione dei minori medesimi fino al compimento dell’istruzione obbligatoria rappresenta un’esigenza ordinaria, collegata al loro normale processo educativo – formativo.

Appare, quindi, palese come la Corte territoriale abbia fatto corretta applicazione dei principi sopra enunciati.

L’esigenza rappresentata dal ricorrente e ribadita anche nel presente ricorso si correla a situazione normale, siccome relativa alle comuni necessità evolutive proprie dell’età, destinata a durare non già per un tempo determinato ma almeno sino alla maggiore età dei suoi figli.

Il secondo motivo è inammissibile in quanto non espone quesito che, sia pur omettendo rigidità formali, concretizzi in un’esposizione chiara e sintetica il fatto controverso, in relazione al quale si assume la sussistenza del vizio di motivazione, ed illustri il successivo momento di sintesi attraverso cui poter cogliere la fondatezza della censura (Cass. S.U. n. 16528/2008, Cass. 4556/2009).

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Nulla è a pronunciare circa la sorte delle spese del giudizio di cassazione. La parte pubblica, in questa sede, non ha svolto attività difensiva alcuna, nè comunque sarebbe destinataria di una pronunzia attributiva della refusione delle spese.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Dispone di ufficio che, a cura della Cancelleria, sia apposta su questa sentenza l’annotazione, di cui al D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, commi 1 e 6, con il divieto di riportare le generalità del ricorrente, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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