Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5849 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5849 Anno 2014
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 21167-2012 proposto da:
ATAC SPA 06341981006 quale incorporante di Trambus SpA in
persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO
MAGNO 23/A, presso lo studio degli avvocati PROIA GIAMPIERO
e PETRASSI MAURO, che la rappresentano e difendono, giusta
delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
PETRUNGARO LUCA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FARANDA

ICC218

Data pubblicazione: 13/03/2014

RICCARDO (Studio Legale Associato FARANDA CRUPI
DELL’ALPI), che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del
controricorso;

– controricorrente –

ROMA del 21.9.2011, depositata il 29/09/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per la ricorrente gli Avvocati Giampiero Proia e Mauro Petrassi
che si riportano ai motivi del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Riccardo Faranda che si
riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARCELLO
MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma respingeva
il gravame proposto dalla Trambus s.p.a. avverso la sentenza di primo
grado, che aveva accolto il ricorso proposto dall’attuale resistente
inteso ad ottenere la conversione del contratto di formazione e lavoro
in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con
decorrenza dal marzo 2000 e la condanna della predetta società al
pagamento dell’indennità denominata ERS (elemento di riordino del
sistema retributivo) ed aveva respinto la domanda riconvenzionale
proposta dalla Trambus per l’accertamento dell’obbligo del lavoratore
di osservare un orario di lavoro di 39 ore settimanali in luogo delle 37
ore settimanali da lui osservate nel tempo successivo alla assunzione
con contratto a tempo indeterminato e la condanna dello stesso a
restituire all’azienda quanto indebitamente percepito a titolo di lavoro
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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avverso la sentenza n. 6326/2011 della CORTE D’APPELLO di

straordinario in applicazione di un accordo aziendale nullo per
contrasto con norma imperativa.
Osservava la Corte di appello:
– che il contratto era stato stipulato in difetto di causa formativa, in
quanto l’assunzione con c.f.l. aveva riguardato una persona già esperta;

aveva partecipato ad uno

stage formativo, cui era seguito lo

svolgimento di mansioni di conducente di linea per alcuni mesi; inoltre,
nessuna formazione era stata impartita durante il periodo di c.f.1., in
quanto il lavoratore era stato subito inserito nel ciclo produttivo
aziendale;
– che, quanto all’E.R.S., il tenore dell’accordo dell’H luglio 2000 non
autorizzava l’esclusione dei lavoratori che fossero stati ritenuti in
servizio a tale data con sentenza di conversione del rapporto di
formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato; il successivo
accordo sindacale del 24.3.2005 aveva valore innovativo, prevedendo
un nuovo requisito per potere beneficiare dell’ERS, ossia che
l’assunzione fosse anteriore al 2.3.2000;
– che, quanto alla domanda riconvenzionale proposta da Trambus
S.p.A. per la restituzione delle somme erogate quale straordinario oltre
le 37 ore settimanali sulla base di una norma aziendale ritenuta nulla
dalla Corte di Cassazione in precedente pronunzia (Cass. n.
12661/2004) poiché adottata in deroga alla contrattazione nazionale
che prevedeva un orario settimanale di 39 ore, la suddetta pronuncia di
nullità era stata emessa per contrasto con l’art. 5 ter d.l. n. 702 del
1978, convertito in legge n. 1 del 1979, del quale non era stata dedotta
la persistente vigenza e che espressamente limitava il suo ambito
temporale di operatività fino all’entrata in vigore della legge di riforma
della municipalizzazione, la quale era avvenuta con la legge 8 giugno
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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difatti, il lavoratore durante il precedente periodo di lavoro interinale

1990 n. 142, poi perfezionata da leggi successive e dal testo unico di
cui al d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, artt. 112 e 113; – che in ogni caso il
lavoratore aveva l’obbligo di svolgere 39 ore settimanali e se vi era stata
una erogazione non dovuta (peraltro non provata in giudizio, in
mancanza delle buste paga) questa era imputabile solo al datore di

2126 c.c..
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ATAC s.p.a., quale
incorporante di Trambus s.p.a., affidando l’impugnazione a tre motivi,
illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso il lavoratore, che espone ulteriormente le
proprie difese in memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’ATAC s.p.a. denunzia violazione e falsa
applicazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al D.L. n. 726 del 1984,
art. 3, convertito in L. n. 863 del 1984, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3,
assumendo che la funzione precipua del c.f.l. è quella di favorire la
costituzione di rapporti di lavoro subordinato per i giovani e tale
finalità è prevalente su quella meramente formativa; nella specie
l’attuale resistente era stato assunto a tempo indeterminato allo scadere
del contratto di formazione e lavoro e ciò costituiva la dimostrazione
che il contratto aveva raggiunto lo scopo cui era preordinato. Inoltre,
un qualsiasi discostamento, anche lieve, dal programma di formazione
non può essere idoneo a determinarne la conversione in rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, qualora si accerti che il contratto ha
raggiunto la finalità di consentire al giovane un ingresso guidato nel
mondo del lavoro. Significato interpretativo può trarsi dal d.lgs. n. 276
del 2003 che nel prevedere una nuova tipologia contrattuale – il

Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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lavoro e, comunque, la prestazione doveva essere compensata ex art.

contratto di inserimento (art. 54 e segg.) in sostituzione del c.f.l. prescinde completamente dalla previsione di un progetto formativo.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 1321 cod. civ., art. 1362 cod. civ. e segg., in
relazione all’accordo collettivo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di

Assume che con il c.c.n.l. 11 aprile 1995 fu stabilito un salario di
ingresso per i neo-assunti con c.f.1., il cui trattamento, durante il
contratto stesso e per i quindici mesi successivi alla trasformazione,
prevedeva l’esclusione di tutti gli istituti retributivi previsti dalla
contrattazione aziendale, il successivo accordo nazionale del 2 marzo
2000 aveva fatto riferimento alla necessità di procedere alla
riclassificazione degli istituti salariali aziendali e di definire a livello
aziendale la quota da riservare ai neo assunti. Tale disposizioni vennero
attuate dall’ATAC con l’accordo aziendale dell’H luglio 2000 che, nel
definire le nuove voci, stabilì la soppressione di ogni altra indennità,
premio o maggiorazione in precedenza prevista a livello aziendale; al
contempo, al fine di compensare della soppressione di tali voci chi di
fatto già ne godeva, mantenendo un “differenziale” sul trattamento
economico dei più anziani rispetto a quello dei più giovani, l’art. 2 di
tale accordo del luglio 2000 previde che fosse istituito, a decorrere dal
mese di agosto 2000, “per il solo personale in forza a tempo
indeterminato alla data di stipula del presente accordo, un emolumento
mensile consolidato denominato Elemento di Riordino del Sistema
retributivo (ERS)”. Sostiene la ricorrente che la ratio e la finalità
dell’accordo dell’H luglio 2000 erano quelle di limitare il diritto all’ERS
ai soli dipendenti formalmente assunti a tempo indeterminato,
escludendo proprio i lavoratori in quel momento assunti con contratti
di lavoro flessibile. Il verbale sindacale del 24 marzo 2005 si limitò a
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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accordo 24 marzo 2005, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

confermare tale interpretazione, senza alcuna portata novativa; la
possibilità delle parti sociali di fornire una interpretazione autentica
della propria volontà contrattuale è riconducibile al negozio di
accertamento, dovendosi pure considerare che in tema di
interpretazione di contratti collettivi il comportamento posteriore delle

costituito da un successivo accordo, il quale – nella parte non
direttamente dispositiva – presupponga una determinata
interpretazione di una complessa ed organica disciplina di istituti
contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più contratti collettivi.
3. Con il terzo motivo, la società si duole della violazione e falsa
applicazione del c.c.n.l. 23.7.1976, stipulato tra Federtrasporti, ANAC
FENIT e le 00.SS. FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e
dell’accordo collettivo nazionale del 12 luglio 1985 stipulato tra FILT
CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e Federtrasporti, PANAC, la FENIT
e PINTERSIND, nonché della violazione e falsa applicazione del
c.c.n.l. 25 luglio 1997 stipulato tra ANAC, la FENIT, e le 00.SS.
FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.
3), assumendo il vizio della sentenza in relazione al rigetto della
domanda riconvenzionale della società. Rileva che l’orario di 39 ore
settimanali stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale era stato
ridotto a 37 ore in virtù di previsione di contrattazione aziendale
(accordo 16 giugno 1983), pacificamente applicato anche all’attuale
resistente, ma tale accordo era stato ritenuto nullo dalla Corte di
Cassazione con sentenza n. 12661 dell’8 luglio 2004. I lavoratori
avevano così indebitamente percepito successivamente alla assunzione
a tempo indeterminato (dal marzo 2002 in poi) i compensi per lavoro
straordinario per le ore prestate dalla 37ma alla 39ma, le cui differenze
erano state oggetto della domanda restitutoria erroneamente respinta
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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parti, valutabile ex art. 1362 secondo comma cod. civ., può essere

dalla Corte di appello, che non aveva dato una corretta interpretazione
alla domanda proposta (art. 112 cod. proc. civ.). Inoltre, era stato
erroneamente ritenuto che l’art. 5 ter del d.l. n. 702 del 1978 non
regolasse la fattispecie in esame; al contrario i due accordi, quello
aziendale del 1983 e quello nazionale del 1985, erano stati adottati

continuato a fare applicazione anche successivamente.
4. Il ricorso è infondato.
5.

Preliminarmente, il Collegio richiama il proprio orientamento

interpretativo espresso nelle recenti sentenze nn. 18553 del 29 ottobre
2012, n.20598 del 22 novembre 2012, n.20761 del 23 novembre 2012,
nonché n.16445 dell’1 luglio 2013 rese in fattispecie del tutto analoghe
a quella oggetto del ricorso in esame.
6. . Quanto alle censure di cui al primo motivo, il giudice di appello
ha ravvisato un vizio parziale genetico di causa del contratto di
formazione e lavoro per essere il ricorrente già in possesso, prima
dell’assunzione, della professionalità propria del conducente di linea,
avendo svolto le mansioni di 6 ^ livello (superiori a quelle di 7 ^ livello
di cui al contratto di formazione e lavoro) durante il periodo di lavoro
interinale.
In tema di contratti di formazione e lavoro, qualora il lavoratore, già
al momento della sua assunzione con contratto di formazione,
possegga la professionalità che, secondo gli accordi intervenuti,
dovrebbe costituire lo scopo del programma formativo, avendo
espletato in precedenza analoga attività presso un differente datore di
lavoro, il contratto è affetto da un vizio parziale genetico di causa con
conseguente sua trasformazione in contratto di lavoro a tempo
indeterminato (Cass. n. 5644 del 2009; v. pure Cass. n. 29 del 2003).

Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
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nella piena operatività di tale disposizione e del primo l’Azienda aveva

Al riguardo, la società lamenta la mancata ammissione della prova
testimoniale diretta a dimostrare che l’attività svolta durante il lavoro
interinale e durante il contratto di formazione era stata caratterizzata
da diverse modalità di esecuzione e riferisce di avere articolato una
specifica prova in tal senso nella memoria difensiva di primo grado.

avendo la Corte di appello ritenuto sussistente, oltre al vizio parziale
genetico di causa, anche il vizio funzionale, poiché la società non aveva
provato e nemmeno allegato di avere adempiuto gli obblighi formativi
previsti dal c.f.1.. Esiste dunque una seconda ratio decidendi idonea a
sorreggere autonomamente il decisum.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che, in tema di contratto di
formazione e lavoro, l’inadempimento degli obblighi di formazione
determina la trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento
abbia un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di
formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o
inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e
quindi trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice deve
valutare in base ai principi generali la gravità dell’inadempimento,
giungendo alla declaratoria di trasformazione del rapporto (V. per tutte
Cass. 1 febbraio 2006 n. 2247, Cass. 7 agosto 2004 n. 15308; Cass. 4
ottobre 2004 n. 19846 e, più specificamente, Cass. 9 marzo 2009 n.
5644, relativa all’ipotesi in cui il lavoratore, già al momento della sua
assunzione con c.f.1., possegga la professionalità che, secondo gli
accordi intervenuti, dovrebbe costituire lo scopo del programma
formativo avendo espletato in precedenza analoga attività lavorativa).

Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-8-

Deve tuttavia osservarsi il carattere non decisivo del fatto allegato,

La Corte di appello, sul rilievo della totale mancanza di
formazione, ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro è,
pertanto, corretta in diritto.
Lo scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di favorire un
ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un

determinata professionalità ed è consentito al datore di lavoro l’uso di
una circoscritta discrezionalità nel realizzare il programma di
formazione, che si traduce nella possibilità di alternare la fase teorica
con la fase pratica tenendo conto delle esigenze dell’impresa, ma tale
discrezionalità non può mai spingersi fino ad espungere una delle due
fasi dalla esecuzione del contratto, atteso che entrambe sono
coessenziali, con la conseguenza che il periodo di prova in tanto è
rilevante per giudicare delle attitudini del lavoratore in formazione in
quanto nello stesso, sia pure con cadenze diverse rispetto a quelle
previste dal programma, siano presenti entrambe le predette fasi
coessenziali al raggiungimento dello scopo di un inserimento
qualificato nel mondo del lavoro (Cass. 8 gennaio 2003, n. 82).
Né può indurre a diverse conclusioni il richiamo al contratto
d’inserimento – di cui alla legge D.Lgs. n. 276 del 2003 – riguardando la
presente fattispecie un contratto del tutto diverso al quale il richiamato
D.Lgs. ha assegnato ratione temporis una differente funzione economicosociale.
7. Non è fondata la seconda censura con cui la società ricorrente,
denunciando violazione degli artt. 1321, 1362 c.c., e segg., in relazione
all’accordo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo 24 marzo
2005, prospetta che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto,
quanto alla spettanza dell’ERS – elemento di riordino del sistema
retribuivo- , che l’accordo d’interpretazione autentica del 24 marzo
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-9-

rapporto che dia loro anche gli strumenti per apprendere una

2005 – in base al quale veniva esclusa la corresponsione di detto ERS a
coloro i quali, come l’attuale resistente, al momento della stipula del
precedente accordo del 2000 non erano lavoratori subordinati a tempo
indeterminato – aveva natura innovativa.
Il decisum sul punto della sentenza impugnata si fonda essenzialmente

rapporto a tempo indeterminato con efficacia ex tunc, l’attuale
resistente era all’epoca dell’accordo a tutti gli effetti giuridici ed
economici dipendente a tempo indeterminato e come tale rientrante
nel “personale in forza a tempo indeterminato alla data della stipula
dell’accordo” al quale, secondo detto accordo, spettava la
corresponsione del c.d. ERS.
Assume la società che all’attuale resistente non spetterebbe il
richiamato ERS poiché con l’accordo del 24 marzo 2005 le parti,
interpretando in via autentica la precedente intesa dell’I 1 luglio 2000,
avevano escluso dalla corresponsione dell’ERS coloro i quali non
fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato all’epoca della
stipula dell’accordo del 2000, ciò al fine di escludere gli assunti con
contratto di formazione lavoro i quali si erano visti riconoscere expost
la qualificazione giuridica del proprio rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
Ritiene il Collegio che la stessa prospettazione della società confermi
l’esattezza dell’affermazione della Corte di appello secondo la quale
l’accordo del 2005 non ha natura interpretativa, bensì innovativa.
Invero, affinché un negozio giuridico successivo possa ritenersi
interpretativo di uno precedente è necessario, al di là delle espressioni
di qualificazione utilizzate dalle parti, che la volontà esplicitata
nell’ultimo negozio sia desumibile anche dal precedente, viceversa la
nuova intesa è innovativa e non interpretativa.
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-10-

sulla considerazione che, in conseguenza della trasformazione del

Avuto riguardo al caso di specie, ritiene il Collegio che la volontà di
limitare la corresponsione dell’ERS solo ai lavoratori che al marzo del
2000 fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato con
esclusione di coloro i quali fossero divenuti tali per effetto di
successivo riconoscimento giudiziale non sia desumibile dall’accordo

siffatta ricostruzione della volontà delle parti. Né la società ricorrente
la indica, limitandosi a prospettare le ragioni storiche che indussero le
parti alla previsione dell’ERS. Tanto, tuttavia, non è sufficiente, atteso
che la volontà esplicitata nell’intesa del 2005 non trova alcun riscontro
nell’accordo del 2000, dove si fa riferimento al “personale in forza a
tempo indeterminato alla data di stipula del presente accordo”, né in
altre clausole collettive.
La ratio posta a base dell’accordo del 2005, come prospettata dalla
stessa società ricorrente è, all’evidenza, del tutto estranea all’accordo
precedente ed è funzionale all’esigenza di far fronte ad una situazione
venutasi a creare dopo l’accordo del 2000. Tutto ciò a prescindere dalla
possibilità per le parti sociali, in sede di contrattazione collettiva del
settore privato, di procedere ad un’interpretazione di clausole
contenute in precedente contratto, essendo tale meccanismo
espressamente previsto con riguardo al settore del lavoro pubblico
privatizzato in tema di procedura di accertamento della validità,
efficacia ed interpretazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti
dall’ARAN, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, ed operando, in
tema di contrattazione collettiva privata, il principio della normale
successione dei contratti.
Tali considerazioni hanno carattere assorbente di ogni altro rilievo
mosso dalla società alla sentenza impugnata.

Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-11-

del 2000, non essendovi alcuna clausola contrattuale che legittima

8. E’ infondato anche il terzo motivo con cui la società critica la
sentenza impugnata assumendo che, stante la nullità – per effetto della
sentenza n. 12661 del 2004 di questa Corte – della contrattazione
aziendale (accordo 18 luglio 1983), la quale aveva previsto una
riduzione dell’orario di lavoro da 39 ore settimanali a 37 ore,

riconvenzionale.
Deve tuttavia correggersi la motivazione della sentenza nel senso
che segue.
Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di trattamento
economico dei pendenti di aziende municipalizzate, il D.L. n. 702 del
1978, art. 5 ter, convertito in L. n. 3 del 1979 -che, tra l’altro, fa divieto
alle aziende municipalizzate degli enti territoriali di stipulare accordi
integrativi aziendali che comportino erogazioni economiche aggiuntive
rispetto a quelle previste nei contratti nazionali – è norma a carattere
imperativo essenzialmente intesa ad un trattamento economico
uniforme su tutto il territorio nazionale per i dipendenti delle aziende
municipalizzate, alla parità delle aziende suddette in relazione ai costi
del personale, nonché al contenimento dei costi medesimi, onde il
divieto espresso da tale norma non va inteso in senso formale e
restrittivo, come impeditivo soltanto della possibilità che le aziende
manifestino direttamente la volontà di obbligarsi, ma nel senso che ad
essere vietato è il risultato, con qualsiasi procedimento ottenuto, di
vincolare l’azienda al rispetto di statuizioni derogatorie della
contrattazione nazionale che siano l’effetto di un atto perfezionatosi
successivamente all’entrata in vigore della norma imperativa (Cass. 5
marzo 2001, n. 3196, che riprende S.U. 19 novembre 1998, n. 11714 e
Cass. 29 aprile 1998, n. 4386; conf. Cass. 12478/1999; 6161/2000;

Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-12-

erroneamente la Corte del merito avesse respinto la domanda

7103/2000; cfr. da ultimo, Cass. n. 18251 del 2011, n. 21293 del 2009,
n. 29926 del 2008).
Tale norma era sicuramente vigente anche al tempo della stipulazione
degli accordi aziendali di cui la società, attuale ricorrente, ha fatto
applicazione; il citato art. 5 ter rende nulli tutti gli atti posti in essere
successivamente alla sua entrata in vigore, di modo che è nulla per

violazione di norma imperativa la clausola di un contratto aziendale
che disponga una riduzione dell’orario di lavoro a 37 ore in luogo delle
39 ore stabilite dalla contrattazione nazionale.
Peraltro, la sentenza impugnata è basata su altre autonome a) il
lavoratore aveva l’obbligo di svolgere 39 ore settimanali e se vi era stata
una erogazione non dovuta, questa era imputabile solo al datore di
lavoro; b) in mancanza di buste paga non era dato ricostruire i termini
attraverso i quali il rapporto fu regolato tra le parti; c) comunque, la
prestazione doveva essere compensata ex art. 2126 c.c..
A fronte di tale precisa motivazione, l’attuale ricorrente per
cassazione, denunciando error in indicando, in relazione all’art. 360 n. 3
c.p.c., censura solo il riferimento fatto dal giudice di appello all’art.
2126 c.c., mentre sono del tutto ignorati gli altri argomenti giuridici
che, alternativamente, sono indicati a fondamento del decisum.
Secondo costante orientamento di questa Corte, nel ricorso per
cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui
all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., giusta il disposto di cui all’art.
366, primo comma n. 4, c.p.c. deve essere, a pena d’inammissibilità,
dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto
contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in
contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o
dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C.
Ric. 2012 n. 21167 sez. ML – ud. 19-12-2013
-13-

z;5

di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il
fondamento della denunziata violazione (Cass. nn. 16132/05,
26048/05, 20145/05, 1108/06, 10043/06, 20100/06, 21245/06,
14752/07 e 3010/12; da ultimo, v. Cass. 5 luglio 2013 n. 16862).
9. Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va,

10. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della
società e vanno distratte, nella misura indicata in dispositivo, in favore
del difensore avv. Ricardo Faranda, che ha dichiarato di averle
anticipate.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro
100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore
antistatario.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

conclusivamente, respinto.

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