Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5847 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/03/2017, (ud. 17/02/2017, dep.08/03/2017),  n. 5847

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16901/2016 proposto da:

G.N., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE

MAZZINI 27, presso lo studio dell’Avvocato MARCO PETRONE, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ACHILLE PAPA

21, presso lo studio dell’Avvocato RODOLFO GAMBERINI MONGENET, che

la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

GESTIONI IMMOBILIARI SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 7045/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/12/2015.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/02/2017 dal Consigliere ALBERTO GIUSTI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.C., promissaria acquirente di un appartamento sito in Roma, giusta contratto preliminare del 18 maggio 1998, conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma la promittente venditrice, G.N., per la risoluzione del contratto per inadempimento e per il risarcimento dei danni;

che a sostegno della domanda deduceva che la convenuta non aveva provveduto a cancellare l’ipoteca, dichiarata nel preliminare, che gravava sull’immobile, nonostante la caparra di Lire 100 milioni versata proprio a tal fine, di guisa che non le era stato possibile, a sua volta, contrarre un mutuo ipotecario in tempo utile per la stipula del definitivo di vendita; che, inoltre, sull’immobile promesso gravava anche un’altra ipoteca, questa non dichiarata, iscritta dal condominio per il pagamento di oneri condominiali pregressi; che, infine, l’appartamento presentava irregolarità di natura urbanistica e necessitava di significativi lavori riguardanti l’impianto di riscaldamento e di erogazione del gas per la cucina;

che la convenuta, nel resistere in giudizio, deduceva, in particolare, che il contratto preliminare prevedeva la cancellazione dell’ipoteca entro la data del rogito; chiedeva il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la risoluzione del contratto per inadempimento della C., cui addebitava di non avere versato l’ulteriore rateo di 50 milioni di Lire sul prezzo di vendita pattuito;

che il Tribunale, in accoglimento della domanda principale, dichiarava risolto il contratto per inadempimento della G., che condannava al risarcimento dei danni nella misura di Lire 132.500.000;

che tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Roma, che con sentenza n. 346/07 dichiarava risolto il contratto per inadempimento della C.;

che la Corte capitolina osservava che, in base alla clausola n. 2 del contratto, il prezzo, salvo l’acconto di Lire 100 milioni versato all’atto della conclusione del preliminare, doveva essere corrisposto nella misura di Lire 50 milioni entro il successivo 30 giugno, mentre il pagamento del saldo, pari a Lire 290 milioni, doveva avvenire alla data del rogito “mediante mutuo bancario richiesto a cura e spese dell’acquirente; a tal scopo la parte venditrice si impegna(va) a fornire tutta la documentazione necessaria alla stipula del contratto di mutuo e di vendita e ad essere terzo datore d’ipoteca”;

che quindi, posto che la successiva clausola n. 6 fissava entro il mese di novembre 1998 il rogito notarile, con scelta del notaio a carico della parte acquirente, la Corte romana rilevava (a) che la C. non aveva nè dedotto, nè provato di aver mai comunicato all’altra parte data e nominativo del notaio prescelto; (b) che inoltre per la configurazione del dedotto inadempimento della promittente venditrice sarebbe stato necessario un atto di costituzione in mora da parte della C.; e (c) che, infine, tale costituzione in mora neppure vi era stata, atteso che la G. non era mai stata convocata davanti al notaio;

che la Corte d’appello concludeva, quindi, nel senso che non vi erano elementi che giustificassero un’interpretazione extratestuale delle predette clausole del contratto preliminare, per cui il mancato pagamento dell’ulteriore acconto di 50 milioni di Lire integrava, rapportato all’economia complessiva dell’affare, gli estremi di un inadempimento grave e tale da giustificare la risoluzione del contratto per inadempimento della parte promissaria acquirente;

che la Corte di cassazione, con sentenza 28 maggio 2013, n. 13208, ha accolto il terzo motivo del ricorso della C., assorbiti gli altri, e ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma;

che con il terzo motivo erano dedotti la violazione dell’art. 1362 c.c. e degli artt. 99, 112 e 277 c.p.c., nonchè il vizio di motivazione su un punto decisivo della causa, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, dolendosi la ricorrente che la Corte territoriale non avesse considerato in alcun modo nè che la G. aveva taciuto l’esistenza di un’ulteriore iscrizione ipotecaria, derivante da un ricorso per decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio, nè l’irregolare situazione urbanistica dell’immobile;

che la Corte di Cassazione, nel ritenere fondato il terzo motivo, ha così motivato:

“La Corte romana… ha omesso di considerare un fatto che era stato evidenziato dal giudice di prime cure nel motivare l’accoglimento della domanda di risoluzione proposta dalla C.. Non ha valutato, infatti, che oltre all’ipoteca espressamente contemplata dalle parti, sull’immobile promesso gravava un’altra formalità pregiudizievole, non dichiarata, consistente in un’ipoteca iscritta in forza di un decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio nei confronti della G.. Si tratta di un fatto assolutamente decisivo ai fini del giudizio, per ragioni di carattere generale e particolare. Sotto il primo aspetto, perchè ai sensi dell’art. 1482 c.c. (la cui applicabilità analogica al contratto preliminare è costantemente affermata dalla giurisprudenza di questa Corte…) il promissario acquirente, se la cosa promessa è gravata da garanzie reali (o da pignoramento o sequestro) non dichiarate(i) dal promittente venditore, può sia sospendere il pagamento del prezzo, sia domandare la risoluzione del contratto, avendo egli la facoltà e non già l’obbligo di chiedere al giudice la fissazione di un termine per la cancellazione dei gravami… In ogni caso, fin tanto che questi ultimi non siano cancellati è legittimo il rifiuto del promissario acquirente di stipulare il contratto definitivo… Sotto il secondo aspetto, la decisività del fatto emerge da ciò, che la Corte romana ha ricostruito il regolamento contrattuale nel senso che il saldo prezzo, pari a 290 milioni del vecchio conio, avrebbe dovuto essere versato al momento del rogito notarile, “mediante mutuo bancario richiesto a cura e spese dell’acquirente”, con l’ulteriore espressa previsione che “a tal scopo la parte venditrice si (era) impegna(ta) a fornire tutta la documentazione necessaria alla stipula del contratto di mutuo e di vendita e ad essere terzo datore d’ipoteca”. Tale essendo l’accertamento operato in punto di fatto dalla Corte distrettuale, è evidente che l’esistenza di un’ipoteca non dichiarata nel preliminare consentiva alla C. di chiedere senz’altro la risoluzione del contratto e di sospendere il pagamento del prezzo, anche in considerazione del fatto che per espressa clausola contrattuale il pagamento stesso richiedeva la cooperazione della parte promittente venditrice, che si sarebbe dovuta costituire quale terza datrice di ipoteca ai fini della concessione del mutuo bancario. Ed è di solare chiarezza che la presenza del gravame impediva tanto la dazione di ipoteca quanto la contrazione del mutuo. Il non aver considerato tale fatto – cioè l’esistenza di un’ipoteca non dichiarata – falsa il ragionamento operato dalla Corte capitolina e ne vizia la decisione ai sensi dell’art. 360 c.pc.., n. 5″;

che, giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 10 dicembre 2015, ha rigettato l’appello della G. e condannato la soccombente al rimborso delle spese processuali;

che per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 giugno 2016, sulla base di un motivo;

che l’intimata ha resistito con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata notificata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che l’unico motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1482 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo per il giudizio, essendo stata l’ipoteca giudiziale iscritta dal condominio l’8 luglio 1998, successivamente alla sottoscrizione, il 18 maggio 1998, del preliminare;

che il motivo è inammissibile, in quanto sottopone a censura in realtà il principio enunciato dalla Corte di Cassazione in sede rescindente, basato sull’accertamento dell’errore compiuto dalla prima sentenza d’appello di non avere considerato il fatto dell’esistenza dell’ipoteca non dichiarata;

che la ricorrente censura un punto già deciso dalla Corte di cassazione;

che il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo;

che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

dichiara il ricorso inammissibile e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, il 17 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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