Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5855 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 11/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5855

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.R. (c.f. (OMISSIS)), R.M. (c.f.

(OMISSIS)), R.A. (c.f. (OMISSIS)),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PARIOLI 50, presso

l’avvocato PICONE GIUSEPPE, rappresentati e difesi dall’avvocato

CANDIANO ORLANDO MARIO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di BARI, depositato il

05/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

11/01/2 010 dal Consigliere Dott. RORDORF Renato;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS Pierfelice, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto emesso il 5 marzo 2007 la Corte d’appello di Bari condanno’ la Presidenza del Consiglio dei ministri a corrispondere ai sigg. C.R., M. ed R.A., eredi del sig. R.D., la somma di Euro 2.300,00, oltre agli interessi ed alle spese processuali, a titolo di equo indennizzo per l’eccessivo protrarsi di un giudizio promosso dinanzi al Tribunale amministrativo regionale della Puglia dal medesimo sig. R.D. e poi, dopo il suo decesso, ulteriormente coltivato dagli eredi.

Per la cassazione di tale decreto ricorrono i predetti sigg.ri C. e R., lamentando, in primo luogo, che erroneamente la corte territoriale abbia escluso il loro diritto all’indennizzo anche per il periodo intercorrente tra la morte del loro dante causa e la successiva costituzione in giudizio degli eredi, in secondo luogo che la somma loro spettante sia stata liquidata secondo parametri inferiori a quelli indicati per casi analoghi dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ed, infine, che si sia tenuto conto unicamente degli anni eccedenti il termine di ragionevole durata del giudizio anziche’ l’intero arco di tempo in cui questo si e’ protratto.

Nessuna difesa ha svolto in questa sede l’amministrazione intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorrenti, in primo luogo, lamentano la violazione dell’art. 115 c.p.c. e vizi di motivazione dell’impugnato decreto assumendo che, nel computare la durata del processo svoltosi dinanzi al giudice amministrativo al fine di accertare il diritto degli stessi ricorrenti all’equa riparazione, la corte d’appello abbia erroneamente espunto il periodo di tempo (tre anni e dieci mesi) compreso tra il decesso dell’attore originario e la costituzione in giudizio dei suoi eredi. L’errore, in particolare, sarebbe dipeso dall’aver ritenuto che il giudizio si fosse interrotto per la morte della parte e fosse stato poi riassunto dagli aventi diritto, laddove viceversa nessuna interruzione vi era stata e gli eredi si erano spontaneamente costituiti nella causa per farla proseguire senza soluzione di continuita’.

1.1. La doglianza appare inammissibile, per alcuni versi, ed infondata per altri.

Essa, infatti, presuppone che il giudice di merito abbia basato la propria decisione su un rilievo processuale cui l’impugnato decreto, viceversa, non da affatto importanza decisiva. La corte barese ha stimato che nessun indennizzo possa spettare agli eredi per il periodo compreso tra il decesso dell’attore e la costituzione dei suoi successori, del tutto indipendentemente dal fatto che il giudizio sia stato interrotto e poi riassunto, o che sia invece continuato senza interruzione con successiva spontanea costituzione in causa degli eredi.

La ragione della decisione non risiede, quindi, come mostrano di credere gli odierni ricorrenti, nell’esservi stato un formale provvedimento d’interruzione ed un successivo atto di riassunzione del giudizio, bensi’ nell’impossibilita’ di configurare, in relazione al protrarsi del periodo di cui s’e’ detto, un patimento riferibile sia alla parte originaria, ormai non piu’ in vita, sia agli eredi in proprio, fin quando essi non abbiano a propria volta assunto la qualifica di parte in causa.

Il principio cui la decisione e’ ispirata appare, peraltro, conforme al piu’ recente orientamento di questa Suprema corte, la quale ha si’ affermato che il diritto all’equa riparazione spetta anche agli eredi della parte che abbia introdotto il processo prima dell’entrata in vigore della L. n. 89 del 2001, dovendosi a tal fine tenere conto del periodo decorrente dalla data della domanda fino a quella del decesso dell’attore originario, ma ha altresi’ precisato che, in caso di mancata costituzione in giudizio dell’erede, a quel precedente periodo non puo’ essere cumulato il periodo di pendenza successivo al decesso, attesa la mancanza di una parte processuale attiva, danneggiata dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo (Cass. n. 16284 del 2009). Per la medesima ragione non e’ dunque configurabile alcun indennizzo, ne’ a titolo ereditario ne’ a titolo diretto, per il tempo compreso tra il decesso della parte originaria e l’ingresso in causa degli eredi.

1.2. Non senza osservare, d’altronde, che, ove pure si volesse attribuire invece un qualche rilievo all’essersi o meno attuato nel processo a quo un formale meccanismo processuale d’interruzione e successiva riassunzione della causa, l’errore nel quale si assume la corte d’appello sarebbe incorsa a tal riguardo, per come denunciato dai ricorrenti, si profilerebbe non quale un errore di diritto bensi’ quale un errore di percezione del suindicato fatto processuale. Si tratterebbe seminai cioe’, nell’ottica del giudizio di equa riparazione, di un vizio revocatorio, ma non certo di un vizio di legittimita’ denunciabile con ricorso per Cassazione.

1.3. Quanto, poi, al preteso vizio di motivazione del provvedimento impugnato, va subito osservato che non si rinviene nell’esposizione del motivo di ricorso alcuna specifica individuazione di una qualche lacuna o vizio motivazionale di detto provvedimento. Solo nella parte riservata all’enunciazione del quesito conclusivo i ricorrenti accennano al fatto controverso, in relazione al quale la motivazione e’ censurata, individuandolo nella scarsa importanza riconosciuta dal giudice di merito alla posta in gioco nel giudizio della cui durata si discute.

Ma non e’ spiegato perche’ la motivazione dell’impugnato decreto sia ritenuta insufficiente o contraddittoria sul punto, e tanto basta a rendere inammissibile la censura.

2. Il secondo motivo di ricorso, oltre a denunciare nuovamente vizi di motivazione dell’impugnato decreto, assume che esso avrebbe violato gli artt. 6, 41 e 53 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e la L. 24 marza 2001, n. 89, art. 2. Articolo, quest’ultimo, del quale i ricorrenti eccepiscono, inoltre, l’illegittimita’ costituzionale nella parte in cui non prevede che l’equa riparazione per l’eccessiva durata dei giudizi debba essere commisurata all’intero arco di tempo in cui il giudizio si e’ svolto.

Nemmeno tale motivo appare meritevole di accoglimento.

2.1. Va premesso che la corte d’appello ha accertato che il giudizio di cui si discute ebbe inizio col deposito dell’atto introduttivo nella cancelleria del tribunale amministrativo il 17 febbraio 1997 e si concluse con sentenza emessa il 13 marzo 2006: quindi dopo poco piu’ di nove anni. La stessa corte barese, richiamandosi ai noti principi enunciati a tal riguardo dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, ha stimato che la durata ragionevole del suindicato giudizio non avrebbe dovuto eccedere i tre anni; ha pero’ anche considerato, come gia’ detto, che non si debba aver riguardo al tempo intercorso tra la morte dell’attore e la costituzione nel processo degli eredi, pari a tre anni e dieci mesi. Ha concluso che il ritardo indennizzabile deve esser quantificato in circa tre anni (in realta’, sulla base dei dati appena ricordati, dovrebbe trattarsi di circa due anni e due mesi).

Su tali presupposti, la corte barese ha liquidato in favore dei ricorrenti l’importo complessivo di Euro 2.300,00, specificando che tale importo comprende Euro 750,00, loro spettanti iure proprio, e che lo scostamento dal parametro di Euro 1.000,00 per ogni anno di ritardo, suggerito dalla gia’ richiamata giurisprudenza europea, si giustifica per l’esiguita’ della posta in gioco nel giudizio di cui si tratta, nel quale si discuteva unicamente di differenze dovute per spese di viaggio in occasione di missioni.

Ora, i ricorrenti sostengono che tale liquidazione sarebbe illegittima proprio per essersi discostata dai suindicati parametri europei. Ma l’assunto e’ palesemente privo di fondamento:

innanzitutto perche’, a ben guardare, ove si consideri che, in base ai dati enunciati nello stesso impugnato decreto, l’eccesso di durata del giudizio e’ pari (non gia’ a tre anni, bensi’) a circa due anni e due mesi, appare chiaro come la liquidazione operata non sia inferiore al parametro di 1.000,00 Euro per ciascun anno di ritardo (ne’ lo e’ la liquidazione di Euro 750,00, attribuiti iure proprio agli eredi, essendosi il giudizio concluso meno di sei mesi dopo la loro costituzione); in secondo luogo perche’, in ogni caso, la stessa Corte europea riconosce la possibilita’ di discostarsi dai menzionati parametri anche e proprio in considerazione dell’eventuale modestia della posta in gioco nel giudizio di cui si discute, ed il giudice barese non ha mancato di motivare la propria decisione sotto tale profilo rendendo insindacabile in cassazione la valutazione di merito in tal senso espressa.

2.2. La dedotta eccezione di illegittimita’ costituzionale appare manifestamente priva di fondamento, come questa corte ha gia’ avuto modo di chiarire, escludendo che la L. 24 marza 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a), nella parte in cui stabilisce che, al fine dell’equa riparazione, rileva soltanto il danno riferibile al periodo eccedente il termine di ragionevole durata, contrasti con l’art. 117 Cost., comma 1, in riferimento alla compatibilita’ con gli impegni internazionali assunti dall’Italia mediante la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali. Infatti, qualora sia sostanzialmente osservato il parametro fissato dalla Corte europea ai fini della liquidazione dell’indennizzo, la modalita’ di calcolo imposta dalla norma nazionale non incide sulla complessiva attitudine della legislazione interna ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto in argomento, non comportando una riduzione dell’indennizzo in misura superiore a quella ritenuta ammissibile dal giudice europeo; diversamente opinando, poiche’ le norme della convenzione integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello subcostituzionale, dovrebbe valutarsi la conformita’ del criterio di computo desunto dalle norme convenzionali, che attribuisce rilievo all’intera durata del processo, rispetto al novellato art. 111 Cost., comma 2, in base al quale il processo ha un tempo di svolgimento o di durata ragionevole, potendo profilarsi, quindi, un contrasto dell’interpretazione delle norme della convenzione con altri diritti costituzionalmente tutelati (cosi’ Cass. n. 10415 del 2009).

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

Non essendosi l’amministrazione intimata difesa in questa sede, non v’e’ da provvedere sulle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso.

Cosi’ deciso in Roma, l’11 gennaio 2001.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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