Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5852 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5852 Anno 2014
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: PETITTI STEFANO

SENTENZA

sentenra
informa semplUkata

sul ricorso proposto da:
GATTEI Romano (GTT RMN 33C25 H501Q), rappresentato e difeso, per procura speciale

in calce al ricorso,

dall’Avvocato Danilo D’Angelo, presso lo studio del quale
in Roma, via Magna Grecia n. 84, è elettivamente domiciliato;
– ricorrente contro
FONDAZIONE ECCLESIASTICA ISTITUTO MARCHESI TERESA, GERINO
E LIPPO GERINI (80069690588), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, per procura speciale a margine del controricorso, dall’Avvocato

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Data pubblicazione: 13/03/2014

Giulio Favino, presso lo studio del quale in Roma, via Ta-

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cito n. gq, è elettivamente domiciliato;
– con troricorrente avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 10 dicembre 2013 dal Consigliere relatore
Dott. Stefano Petitti;
sentiti gli Avvocati Danilo D’Angelo e Giulio Favino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. Aurelio Golia, che ha concluso
per l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto che, con atto di citazione notificato in data
6 luglio 2000, la Fondazione Ecclesiastica Istituto Marchesi Teresa, Gerino e Lippo Gerini (d’ora in avanti, la
Fondazione Gerini) conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Roma, Gattei Romano per sentir dichiarare
l’occupazione senza titolo, da parte del convenuto, di un
terreno sito in Fiumicino, con condanna del medesimo al
rilascio dell’immobile e al risarcimento dei danni derivanti dalla indisponibilità del terreno e dalle costruzioni abusive ivi realizzate;
che si costituiva in giudizio il Gattei, eccependo
l’intervenuta usucapione del terreno e chiedendo, in via
riconvenzionale, il risarcimento dei danni;

3148/2011, depositata in data 18 luglio 2011.

che il Tribunale di Roma, con sentenza n. 16431 del
2005, rigettava la domanda di parte attrice, dichiarando
che il rapporto tra il convenuto e l’immobile (principiato
per mezzo del di lui padre deceduto, Gattei Augusto) inte-

che la Fondazione Gerini interponeva tempestivo gravame dinnanzi alla Corte d’appello di Roma, affermando che
la condotta del Gattei costituiva una mera detenzione in
virtù del contratto di locazione stipulato tra la Fondazione Gerini e la di lui madre, Gattei Aurelia, inidoneo a
far maturare alcuna usucapione;
che la Corte d’appello, in accoglimento del gravame,
riformava la sentenza del Tribunale di Roma, condannando
il Gattei all’immediato rilascio dell’immobile;
che per la cassazione di questa sentenza ha proposto
ricorso Gattei Romano, sulla base di due motivi, illustrati da memoria;
che la Fondazione Gerini ha resistito con controricorso, eccependo l’inammissibilità e, comunque,
l’infondatezza del ricorso.
Considerato che con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione dell’art. 1141 cod. civ. e
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per
avere la Corte d’appello errato nel ricostruire il rapporto tra l’odierno ricorrente e il bene immobile de quo come

grasse gli estremi di un possesso ad usucapionem;

detenzione, inidonea, in quanto tale, a dar luogo ad un
possesso utile ai fini dell’usucapione, e non come vero e
proprio possesso;
che, in particolare, il ricorrente rileva che, dalle

prio padre Augusto Gattei aveva edificato una casetta negli anni trenta, prima che il terreno venisse concesso in
locazione alla madre, sicché la Corte d’appello avrebbe
errato a non ricostruire in termini di possesso la costruzione e la utilizzazione ininterrotta del fabbricato, poi
ampliato;
che la mancata valutazione della preesistenza della
casetta integrerebbe, ad avviso del ricorrente, il denunciato vizio di motivazione, mentre, dovendosi ritenere accertato il rapporto di fatto con il bene, risulterebbero
sussistenti anche le denunciate violazioni di legge, atteso che l’art. 1141 cod. civ. prevede una presunzione di
possesso che opera in favore di colui che eserciti sul bene un potere di fatto, dovendosi a tal fine avere riguardo
al momento iniziale di detto potere essendo irrilevanti le
eventuali modificazioni successive del rapporto;
che, dunque, sostiene il ricorrente, la successiva
concessione in affitto del terreno alla madre non avrebbe
fatto venire meno la situazione di possesso della casetta
da parte del padre, prima, e di esso ricorrente, poi;

risultanze istruttorie, emergeva univocamente che il pro-

che con il secondo motivo il Gattei denunzia tanto la
violazione degli artt. 1146 e 1158 cod. civ., quanto
l’omessa, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, per l’errore in cui i giudici del gravame sareb-

corrente era succeduto nel possesso ad usucapionem iniziato già da suo padre;
che i due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente attesa la contiguità delle censure ivi
svolte, sono infondati;
che, invero, la Corte d’appello ha ritenuto rilevante,
ai fini della qualificazione del rapporto con il bene oggetto della domanda di usucapione, il contratto di affitto
del terreno intercorso tra la Fondazione e la madre del
ricorrente;
che trattasi di valutazione che resiste alle critiche
del ricorrente, atteso che, pur volendosi ammettere che il
fabbricato oggetto della domanda di usucapione era stato
edificato dal padre del ricorrente nel 1930, l’avvenuta
concessione in affitto alla madre del ricorrente, moglie
di Gattei Augusto, del terreno sul quale insisteva la casetta in questione, altro effetto non poteva avere, come
affermato dalla Corte d’appello, che quello di estendere
la propria efficacia anche a quanto su detto terreno insisteva;

bero incorsi, nel non tenere conto del fatto che esso ri-

che, del resto, posto che il contratto di affitto risaliva al 1943, deve escludersi che, a quella data, fosse
maturata l’usucapione del fabbricato, mentre il successivo
contratto di affitto valeva a connotare la situazione re-

esso acceduto, in termini di detenzione e non già di possesso;
che, dunque, escluso che la costruzione della casetta
nel 1930 potesse giovare al ricorrente ai sensi dell’art.
1146 cod. civ., deve altresì rilevarsi che la Corte
d’appello ha evidenziato come non possa neanche valere a
fondate la proposta eccezione di usucapione del fabbricato
in capo al ricorrente la circostanza che questi ebbe a ricostruirlo nel 1984, atteso che, rispetto alla data della
domanda di rilascio, non era ancora maturato il termine
ventennale;
che, in conclusione, la sentenza impugnata si rivela
immune dai denunciati vizi, sia di violazione di legge,
sia di motivazione, dovendosi rilevare che esattamente la
Corte d’appello ha ritenuto che, nella specie, fosse necessario un atto di interversione, comunque necessario anche nel caso di scadenza di un contratto di affitto non
rinnovato;
che la Corte d’appello ha quindi fatto corretta applicazione del principio per cui «l’interversione nel posses-

lativa anche al fabbricato insistente sul terreno, e ad

so non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione
esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato d’esercitare il potere di fatto sul-

sclusivamente in nome proprio, con correlata sostituzione
al precedente animus detinendi dell’animus rem sibi babendi; tale manifestazione deve essere rivolta specificamente
contro il possessore, in maniera che questi sia posto in
grado di rendersi conto dell’avvenuto mutamento e quindi
tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere
di una concreta opposizione all’esercizio del possesso da
parte sua. A tal fine sono inidonei atti che si traducano
nell’inottemperanza alle pattuizioni in forza delle quali
la detenzione era stata costituita (verificandosi in questo caso una ordinaria ipotesi di inadempimento contrattuale) ovvero si traducano in meri atti di esercizio del
possesso (verificandosi in tal caso una ipotesi di abuso
della situazione di vantaggio determinata dalla materiale
disponibilità del bene)» (Cass. n. 7337 del 2002; Cass. n.
12007 del 2004; Cass. n. 2392 del 2009; Cass. n. 6237 del
2010);
che, dunque, il ricorso deve essere rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente, in applicazione del

la cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo e-

principio della soccombenza, al pagamento delle spese del
giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al

quida in complessivi euro 2.000,00 per compensi, oltre ad
euro 200,00 per esborsi e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
VI-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il
10 dicembre 2013.

pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che li-

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