Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5846 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5846 Anno 2014
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: BLASUTTO DANIELA

SENTENZA
sul ricorso 6099-2012 proposto da:
ATAC SPA 06341981006 quale incorporante di Trambus SpA in
persona dell’Amministratore Delegato e legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POMPEO
MAGNO 23/A, presso lo studio degli avvocati PROIA GIAMPIERO
e PETRASSI MAURO, che la rappresentano e difendono, giusta
delega a margine del ricorso;

– ricorrente contro
LONGO GIAN MARIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato FARANDA

1C2.15

_2

‘2)

Data pubblicazione: 13/03/2014

RICCARDO (Studio Legale Associato FARANDA CRUPI
DELL’ALPI), che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del
controricorso;

– controricorrente –

ROMA del 30.11.2010, depositata il 28/02/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
19/12/2013 dal Consigliere Relatore Dott. DANIELA BLASUTTO;
udito per la ricorrente gli Avvocati Giampiero Proia e Mauro Petrassi
che si riportano ai motivi del ricorso;
udito per il controricorrente l’Avvocato Riccardo Faranda che si
riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. MARCELLO
MATERA che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma respingeva
il gravame proposto dalla Trambus s.p.a. avverso la sentenza di primo
grado, che aveva accolto il ricorso proposto dall’attuale resistente
inteso ad ottenere la conversione del contratto di formazione e lavoro
in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato con
decorrenza dal marzo 2000 e la condanna della predetta società al
pagamento dell’indennità denominata ERS (elemento di riordino del
sistema retributivo) ed aveva respinto la domanda riconvenzionale
proposta dalla Trambus per l’accertamento dell’obbligo dei lavoratori
di osservare un orario di lavoro di 39 ore settimanali in luogo delle 37
ore settimanali da lui osservate nel tempo successivo alla assunzione
con contratto a tempo indeterminato e la condanna dello stesso a
restituire all’azienda quanto indebitamente percepito a titolo di lavoro
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-2-

avverso la sentenza n. 9886/2010 della CORTE D’APPELLO di

straordinario in applicazione di un accordo aziendale nullo per
contrasto con norma imperativa.
Osservava la Corte di appello:
– che non via era alcuna prova, né allegazione circa l’adempimento
degli obblighi formativi previsti dal c.f.1.,

autorizzava l’esclusione dei lavoratori che fossero stati ritenuti in
servizio a tale data con sentenza di conversione del rapporto di
formazione e lavoro in rapporto a tempo indeterminato; il successivo
accordo sindacale del 24.3.2005 aveva valore innovativo, prevedendo
un nuovo requisito per potere beneficiare dell’ERS, ossia che
l’assunzione fosse anteriore al 2.3.2000;
– che, quanto alla domanda riconvenzionale proposta da Trambus
S.p.A. per la restituzione delle somme erogate quale straordinario oltre
le 37 ore settimanali sulla base di una norma aziendale ritenuta nulla
dalla Corte di Cassazione in precedente pronunzia (Cass. n.
12661/2004) poiché adottata in deroga alla contrattazione nazionale
che prevedeva un orario settimanale di 39 ore, le allegazioni di parte
convenuta erano del tutto generiche quanto all’espletamento della
prestazione oltre la 37^ ora.
Per la cassazione di tale decisione ricorre l’ATAC s.p.a., quale
incorporante di Trambus s.p.a., affidando l’impugnazione a tre motivi,
illustrati con memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
Resiste con controricorso il lavoratore, che espone ulteriormente le
proprie difese in memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, l’ATAC s.p.a. denunzia violazione e falsa
applicazione dell’art. 12 disp. gen., in relazione al D.L. n. 726 del 1984,
art. 3, convertito in L. n. 863 del 1984, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3,
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-3-

– che, quanto all’E.R.S., il tenore dell’accordo dell’H luglio 2000 non

assumendo che la funzione precipua del c.f.l. è quella di favorire la
costituzione di rapporti di lavoro subordinato per i giovani e tale
finalità è prevalente su quella meramente formativa; nella specie
l’attuale resistente era stato assunto a tempo indeterminato allo scadere
del contratto di formazione e lavoro e ciò costituiva la dimostrazione

un qualsiasi discostamento, anche lieve, dal programma di formazione
non può essere idoneo a determinarne la conversione in rapporto di
lavoro a tempo indeterminato, qualora si accerti che il contratto ha
raggiunto la finalità di consentire al giovane un ingresso guidato nel
mondo del lavoro. Significato interpretativo può trarsi dal d.lgs. n. 276
del 2003 che nel prevedere una nuova tipologia contrattuale – il
contratto di inserimento (art. 54 e segg.) in sostituzione del c.f.l. prescinde completamente dalla previsione di un progetto formativo.
2. Con il secondo motivo la società ricorrente lamenta violazione e
falsa applicazione dell’art. 1321 cod. civ., art. 1362 cod. civ. e segg., in
relazione all’accordo collettivo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di
accordo 24 marzo 2005, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.
Assume che con il c.c.n.l. 11 aprile 1995 fu stabilito un salario di
ingresso per i neo-assunti con c.f.1., il cui trattamento, durante il
contratto stesso e per i quindici mesi successivi alla trasformazione,
prevedeva l’esclusione di tutti gli istituti retributivi previsti dalla
contrattazione aziendale, il successivo accordo nazionale del 2 marzo
2000 aveva fatto riferimento alla necessità di procedere alla
riclassificazione degli istituti salariali aziendali e di definire a livello
aziendale la quota da riservare ai neo assunti. Tale disposizioni vennero
attuate dall’ATAC con l’accordo aziendale dell’H luglio 2000 che, nel
definire le nuove voci, stabilì la soppressione di ogni altra indennità,
premio o maggiorazione in precedenza prevista a livello aziendale; al
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-4-

che il contratto aveva raggiunto lo scopo cui era preordinato. Inoltre,

contempo, al fine di compensare della soppressione di tali voci chi di
fatto già ne godeva, mantenendo un “differenziale” sul trattamento
economico dei più anziani rispetto a quello dei più giovani, l’art. 2 di
tale accordo del luglio 2000 previde che fosse istituito, a decorrere dal
mese di agosto 2000, “per il solo personale in forza a tempo

mensile consolidato denominato Elemento di Riordino del Sistema
retributivo (ERS)”. Sostiene la ricorrente che la ratio e la finalità
dell’accordo dell’H luglio 2000 erano quelle di limitare il diritto all’ERS
ai soli dipendenti formalmente assunti a tempo indeterminato,
escludendo proprio i lavoratori in quel momento assunti con contratti
di lavoro flessibile. Il verbale sindacale del 24 marzo 2005 si limitò a
confermare tale interpretazione, senza alcuna portata novativa; la
possibilità delle parti sociali di fornire una interpretazione autentica
della propria volontà contrattuale è riconducibile al negozio di
accertamento, dovendosi pure considerare che in tema di
interpretazione di contratti collettivi il comportamento posteriore delle
parti, valutabile ex art. 1362 secondo comma cod. civ., può essere
costituito da un successivo accordo, il quale – nella parte non
direttamente dispositiva – presupponga una determinata
interpretazione di una complessa ed organica disciplina di istituti
contrattuali articolata nel tempo e nel corso di più contratti collettivi.
3. Con il terzo motivo, la società si duole della violazione e falsa
applicazione del c.c.n.l. 23.7.1976, stipulato tra Federtrasporti, ANAC
FENIT e le 00.SS. FILT CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e
dell’accordo collettivo nazionale del 12 luglio 1985 stipulato tra FILT
CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti e Federtrasporti, l’ANAC, la FENIT
e l’INTERSIND, nonché della violazione e falsa applicazione del
c.c.n.l. 25 luglio 1997 stipulato tra ANAC, la FENIT, e le 00.SS.
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-5-

indeterminato alla data di stipula del presente accordo, un emolumento

FILT-CGIL, FIT-CISL e UIL Trasporti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n.
3), assumendo il vizio della sentenza in relazione al rigetto della
domanda riconvenzionale della società. Rileva che l’orario di 39 ore
settimanali stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale era stato
ridotto a 37 ore in virtù di previsione di contrattazione aziendale

resistente, ma tale accordo era stato ritenuto nullo dalla Corte di
Cassazione con sentenza n. 12661 dell’8 luglio 2004. I lavoratori
avevano così indebitamente percepito successivamente alla assunzione
a tempo indeterminato (dal marzo 2002 in poi) i compensi per lavoro
straordinario per le ore prestate dalla 37ma alla 39ma, le cui differenze
erano state oggetto della domanda restitutoria erroneamente respinta
dalla Corte di appello, che non aveva dato una corretta interpretazione
alla domanda proposta (art. 112 cod. proc. civ.). Inoltre, era stato
erroneamente ritenuto che l’art. 5 ter del d.l. n. 702 del 1978 non
regolasse la fattispecie in esame; al contrario i due accordi, quello
aziendale del 1983 e quello nazionale del 1985, erano stati adottati
nella piena operatività di tale disposizione e del primo l’Azienda aveva
continuato a fare applicazione anche successivamente.
4. Il ricorso è infondato.
5.

Preliminarmente, il Collegio richiama il proprio orientamento

interpretativo espresso nelle recenti sentenze nn. 18553 del 29 ottobre
2012, n.20598 del 22 novembre 2012, n.20761 del 23 novembre 2012,
nonché n.16445 dell’I luglio 2013 rese in fattispecie del tutto analoghe
a quella oggetto del ricorso in esame.
6. Quanto alle censure di cui al primo motivo, questa Corte ha
ripetutamente affermato che, in tema di contratto di formazione e
lavoro, l’inadempimento degli obblighi di formazione determina la
trasformazione, fin dall’inizio, del rapporto in rapporto di lavoro
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-6-

(accordo 16 giugno 1983), pacificamente applicato anche all’attuale

subordinato a tempo indeterminato, qualora l’inadempimento abbia
un’obiettiva rilevanza, concretizzandosi nella totale mancanza di
formazione, teorica e pratica, ovvero in una attività formativa carente o
inadeguata rispetto agli obiettivi indicati nel progetto di formazione e
quindi trasfusi nel contratto. In questa seconda ipotesi il giudice deve

giungendo alla declaratoria di trasformazione del rapporto (V. per tutte
Cass. 1 febbraio 2006 n. 2247, Cass. 7 agosto 2004 n. 15308; Cass. 4
ottobre 2004 n. 19846 e, più specificamente, Cass. 9 marzo 2009 n.
5644, relativa all’ipotesi in cui il lavoratore, già al momento della sua
assunzione con c.f.1., possegga la professionalità che, secondo gli
accordi intervenuti, dovrebbe costituire lo scopo del programma
formativo avendo espletato in precedenza analoga attività lavorativa).
La Corte di appello, sul rilievo della totale mancanza di
formazione, ha dichiarato la trasformazione del rapporto di lavoro è,
pertanto, corretta in diritto.
Lo scopo del contratto di formazione e lavoro è quello di favorire un
ingresso guidato dei giovani nel mondo del lavoro, attraverso un
rapporto che dia loro anche gli strumenti per apprendere una
determinata professionalità ed è consentito al datore di lavoro l’uso di
una circoscritta discrezionalità nel realizzare il programma di
formazione, che si traduce nella possibilità di alternare la fase teorica
con la fase pratica tenendo conto delle esigenze dell’impresa, ma tale
discrezionalità non può mai spingersi fino ad espungere una delle due
fasi dalla esecuzione del contratto, atteso che entrambe sono
coessenziali, con la conseguenza che il periodo di prova in tanto è
rilevante per giudicare delle attitudini del lavoratore in formazione in
quanto nello stesso, sia pure con cadenze diverse rispetto a quelle
previste dal programma, siano presenti entrambe le predette fasi
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-7-

valutare in base ai principi generali la gravità dell’inadempimento,

coessenziali al raggiungimento dello scopo di un inserimento
qualificato nel mondo del lavoro (Cass. 8 gennaio 2003, n. 82).
Né può indurre a diverse conclusioni il richiamo al contratto
d’inserimento – di cui alla legge D.Lgs. n. 276 del 2003 – riguardando la
presente fattispecie un contratto del tutto diverso al quale il richiamato

sociale.
7. Non è fondata la seconda censura con cui la società ricorrente,
denunciando violazione degli artt. 1321, 1362 c.c., e segg., in relazione
all’accordo aziendale 11 luglio 2000 ed al verbale di accordo 24 marzo
2005, prospetta che la Corte del merito ha erroneamente ritenuto,
quanto alla spettanza dell’ERS – elemento di riordino del sistema
retribuivo- , che l’accordo d’interpretazione autentica del 24 marzo
2005 – in base al quale veniva esclusa la corresponsione di detto ERS a
coloro i quali, come l’attuale resistente, al momento della stipula del
precedente accordo del 2000 non erano lavoratori subordinati a tempo
indeterminato – aveva natura innovativa.
Il decisum sul punto della sentenza impugnata si fonda essenzialmente
sulla considerazione che, in conseguenza della trasformazione del
rapporto a tempo indeterminato con efficacia

ex tunc, l’attuale

resistente era all’epoca dell’accordo a tutti gli effetti giuridici ed
economici dipendente a tempo indeterminato e come tale rientrante
nel “personale in forza a tempo indeterminato alla data della stipula
dell’accordo” al quale, secondo detto accordo, spettava la
corresponsione del c.d. ERS.
Assume la società che all’attuale resistente non spetterebbe il
richiamato ERS poiché con l’accordo del 24 marzo 2005 le parti,
interpretando in via autentica la precedente intesa dell’I. 1 luglio 2000,
avevano escluso dalla corresponsione dell’ERS coloro i quali non
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-8-

D.Lgs. ha assegnato ratione temporis una differente funzione economico-

fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato all’epoca della
stipula dell’accordo del 2000, ciò al fine di escludere gli assunti con
contratto di formazione lavoro i quali si erano visti riconoscere expost
la qualificazione giuridica del proprio rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.

l’esattezza dell’affermazione della Corte di appello secondo la quale
l’accordo del 2005 non ha natura interpretativa, bensì innovativa.
Invero, affinché un negozio giuridico successivo possa ritenersi
interpretativo di uno precedente è necessario, al di là delle espressioni
di qualificazione utilizzate dalle parti, che la volontà esplicitata
nell’ultimo negozio sia desumibile anche dal precedente, viceversa la
nuova intesa è innovativa e non interpretativa.
Avuto riguardo al caso di specie, ritiene il Collegio che la volontà di
limitare la corresponsione dell’ERS solo ai lavoratori che al marzo del
2000 fossero formalmente dipendenti a tempo indeterminato con
esclusione di coloro i quali fossero divenuti tali per effetto di
successivo riconoscimento giudiziale non sia desumibile dall’accordo
del 2000, non essendovi alcuna clausola contrattuale che legittima
siffatta ricostruzione della volontà delle parti. Né la società ricorrente
la indica, limitandosi a prospettare le ragioni storiche che indussero le
parti alla previsione dell’ERS. Tanto, tuttavia, non è sufficiente, atteso
che la volontà esplicitata nell’intesa del 2005 non trova alcun riscontro
nell’accordo del 2000, dove si fa riferimento al “personale in forza a
tempo indeterminato alla data di stipula del presente accordo”, né in
altre clausole collettive.
La ratio posta a base dell’accordo del 2005, come prospettata dalla
stessa società ricorrente è, all’evidenza, del tutto estranea all’accordo
precedente ed è funzionale all’esigenza di far fronte ad una situazione
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-9-

Ritiene il Collegio che la stessa prospettazione della società confermi

venutasi a creare dopo l’accordo del 2000. Tutto ciò a prescindere dalla
possibilità per le parti sociali, in sede di contrattazione collettiva del
settore privato, di procedere ad un’interpretazione di clausole
contenute in precedente contratto, essendo tale meccanismo
espressamente previsto con riguardo al settore del lavoro pubblico

efficacia ed interpretazione dei contratti collettivi nazionali sottoscritti
dall’ARAN, di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 64, ed operando, in
tema di contrattazione collettiva privata, il principio della normale
successione dei contratti.
Tali considerazioni hanno carattere assorbente di ogni altro rilievo
mosso dalla società alla sentenza impugnata.
8. E’ infondato anche il terzo motivo con cui, la società la società
critica la sentenza impugnata assumendo che, stante la nullità – per
effetto della sentenza n. 12661 del 2004 di questa Corte – della
contrattazione aziendale (accordo 18 luglio 1983), la quale aveva
previsto una riduzione dell’orario di lavoro da 39 ore settimanali a 37
ore, erroneamente la Corte del merito avesse respinto la domanda
riconvenzionale.
In punto di diritto, questa Corte ha più volte affermato che, in tema
di trattamento economico dei pendenti di aziende municipalizzate, il
D.L. n. 702 del 1978, art. 5 ter, convertito in L. n. 3 del 1979 -che, tra
l’altro, fa divieto alle aziende municipalizzate degli enti territoriali di
stipulare accordi integrativi aziendali che comportino erogazioni
economiche aggiuntive rispetto a quelle previste nei contratti nazionali
– è norma a carattere imperativo essenzialmente intesa ad un
trattamento economico uniforme su tutto il territorio nazionale per i
dipendenti delle aziende municipalizzate, alla parità delle aziende
suddette in relazione ai costi del personale, nonché al contenimento
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-10-

privatizzato in tema di procedura di accertamento della validità,

dei costi medesimi, onde il divieto espresso da tale norma non va
inteso in senso formale e restrittivo, come impeditivo soltanto della
possibilità che le aziende manifestino direttamente la volontà di
obbligarsi, ma nel senso che ad essere vietato è il risultato, con
qualsiasi procedimento ottenuto, di vincolare l’azienda al rispetto di

di un atto perfezionatosi successivamente all’entrata in vigore della
norma imperativa (Cass. 5 marzo 2001, n. 3196, che riprende S.U. 19
novembre 1998, n. 11714 e Cass. 29 aprile 1998, n. 4386; conf. Cass.
12478/1999; 6161/2000; 7103/2000; cfr. da ultimo, Cass. n. 18251 del
2011, n. 21293 del 2009, n. 29926 del 2008).
Tale norma era sicuramente vigente anche al tempo della stipulazione
degli accordi aziendali di cui la società, attuale ricorrente, ha fatto
applicazione; il citato art. 5 ter rende nulli tutti gli atti posti in essere
successivamente alla sua entrata in vigore, di modo che è nulla per
violazione di norma imperativa la clausola di un contratto aziendale
che disponga una riduzione dell’orario di lavoro a 37 ore in luogo delle
39 ore stabilite dalla contrattazione nazionale.
Peraltro, la sentenza impugnata è basata su un’autonoma ratio

decidendi laddove evidenzia che non vi era prova della prestazione
lavorative resa oltre la 37^ ora.
Contrariamente a quanto assume parte ricorrente, dal tenore della
sentenza si desume che il giudice di appello ha ritenuto la domanda
infondata per carenza delle allegazioni di fatto poste a fondamento
della richiesta di ripetizione di indebito. Questo, trovando titolo nella
erogazione di compensi per lavoro straordinario (erogazione che si
assume avvenuta sine titulo), presupponeva la chiara allegazione dei fatti
costitutivi del diritto e dunque dell’effettività della prestazione
lavorativa resa tra la 37 0 e la 39° ora e della erogazione dei compensi
Ric. 2012 n. 06099 sez. ML – ud. 19-12-2013
-Il-

statuizioni derogatorie della contrattazione nazionale che siano l’effetto

per lavoro straordinario. Dalla sentenza impugnata si ricava che
l’allegazione dei fatti costitutivi era mancata, poiché nella domanda
(interpretata nel suo insieme e non solo alla stregua delle conclusioni
che ne definivano il petitum) non era stato nemmeno chiarito se la
prestazione eccedente la 37° ora fosse stata effettivamente resa. Il

sostanziale della domanda, rilevandone tuttavia una carente allegazione
dei suoi fatti costitutivi.
9.

Sulla base delle esposte considerazioni il ricorso va,

conclusivamente, respinto.
10. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della
società e vanno distratte, nella misura indicata in dispositivo, in favore
del difensore avv. Ricardo Faranda, che ha dichiarato di averle
anticipate.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento delle spese di lite del presente giudizio, che liquida in Euro
100,00 per esborsi, Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre
accessori di legge, con distrazione in favore del procuratore
antistatario.
Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2013
Il Consigliere est.

Il Presidente

giudice di appello ha dunque individuato l’effettivo contenuto

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