Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5856 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 20/11/2019, dep. 03/03/2020), n.5856

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina A. R. – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18495/2018 proposto da:

M.K., elettivamente domiciliato in Trieste, via San

Francesco 29, presso lo studio dell’avv. Francesca Castelletti, PEC

francesca.castelletti.pectriesteavvocati.it, che lo rappresenta e

difende per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di TRIESTE, depositata il

10/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/11/2019 dal consigliere Dott. Lina RUBINO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.K., cittadino (OMISSIS), propone ricorso per Cassazione articolato in cinque motivi e preceduto da questioni di legittimità costituzionale nei confronti del decreto n. 1437/2018 del Tribunale di Trieste – Sezione specializzata in materia di immigrazione e protezione Internazionale – in data 21 maggio 2018, con il quale veniva confermato il rigetto della propria domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, in subordine di protezione internazionale o in subordine di protezione sussidiaria presentata alla Commissione territoriale di Gorizia.

Espone che: la c.t. di Gorizia respingeva la sua domanda di protezione internazionale, revocando al contempo il permesso di soggiorno.

Richiedeva il riconoscimento dello status di rifugiato e in via gradata le altre forme di protezione minori (protezione sussidiaria o permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5). Assumeva che il fratello si fosse innamorato di una ragazza, osteggiato dalla famiglia di lei, e che veniva accusato di rapimento, che sia lui che il padre venivano interrogati in relazione al rapimento, di essere stato picchiato e sottoposto a punture volte alla castrazione chimica, di essere fuggito insieme al fratello attraverso l’Iran e poi la Turchia;

che il Tribunale di Trieste non avesse acquisito il verbale delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente alla Commissione territoriale nè il documento (certificato scolastico) prodotto in quella sede, nè avesse acquisito adeguate informazioni sulla situazione socio politico economica del paese di provenienza.

Il Tribunale di Trieste nel provvedimento impugnato rilevava in primo luogo che l’esposizione dei fatti offerta dal richiedente non risultava credibile e che la sua stessa identità non fosse documentata, pur avendone il ricorrente avuto la possibilità, e che mancassero elementi concreti da cui inferire un pericolo di persecuzione per motivi di razza religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica idonei a legittimare la concessione dello stato di rifugiato.

In ordine alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, riteneva che non sussistessero fondati motivi per ritenere che, ove tornasse al paese d’origine, subisse un grave pericolo di subire un grave danno.

Escludeva la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria. In particolare, escludeva la sussistenza di una situazione di pericolosità diffusa nella regione del (OMISSIS).

Riteneva che il richiedente non avesse adeguatamente spiegato perchè a fronte delle minacce ricevute dalla famiglia della ragazza non si fosse rivolto alle autorità di polizia locali per avere protezione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale del D.L. n. 13 del 2017, in particolare degli artt. 3, 4 e 6 ed 8 e 10, e di conseguenza delle norme di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 14,35 e 35 bis in relazione all’art. 77 Cost., comma 2 sostenendo che non vi fossero gli estremi per la decretazione di urgenza.

2. Il ricorrente denuncia inoltre l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis in relazione agli artt. 3,24,111 Cost., art. 6 ceduart. 117 Cost. e per contrarietà alle direttive 2005/85/CE e 2013/32/UE, perchè le nuove norme prevedono le forme del procedimento camerale ex art. 737 c.p.c., diverso dai riti generali previsti dal D.Lgs. n. 150 del 2011, e senza appello, laddove per la sola protezione umanitaria D.L. n. 286 del 1998, ex art. 5 permane la garanzia del doppio grado.

3. Il ricorrente deduce poi un terzo profilo di possibile incostituzionalità, ovvero la contrarietà del disposto del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 17, agli artt. 3 e 24 Cost. laddove prevede che il tribunale in caso di rigetto incondizionato della domanda di protezione internazionale del richiedente che sia stato preventivamente ammesso al patrocinio a spese dello Stato debba sempre indicare le ragioni per le quali non ritiene le pretese del richiedente manifestamente infondate ai sensi dell’art. 74, comma 2 predetto decreto, in quanto dalla norma discenderebbe la costante ed automatica revoca del beneficio di ammissione al gratuito patrocinio in ogni caso di rigetto delle domande, dovendosi esse ritenere per ciò solo manifestamente infondate.

Le prime due questioni di legittimità costituzionale sollevate dal ricorrente sono già state dichiarate da questa Corte non rilevanti e manifestamente infondate (Cass. 5 luglio 2018, n. 17717, alla cui motivazione è sufficiente riportarsi).

Anche il terzo possibile profilo di incostituzionalità denunciato è già stato esaminato da questa Corte in altra causa, e ritenuto manifestamente infondato, oltre che non adeguatamente argomentato in ordine alla rilevanza, come anche in questo caso, con pronuncia n. 24109 del 2019, il cui principio di diritto così recita: “E’ manifestamente infondata, in riferimento all’art. 24 Cost., la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35-bis, comma 17, nella versione attualmente vigente, atteso che l’ordinamento assicura ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, ma non in relazione a domande manifestamente infondate, sicchè deve ritenersi pienamente compatibile, sul piano costituzionale, la previsione della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a fronte della manifesta infondatezza delle domande, spettando al giudice di merito che procede, del tutto ragionevolmente, stabilire se la manifesta infondatezza vi sia oppure no”.

Con i motivi il ricorrente deduce:

1. La erronea o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8 per non aver la Commissione territoriale prodotto il verbale delle dichiarazioni rese dal ricorrente di cui al modello Ce la “storia personale allegata”, pur avendolo il ricorrente richiesto col ricorso introduttivo, in violazione dell’obbligo di collaborazione istruttoria. Tale mancata produzione ha inciso sul rigetto della domanda, avendo ritenuto il tribunale che non vi fosse prova del rapporto di parentela tra il richiedente e il sedicente fratello.

Secondo i criteri ordinari il motivo sarebbe inammissibile per difetto di autosufficienza perchè non indica con precisione il punto in cui ha chiesto la produzione della documentazione.

2.Con il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 9 per non aver il tribunale acquisito le informazioni più aggiornate sul paese d’origine del ricorrente (COI), ma soltanto il rapporto EASO sul (OMISSIS) aggiornato al 2017.

3.Con il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 avendo il giudice di merito espresso una valutazione meramente soggettiva sulla credibilità, in violazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria.

4. Con il quarto motivo deduce la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 14 laddove il tribunale non ha ritenuto sufficiente alla identificazione del ricorrente e alla ricostruzione della sua storia personale i certificati scolastici prodotti (dai quali si desumerebbe la parziale coincidenza del suo cognome con quello del fratello, figlio dello stesso padre) ed ha affermato che non vi fosse certezza sulla identità del ricorrente.

5.Con il quinto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 8 e 9 sulla pratica dei matrimoni forzati e delle jrga. Sostiene che il tribunale non avrebbe tenuto in conto il rapporto Easo 2015, in cui si dà atto della attuale diffusione delle jrga, e del fatto che anche nella regione del (OMISSIS) siano attivi gruppi terroristici e comunque ci sia un elevato livello di violenza generalizzato.

Il primo motivo è inammissibile per la sua novità, concernendo una questione, quella del deposito del documento contenente le dichiarazioni del ricorrente in ordine alle ragioni della domanda di protezione internazionale, delle quali non v’è traccia nel provvedimento impugnato, sicchè trova applicazione il principio secondo cui, qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). Il secondo motivo è inammissibile. Esso, difatti, non ha nulla a che vedere con il significato e la portata applicativa delle norme richiamate in rubrica, ma mira a ribaltare la valutazione di merito compiuta dal Tribunale, il quale ha escluso che fosse individuabile la zona di provenienza del ricorrente e pertanto che in essa fosse in atto una situazione di violenza indiscriminata e di conflitto armato. Trova dunque applicazione il ribadito principio secondo cui dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta nettamente distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi, violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26110; Cass. 4 aprile 2013, n. 8315; Cass. 16 luglio 2010, n. 16698; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass., Sez. Un., 5 maggio 2006, n. 10313).

In ogni caso, in materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925).

Il terzo motivo, svolto come motivo cumulato, è inammissibile. Il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente, secondo cui sarebbe fuggito in quanto obbligato al confezionamento di un centinaio di giubbotti esplosivi ad opera dei (OMISSIS), fosse totalmente priva della benchè minima attendibilità rimanendo incerta la stessa provenienza del ricorrente da una zona a rischio terrorismo.

Trattasi anche in questo caso di accertamento di merito sottratto al controllo di questa Corte: mentre non sussiste il denunciato vizio di violazione di legge, giacchè, ancora una volta, la censura non mette punto in discussione il significato e la portata applicativa della norma richiamata in rubrica, la censura di vizio motivazionale si colloca ben al di fuori dell’ambito di applicabilità del vigente art. 360 c.p.c., n. 5 giacchè non si fonda sull’omessa considerazione di un fatto storico decisivo e controverso, ma pone in discussione la valutazione di merito operata dal Tribunale nel ritenere che il racconto del ricorrente fosse inattendibile e contraddittorio.

Il quarto motivo è inammissibile. Anche in questo caso si tratta di motivo cumulato di violazione di legge ed error in procedendo, e tuttavia non è dato comprendere quale sarebbe l’errore procedurale posto in essere dal giudice di merito. Quanto alla violazione di legge, valgono le considerazioni già svolte, giacchè la censura mira inammissibilmente a rimettere in discussione la valutazione del Tribunale in ordine all’inattendibilità del racconto del ricorrente.

Anche il quinto motivo è inammissibile in quanto volto a rimettere in discussione la valutazione delle risultanze istruttorie operata dal tribunale. Oltretutto, il ricorrente si duole che non sia stato tenuto in considerazione un rapporto EASO meno aggiornato rispetto a quello tenuto in conto dal giudice di merito al fine di affermare che non sia in corso sul territorio una situazione di violenza indiscriminata.

Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, in difetto di attività difensiva da parte dell’intimato. Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 quater e 1 bis.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 20 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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