Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5854 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 10/03/2010), n.5854

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.M. (c.f. (OMISSIS)), domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

03/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. DIDONE Antonio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- La Corte d’appello di Napoli – adita da P.M. al fine di conseguire l’equa riparazione per la lamentata irragionevole durata di un processo pendente dal 26.8.1998 dinanzi al TAR Campania (avente ad oggetto richiesta di riliquidazione TFR) – con il decreto impugnato ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare alla parte ricorrente la somma di Euro 2.500,00 a titolo di danno non patrimoniale nonche’ al rimborso delle spese processuali.

La Corte di merito, in particolare, ha accertato in tre anni il periodo di ragionevole durata del processo presupposto ed ha, per il ritardo di 5 anni, quantificato l’indennizzo in Euro 2.500,00 (Euro 500,00 per ogni anno di ritardo).

Per la cassazione di tale decreto P.M. ha proposto ricorso affidato a 14 motivi. La PDCM resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. – Con i primi sette motivi di ricorso parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge (L. n. 89 del 2001 e Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, come interpretata dalla Corte Europea) e relativo vizio di motivazione, lamentando, in estrema sintesi, che la Corte di appello:

a) non ha ritenuto direttamente applicabile la C.E.D.U., sia erroneamente applicando la normativa italiana in contrasto con la C.E.D.U., dimenticando che la L. 24 marza 2001, n. 89, costituisce diretta applicazione della C.E.D.U. — specie art. 6 -, sia disattendendo la giurisprudenza Europea e l’interpretazione, i parametri dalla stessa enunciati e la relativa elaborazione ermeneutica;

b) non si e’ attenuta ai parametri minimi sanciti dalla giurisprudenza di Strasburgo in tema di quantificazione dell’equo indennizzo (che non puo’ essere inferiore a Euro 1.000,00 — 1.500,00 per anno di procedura e non per anno di ritardo) e in tema di durata ragionevole del processo in materia assistenziale, che non deve superare i due anni per il primo grado e i due anni per il secondo grado;

c) non ha tenuto conto che, una volta accertata la irragionevole durata, deve essere riconosciuto l’equo indennizzo per tutta la durata del processo e non il solo periodo eccedente la ragionevole durata (cioe’ il solo ritardo) – ha liquidato il danno solo per la parte eccedente la durata ragionevole (ritardo) e non gia’ per l’intera durata del processo.

d) non ha tenuto conto del bonus dovuto in ipotesi di cause in materia assistenziale;

e) erroneamente ha tenuto conto della posta in gioco, riducendo l’indennizzo;

Con i restanti motivi parte ricorrente denuncia violazione di legge e vizio di motivazione e lamenta che il Giudice del merito:

f) non ha temuto conto in sede di liquidazione delle spese dei parametri Europei ai quali doveva adeguarsi;

g) non ha motivato la liquidazione delle spese;

h) ha erroneamente applicato la tariffa professionale, richiamando le voci relative ai procedimenti speciali anziche’ quelle relative al processo contenzioso.

3.- Osserva la Corte che il ricorso e’ fondato nei limiti infrascritti.

A piu’ riprese questa Corte ha affermato che della L. 24 marza 2001, n. 89, art. 2 espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole (v., da ultimo, Sez. 1^, n. 28266 del 2008). Invero, “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, deve aversi riguardo al solo periodo eccedente il termine ragionevole di durata e non all’intero periodo di durata del processo presupposto. Ne rileva il contrario orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, poiche’ il giudice nazionale e’ tenuto ad applicare le norme dello Stato e, quindi, il disposto della L. 24 marza 2001, n. 89, art. 2, comma 3, lett. a) della citata legge; non puo’, infatti, ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dei criteri di determinazione della riparazione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, attraverso una disapplicazione della norma nazionale, avendo la Corte costituzionale chiarito, con le sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, che la Convenzione Europea dei diritti degl’uomo non crea un ordinamento giuridico sopranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, essendo piuttosto configurabile come trattato internazionale multilaterale, da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l’incorporazione dell’ordinamento giuridico italiano in un sistema piu’ vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti, omisso medio, per tutte le autorita’ interne” (Sez. 1, Sentenza n. 14 del 03/01/2008 (Rv. 601232).

Relativamente alla misura dell’equa riparazione per il danno non patrimoniale, va osservato che, secondo la piu’ recente giurisprudenza della Corte di Strasburgo, qualora non emergano elementi concreti in grado di farne apprezzare la peculiare rilevanza, l’esigenza di garantire che la liquidazione sia satisfattiva di un danno e non indebitamente lucrativa, alla luce di quelle operate dal giudice nazionale nel caso di lesione di diritti diversi da quello in esame, impone di stabilirla, di regola, nell’importo non inferiore ad Euro 750,00, per anno di ritardo, in virtu’ degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n 16086 del 2009, i cui principi vanno qui confermati, con la precisazione che tale parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo aversi riguardo, per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00, per anno di ritardo, dato che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno. Nella concreta fattispecie, la Corte d’appello si e’ irragionevolmente discostata dai parametri di liquidazione Cedu, avendo liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 500,00 per ogni anno di ritardo, senza fornire una valida motivazione al riguardo.

Quanto alla richiesta di “bonus”, va ricordato che “ai fini della liquidazione dell’indennizzo del danno non patrimoniale conseguente alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, non puo’ ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetaria nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia previdenziale; da tale principio, infatti, non puo’ derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita” (Sez. 1, Sentenza n. 6898 del 14/03/2008).

Il decreto va quindi cassato e la causa puo’ essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, e in applicazione dei parametri innanzi indicati l’Amministrazione resistente deve essere condannata a pagare alla parte ricorrente la somma di Euro 4.250,00 per i 5 anni di accertato irragionevole ritardo.

L’accoglimento del motivo relativo alla quantificazione dell’indennizzo determina l’assorbimento delle censure relative alle spese processuali, che vanno poste a carico dell’Amministrazione soccombente nella misura liquidata in dispositivo quanto al grado di merito mentre il limitato accoglimento dei motivi di ricorso giustifica la parziale compensazione delle spese del giudizio di legittimita’, le quali vanno poste a carico dell’Amministrazione nella misura di 1/2 dell’intero liquidato in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna l’Amministrazione a corrispondere alla parte ricorrente la somma di Euro 4.250,00 per indennizzo, gli interessi legali su detta somma dalla domanda e le spese del giudizio:

che determina per il giudizio di merito nella somma di Euro 50,00 per esborsi, Euro 378,00 per diritti e Euro 445,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario;

che compensa in misura di 1/2 per il giudizio di legittimita’, gravando l’Amministrazione del residuo 1/2 e che determina per l’intero in Euro 595,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge e che dispone siano distratte in favore del difensore antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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