Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5852 del 08/03/2017

Cassazione civile, sez. lav., 08/03/2017, (ud. 02/12/2016, dep.08/03/2017),  n. 5852

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25625-2011 proposto da:

FEDERAZIONE INTESA C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 23/A, presso lo studio dell’avvocato GUIDO ROSSI

GIRONDA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

A.R.A.N. – AGENZIA PER LA RAPPRESENTANZA NEGOZIALE DELLE PUBBLICHE

AMMINISTRAZIONI C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante

pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI

PORTOGHESI, 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2572/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 12/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/12/2016 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;

udito l’Avvocato GUIDO ROSSI GIRONDA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO RICCARDO, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Federazione Intesa, federazione sindacale costituita il 18 settembre 2000 che riunisce diverse associazioni sindacali operanti nel pubblico impiego, adiva il Tribunale di Roma con ricorso ex art. 700 c.p.c., lamentando che l’ARAN, con nota del 31 marzo 2004, ritenendola soggetto diverso da CISAL Intesa, che possedeva il requisito della rappresentatività sindacale D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 43, in base a dati del 2001, non l’aveva ammessa al tavolo delle trattative per il rinnovo contrattuale relativo al biennio 2004/2005. La domanda cautelare veniva accolta con ordinanza del 4 agosto 2004, confermata in sede di reclamo in data 9 settembre 2004. Quindi, con ricorso in via ordinaria, l’O.S. agiva per il riconoscimento della rappresentatività sindacale in relazione al biennio 2004/2005 e per il risarcimento dei danni che assumeva esserle derivati dal comportamento dell’ARAN, che illegittimamente l’aveva estromessa dalle trattative, con conseguente negazione delle prerogative sindacali.

2. Il Tribunale accoglieva entrambi i capi di domanda, osservando che Federazione Intesa era il medesimo soggetto – associazione non riconosciuta costituita come federazione di sindacati – al quale erano stati attribuiti i voti delle elezioni RSU del novembre 2001 con la denominazione di CISAL Intesa ed al quale, con la stessa denominazione, era stata attribuita la rappresentatività sindacale per il biennio 2004/2005. Per l’effetto, dichiarava che i voti ottenuti nelle elezioni RSU del novembre 2001 dovevano essere imputati a Federazione Intesa ai fini della verifica della rappresentatività sindacale nei confronti dell’ARAN anche nel biennio 2004/2005 e dichiarava l’obbligo dell’ARAN di riconoscere a Federazione Intesa la rappresentatività D.Lgs. n. 165 del 2001, ex art. 43 e quindi l’obbligo di ammettere della O.S. ai tavoli della contrattazione nazionale per il biennio 2004/2005 nei comparti Ministeri, Agenzie fiscali e Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dichiarava altresì l’illegittimità della condotta posta in essere dall’ARAN, che condannava al risarcimento dei danni, da quantificarsi in separato giudizio.

4. L’appello proposto dall’ARAN veniva definito con sentenza della Corte di appello di Roma n. 2572/11, che così illustrava i motivi di gravame:

– con il primo motivo l’ARAN aveva dedotto che erroneamente il Tribunale aveva imputato a Federazione Intesa i voti in precedenza attribuiti a CISAL Intesa: ai sensi dell’art. 20, comma 2, dell’Accordo quadro sulla costituzione delle RSU del 7 agosto 1998 era prevista l’ipotesi delle federazioni costituite da più sigle sindacali e a tale accordo aveva aderito Cisal Intesa e non Federazione Intesa; una volta scioltasi la federazione di sindacati Cisal Intesa, non era possibile attribuire i voti risultanti dalle elezioni delle RSU ad alcuno degli organismi sindacali risultanti dallo scioglimento; per tale ragione l’ARAN non aveva ammesso Federazione Intesa ai tavoli della contrattazione sindacale nei comparti sopraindicati; la vicenda dei rapporti tra CISAL Intesa e Federazione Intesa aveva formato oggetto di un complesso contenzioso, che aveva dato luogo all’emanazione della sentenza n. 12660/2005 del Tribunale di Roma; – con il secondo motivo di gravame l’ARAN aveva lamentato l’erroneità della condanna al risarcimento dei danni, opponendo che nessun comportamento illegittimo nè ingiusto, nemmeno a titolo di colpa, era ascrivibile all’Agenzia, che aveva sempre agito con imparzialità e nel rispetto le norme dettate in materia; inoltre, nessun danno era derivato a Federazione Intesa, in quanto l’organizzazione sindacale era stata ammessa alle trattative per la contrattazione nazionale dei comparti Ministeri, Agenzie fiscali e Presidenza del Consiglio dei Ministri in esecuzione del provvedimento ex art. 669 terdecies c.p.c., emesso dal Tribunale di Roma in sede di reclamo.

5. La Corte di appello dichiarava inammissibile il primo motivo di appello per sopravvenuta carenza di interesse e, in accoglimento del secondo motivo di gravame, respingeva la domanda risarcitoria proposta in primo grado da Federazione Intesa.

5.1. Il primo motivo di appello veniva ritenuto inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse dell’Agenzia a contestare la rappresentatività sindacale di una sigla che, anche per effetto delle successive tornate elettorali, aveva pacificamente il requisito della rappresentatività sindacale. L’appellante non aveva dimostrato l’esistenza di un interesse concreto ed attuale ad una pronuncia nel merito sulla questione relativa alla rappresentatività sindacale di Federazione Intesa. Infatti, l’interesse ad ottenere una pronuncia di merito sulla questione dedotta in giudizio presuppone la persistenza della situazione controversa posta a fondamento della domanda giudiziale; nel caso di specie, con il rinnovo delle RSU, certamente vi era stata l’attribuzione della percentuale di voti raccolti, con riconoscimento dell’attribuzione della rappresentatività, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 43 a coloro che ne avevano titolo. D’altra parte, anche la contrattazione collettiva dei comparti Ministeri, Agenzie fiscali e Presidenza del Consiglio dei Ministri relativa al biennio 2004/2005 si era ormai conclusa da tempo, ragion per cui anche per tale profilo non era individuabile un interesse attuale dell’ARAN.

5.2. In ordine al secondo motivo di appello, avente ad oggetto la condanna generica al risarcimento dei danni, la Corte di appello osservava che non era ravvisabile, nel comportamento dell’ARAN, una condotta contra ius: nel caso di specie l’oggettiva incertezza determinatasi a causa delle vicende intercorse tra Federazione Intesa e CISAL Intesa escludeva la configurabilità di un comportamento doloso ovvero colposo dell’Agenzia nella decisione di non attribuire a Federazione Intesa i voti delle elezioni del novembre 2001. La sentenza di primo grado aveva motivato soltanto in ordine all’evento lesivo, peraltro genericamente indicato come danno all’immagine e alle prerogative sindacali, ma non aveva evidenziato in che cosa consistesse la colpa dell’Agenzia se non per il fatto di avere resistito in giudizio alla domanda di Federazione Intesa. Comunque, del tutto generica ed inconsistente era l’affermazione circa l’esistenza di un danno all’immagine. Inesistente era pure il danno alle prerogative sindacali, posto che con provvedimento d’urgenza l’O.S. appellata era stata ammessa ai tavoli della contrattazione.

6. Per la cassazione di tale sentenza Federazione Intesa propone ricorso affidato a sette motivi, seguiti da memoria ex art. 378 c.p.c.. L’Aran resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo I’O.S. ricorrente lamenta violazione degli artt. 2907, 2908 e 2909 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). L’inammissibilità del primo motivo di appello aveva determinato il passaggio in giudicato del capo di sentenza di primo grado che aveva accertato la violazione di diritti sindacali di Federazione Intesa, con conseguente preclusione del successivo accertamento relativo alla correttezza e legittimità del comportamento dell’ARAN, argomento posto a base dell’esclusione della responsabilità risarcitoria.

2. Il secondo motivo denuncia omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per avere la Corte territoriale affermato, senza adeguata motivazione, che l’ARAN aveva “osservato pedissequamente la normativa in materia”; tale affermazione non consentiva far comprendere il ragionamento attraverso il quale era stato ritenuto legittimo il comportamento dell’ARAN consistente della mancata ammissione alle trattative di Federazione Intesa.

3. Il terzo motivo censura la sentenza per violazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., in connessione con l’art. 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3), laddove aveva affermato che “per aversi risarcimento del danno occorre che l’autore dell’evento dannoso abbia posto in essere una condotta contra ius: nel caso di specie, l’oggettiva incertezza determinatasi a causa delle vicende intercorse tra Cisal Intesa e Federazione Intesa ha fatto sì che alla decisione dell’Aran, di escludere Federazione Intesa dai tavoli della contrattazione a causa dell’impossibilità di attribuirle i voti delle elezioni RSU imputati a CISAL Intesa, non possa attribuirsi alcuna valenza di comportamento doloso ovvero colposo”. Deduce la ricorrente che, una volta accertato l’inadempimento, era onere dell’ARAN ex art. 2697 c.c.dimostrare di aver usato “la diligenza del buon padre di famiglia” (art. 1176 c.c.) nell’individuare i sindacati ammessi alla contrattazione. La situazione di “oggettiva incertezza” non costituiva impossibilità di adempimento, ma mera difficoltà. La Corte di appello aveva quindi violato i principi che presiedono all’accertamento della responsabilità contrattuale.

4. Il quarto motivo denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) per non avere la sentenza indicato quali specifici elementi della vicenda intercorsa tra CISAL Intesa e Federazione Intesa potessero avere determinato una “oggettiva incertezza”, tale da impedire il corretto accertamento della rappresentatività sindacale.

5. Con il quinto motivo si denuncia omessa o insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) nella parte in cui la sentenza, affermando che il comportamento processuale dell’ARAN inteso a contestare le rivendicazioni di Federazione Intesa non poteva costituire fonte di responsabilità risarcitoria, aveva omesso di esaminare la circostanza che Federazione Intesa venne ammessa alle trattative solo a seguito dell’ordinanza resa in data 9 settembre 2004 dal Collegio investito del reclamo, subendo così un danno da ritardo.

6. Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello respinto la domanda risarcitoria sul presupposto della sua genericità. Tale soluzione viola il principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, poichè la ricorrente aveva formulato una domanda di condanna generica, riservando a separato giudizio la relativa quantificazione.

7. Con il settimo motivo ci si duole di insufficiente motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5), nella parte in cui la sentenza aveva ritenuto generiche le allegazioni sul danno. Le diverse componenti del danno risarcibile erano state analiticamente prospettate, come poteva evincersi dalla trascrizione delle pagine 22-24 della memoria di costituzione in appello del 30 ottobre 2007.

8. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.

9. Il primo motivo è inammissibile, poichè suppone un giudicato interno sull’illegittimità della condotta posta in essere dall’ARAN per avere escluso Federazione Intesa dalle trattative sindacali per il biennio 2004/2005. In realtà, la Corte d’appello, in sede di esame del primo motivo di gravame, non è entrata nel merito della qualificazione del comportamento tenuto dall’Agenzia, in quanto si è limitata a rilevare il sopravvenuto difetto di interesse dell’ARAN a contestare la rappresentatività sindacale di Federazione Intesa. L’accertamento della carenza di attualità dell’interesse equivale, nella sostanza, ad una declaratoria di cessazione della materia del contendere in ordine al fatto controverso, oggetto dell’accertamento giudiziale, riguardante il requisito della rappresentatività sindacale di Federazione Intesa.

9.1. Quando nel corso del giudizio l’oggetto del contendere non sia più controverso tra le parti per fatti sopravvenuti, per il giudice investito della domanda viene meno il dovere di pronunziare sul merito della stessa, essendo cessato per le parti l’interesse a tale pronunzia, e sorge quello di chiudere il giudizio con una pronunzia di rito che accerti la cessazione della materia del contendere, dichiarando pertanto il ricorso inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse (cfr. Cass. n. 8448/2012).

9.2. La sentenza impugnata ha accertato che l’originaria contestazione aveva perso di attualità, alla stregua della mutata situazione di fatto esistente al momento della decisione. Il difetto di attualità sussisteva anche in ordine alla contrattazione collettiva concernente il biennio 2004/2005, poichè tale vicenda si era da tempo conclusa: in virtù del provvedimento di urgenza emesso in sede di reclamo, Federazione Intesa era stata ammessa ai tavoli della contrattazione.

10. Il secondo motivo è, del pari, inammissibile. Esso tende a far derivare, dalla denunciata carenza di motivazione, gli effetti di un accertamento implicito della qualificazione del comportamento della P.A. come inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c., laddove il passaggio argomentativo censurato si rivela privo di autonomia ai fini del decidere. L’unica ratio decidendi ravvisabile nella sentenza impugnata è costituita dall’assenza di dolo o colpa nel contesto di una responsabilità (qualificata come) extracontrattuale.

11. Il terzo e il quarto motivo, che possono essere trattati congiuntamente in quanto tra loro connessi, sono inammissibili.

11.1. Il ricorso suppone che l’ARAN si incorsa in un inadempimento contrattuale, ai sensi dell’art. 1218 c.c.. Si desume tuttavia della sentenza impugnata che la Corte territoriale ha qualificato la fattispecie in termini di responsabilità risarcitoria extracontrattuale (“contra ius”), alla stregua della quale è risarcibile il danno ingiusto solo quando sia causato da un fatto doloso o colposo, ed ha poi ritenuto non imputabile all’ARAN alcuna condotta dolosa o colposa in ragione dell’oggettiva incertezza causata dalle vicende che aveva interessato CISAL Intesa e Federazione Intesa: tale oggettiva incertezza aveva indotto l’Agenzia ad applicare in modo rigoroso la normativa in materia.

11.2. Alla stregua di tale ricostruzione della fattispecie, si rivela non conferente, quale fatto liberatorio, il richiamo alla “impossibilità della prestazione “, in relazione all’art. 1218 c.c.. Nulla è stato dedotto in ordine alla (ritenuta) responsabilità extracontrattuale. Tale natura non risulta essere stata specificamente contestata nè con riguardo ad eventuali violazioni di regole processuali rispetto ad una ipotetica diversa qualificazione fornita dal Giudice di primo grado, nè con riguardo ad errores in iudicando afferenti alla violazione o falsa applicazione delle norme che presiedono alla responsabilità in contrahendo o alla responsabilità extracontrattuale. Non è stata dedotta una violazione del giudicato interno sul punto, dal momento che il potere del giudice del merito di qualificare autonomamente la domanda incontra – per pacifica giurisprudenza – un limite nell’effetto devolutivo del gravame.

11.3. Va poi considerato che l’accertamento del dolo o della colpa, ossia della sussistenza (o della insussistenza) dell’elemento soggettivo, costituisce un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione logica e sufficiente. Nel caso di specie, la Corte di merito ha tratto elementi, per la formazione del proprio convincimento, dalle vicende relative al contenzioso sfociato nella emanazione della sentenza n. 12660 del 2005 del Tribunale di Roma.

11.4. E’ noto che l’art. 360 c.p.c., n. 5, conferisce alla Corte di Cassazione il potere di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Tale principio, tuttavia, non impone affatto che l’obbligo di motivazione debba estrinsecarsi in maniera standardizzata con l’indicazione della specifica individuazione delle fonti probatorie ritenute idonee a suffragare la ricostruzione operata dal giudice, potendo egli attestare di aver compiuto le predette operazioni con una formula sintetica, ovvero richiamando, a sostegno del suo convincimento, la fonte medesima. La parte, pertanto, può attivare il controllo di legittimità solo se adempiendo al suo onere di riscontro dell’esistenza di una relazione di coerenza fra convincimento del giudice e fonti probatorie denunci, in maniera specifica, le ragioni dell’inesistenza di tale coerenza. In assenza di tale denuncia non può imputarsi alcun difetto di motivazione al giudice di merito che abbia fatto ricorso alla formula sintetica (nella specie, mediante il rinvio ai contenuti della sentenza n. 12660/2005 del Tribunale di Roma, ben nota alle parti), giacchè, in assenza di tali indicazioni, la denuncia non si appaleserebbe sorretta da una concreta lesione subita dalla parte, ma solo diretta a caducare la decisione per ragioni meramente formali (cfr. Cass. nn. 13747 del 2004, 16204 del 2005, 828 del 2007).

12. Il quinto motivo è inammissibile. Si denuncia l’omessa considerazione del danno da ritardo per essere l’organizzazione sindacale stata ammessa alle trattative solo in esecuzione del provvedimento emesso in sede di reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.. La ricorrente prospetta quale fonte di danno risarcibile la resistenza opposta in giudizio dall’ARAN; sostiene che ciò determinò lo slittamento di alcuni mesi dell’ammissione di Federazione Intesa alla contrattazione sindacale. Trattasi di un’autonoma fattispecie di danno (da ritardo), prospettato con riferimento al periodo intercorrente dal 30 marzo 2004 e alla reintegra con riserva attuata in sede di reclamo (settembre 2004). Il motivo non è formulato in esatto adempimento degli oneri di cui all’art. 366 c.p.c.: non è riportato il contenuto del ricorso introduttivo di primo grado, nè viene riferito del successivo sviluppo processuale in ordine a tale specifico ed autonomo capo di domanda, onde verificare se la questione oggetto del motivo di ricorso per cassazione fosse stata così prospettata e allegata, nonchè provata in sede di merito.

13. Il sesto e il settimo motivo investono le statuizioni di genericità delle allegazioni di danno. Tali motivi sono parte inammissibili, in parte infondati.

13.1. Premesso che la domanda di condanna generica al risarcimento dei danni, per poter essere accolta, richiede che siano allegati e provati i fatti costitutivi della pretesa azionata, ossia i fatti costitutivi dell’an debeatur, il ricorso trascrive una parte espositiva della memoria di costituzione d’appello, inidonea a far comprendere quali fossero le allegazioni originarie di cui al ricorso introduttivo di primo grado. A prescindere dal rilievo che l’assenza di un comportamento colpevole dell’Amministrazione preclude in radice la configurabilità di danni risarcibili, comunque la carente descrizione dell’iter processuale e delle allegazioni originarie, in violazione delle prescrizioni di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, non consente di far comprendere quali fossero gli esatti termini delle domande vertenti sulla danno all’immagine e alle prerogative sindacali.

14. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna Federazione Intesa al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 2 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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