Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5856 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. III, 03/03/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 03/03/2021), n.5856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 33358/2019 proposto da:

K.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G. MAZZINI, 6,

presso lo studio dell’avvocato MANUELA AGNITELLI, che lo rappresenta

e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2131/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. – Con ricorso affidato a tre motivi, K.S., cittadino del (OMISSIS), ha impugnato la sentenza della Corte di Appello di Roma, resa pubblica il 29 marzo 2019, che ne rigettava il gravame avverso la decisione di primo grado del Tribunale della medesima Città, che, a sua volta, ne aveva respinto l’opposizione avverso il diniego della competente Commissione territoriale del riconoscimento, in via gradata, dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria.

2. – La Corte territoriale, per quanto in questa sede ancora rileva, osservava che: a) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato, giacchè la vicenda narrata (esser fuggito dal Paese di origine per esser stato ingiustamente accusato di far parte di una banda di ladri-assassini che aveva ucciso il proprietario di un negozio per derubarlo, poi liberato dietro intervento di avvocato che lo aveva consigliato di lasciare il Gambia perchè l’accusa “era molto pesante”) era contraddittoria e poco credibile, essendo stati arrestati tutti e cinque gli assassini del commerciante di alimentari, mentre il richiedente aveva dichiarato che l’accusa si fondava sul fatto che presso la sua abitazione erano stati rinvenuti “alcuni tessuti che facevano parte della refurtiva”, là dove, inoltre, non risultavano elementi riconducibili a persecuzione religiosa; b) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto dal rapporto di Amnesty International 2017/2018, risultava mutata in Gambia la situazione politica con la fine della dittatura ultraventennale del Presidente J., “mentre alcune violazioni di diritti umani vengono registrate solo in relazione a specifiche categorie (oppositori politici, giornalisti, omosessuali) fra le quali non rientra sicuramente” il richiedente, nè risultava in atto un conflitto armato interno o una situazione di violenza generalizzata; c) non sussistevano i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria, in quanto non risultava “provato un adeguato percorso di integrazione sociale, non essendo a tal fine sufficiente la frequentazione ad un corso di lingua italiana nè la partecipazione ad un corso di restauro”.

3. – L’intimato Ministero dell’interno non ha svolto attività difensiva, depositando unicamente “atto di costituzione” al fine di eventuale partecipazione ad udienza di discussione.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Con il primo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 11 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per aver la Corte territoriale, con motivazione apparente, mancato di spiegare, in relazione alla domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, “le ragioni per le quali il racconto” di esso richiedente era “non credibile e vago, limitandosi a far leva su opinioni soggettivistiche e non oggettive”.

1.1. – Il motivo è inammissibile.

In tema di protezione internazionale, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, impone al giudice l’obbligo, prima di pronunciare il proprio giudizio sulla sussistenza dei presupposti per la concessione della richiesta protezione, di compiere le valutazioni ivi elencate e, in particolare, di stabilire se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, in forza di un prudente apprezzamento che, in quanto tale, non è sindacabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vigente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 6897/2020, cfr. anche Cass. n. 27503/2018 e Cass. n. 21142/2019), ossia di omesso esame di fatto decisivo e discusso tra le parti (Cass., S.U., n. 8053/2014).

La Corte territoriale, nell’apprezzamento della credibilità del racconto del richiedente, si è attenuta al principio di procedimentalizzazione legale della decisione avendo operato la propria valutazione (cfr. sintesi nel “Rilevato che”) alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, prendendo in considerazione – con delibazione non già atomistica, ma complessiva – tutte le circostanze dedotte in giudizio, mentre le censure mosse con il ricorso (che non mettono in rilievo ulteriori e decisivi elementi di fatto la cui valutazione sarebbe stata pretermessa dal giudice di secondo grado) sono orientate piuttosto a criticare l’apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, che, come detto, è quaestio facti, censurata (in modo inammissibile) alla luce del paradigma di cui al previgente art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in guisa di vizio motivazionale e non di omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti.

2. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e art. 14, lett. c), per aver la Corte territoriale escluso il riconoscimento della protezione sussidiaria sulla base di “un giudizio prognostico futuro e incerto e non sullo stato effettivo ed attuale del Paese di origine”.

2.1. – Il motivo è infondato.

Ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), non rilevano le vicissitudini personali del richiedente asilo, in quanto il rischio di danno grave, cui si riferisce la norma, è esclusivamente quello che deriva dalla violenza indiscriminata nella situazione di conflitto armato in corso nello Stato di provenienza (Cass. n. 14350/2020), per tale dovendosi intendere – in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12) – la situazione in cui gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria; il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 18306/2019). Ai fini dell’accertamento della fondatezza di una domanda proposta ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), una volta che il richiedente abbia allegato i fatti costitutivi del diritto, il giudice del merito è tenuto, ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, a cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul Paese di origine del richiedente; perchè tale onere possa dirsi adempiuto, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. n. 11312/2019; Cass. 20689/2020).

La Corte territoriale, seppur con motivazione sintetica, ha dato atto – in base a COI del 2017 e 2018, fonte Amnesty International del quadro socio-politico in Gambia e dell’assenza in atto di conflitto armato interno o di una situazione di violenza generalizzata.

Il ricorrente ha soltanto genericamente contestato la motivazione anzidetta, allegando stralci decontestualizzati del report di Amnesty International del 2018, dai quali, peraltro, non si evincono elementi che contraddicano specificamente l’accertamento del giudice di merito in relazione ai presupposti specifici del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c).

3. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, nonchè del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 4, per aver la Corte territoriale escluso il riconoscimento della protezione umanitaria senza affatto valutare la situazione di deprivazione dei diritti umani in caso di rimpatrio di esso richiedente.

3.1. – Il motivo – che nella sostanza deduce una “motivazione apparente” in punto di esame della richiesta di protezione umanitaria – è fondato.

In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato (Cass., S.U., n. 29459/2019). A tal riguardo, il giudice di merito, nel procedere alla tale comparazione, non potrà riconoscere al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base dell’isolata e astratta considerazione del suo livello di integrazione in Italia, ma dovrà coniugare, quella considerazione, con l’esame del modo in cui l’eventuale rimpatrio (e dunque il contesto di generale compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza) verrebbe a incidere sulla vicenda personale dell’interessato, avuto riguardo alla sua storia di vita e al grado di sviluppo della sua personalità.

Nella specie, la Corte territoriale (cfr. sintesi al “Rilevato che” e p. 3 sentenza impugnata) ha totalmente trascurato di approfondire e circostanziare gli aspetti dell’indispensabile valutazione comparativa tra la situazione personale attuale del richiedente sul territorio italiano, e la condizione cui lo stesso verrebbe lasciato in caso di rimpatrio, al fine di attestare (anche attraverso l’individuazione delle specifiche fonti informative suscettibili di asseverare le conclusioni assunte) che il ritorno del richiedente nel proprio paese non valga piuttosto a esporlo al rischio di un abbandono a condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo dei diritti della persona; e tanto, indipendentemente dalla circostanza che tale rischio possa farsi risalire (o meno) a fattori di natura economica, politica, sociale, culturale, etc. (Cass. n. 20335/2020, citata). La motivazione adottata dal giudice di appello – che si limita a richiamare l’assenza di prova su un adeguato percorso di integrazione sociale – si palesa, dunque, meramente apparente e tale, quindi, da non integrare il c.d. “minimo costituzionale” (Cass., S.U., n. 8053/2014).

4. – Va, dunque, dichiarato inammissibile il primo motivo, rigettato il secondo e accolto il terzo motivo, con conseguente cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo e accoglie il terzo motivo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

 

 

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