Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5843 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 10/03/2010), n.5843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 25837-2005 proposto da:

UNICREDIT BANCA S.P.A. (c.f. (OMISSIS) – P.I. (OMISSIS)), già

Credito Italiano s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 77,

presso l’avvocato DEL BUFALO PAOLO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SCORZA GIUSEPPE, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

F.G., F.R., FO.FR., D.C.;

– intimati –

sul ricorso 29180-2005 proposto da:

F.G. (c.f. (OMISSIS)) in proprio, F.

R., FO.FR., tutti nella qualità di eredi di

C.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO

MAGNO 2/B, presso l’avvocato GUZZI RODOLFO, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LEVATO BIAGIO FRANCESCO, giusta

procura a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

UNICREDIT BANCA S.P.A., già Credito Italiano s.p.a., in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIALE BRUNO BUOZZI 77, presso l’avvocato DEL BUFALO PAOLO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SCORZA GIUSEPPE, giusta

procura a margine del ricorso principale ;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

D.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3 795/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA ROSARIA COLTRERA;

udito, per la ricorrente principale, l’Avvocato FILIPPO TORNABUONI,

con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale,

rigetto dell’incidentale;

udito, per i controricorrenti e ricorrenti incidentali, l’Avvocato

BIAGIO FRANCESCO LEVATO che ha chiesto il rigetto del ricorso

principale, l’accoglimento dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo

del ricorso principale e rigetto dei restanti motivi dello stesso

ricorso; per l’accoglimento del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

I coniugi F.G. e C.M. con atto 29 gennaio 1988 citarono innanzi al Tribunale di Roma il Credito Italiano s.p.a.

e D.C., funzionario della banca addetto alle relazioni col pubblico, per ottenere la condanna della banca, previo rendiconto, alla restituzione della somma di L. 450.000.000 pari agli importi di due ammanchi di complessive L. 450.000.000, di cui L. 150.000.000 riscontrato sul conto corrente ordinario n. (OMISSIS) cointestato, ed il residuo sul conto deposito titoli n. (OMISSIS), di cui era titolare il solo F.G.. In alternativa chiesero condannarsi in solido entrambi i convenuti, per quanto riguarda la banca sotto il duplice profilo della responsabilità contrattuale per inadempienza e della responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2049 c.c. al ristoro del pregiudizio patito in L. 500.000.000.

Contumace il D., la banca contestò la propria responsabilità contrattuale eccependo la tacita approvazione degli estratti conto, e quella extracontrattuale, che imputò in via esclusiva al proprio dipendente per avere operato nell’ambito di rapporti personali intrattenuti con gli attori.

Il Tribunale respinse la domanda con sentenza 29 aprile 1992.

La statuizione, impugnata dagli attori innanzi alla Corte d’appello di Roma, venne confermata con sentenza 28 marzo 1995 che sostenne la tesi, già affermata dal primo giudice, secondo cui l’omessa tempestiva impugnazione dei conti trimestrali in cui figuravano le poste controverse, avendone comportato tacita approvazione, aveva precluso qualsiasi successiva contestazione, ed escluse altresì la responsabilità extracontrattuale della banca, derivando dalla condotta mantenuta dai correntisti ratifica dell’operato del suo funzionario.

Gli attori proposero quindi ricorso innanzi a questa Corte di Cassazione che, con sentenza 11 agosto 1998 n. 7869, cassò la decisione impugnata con rinvio degli atti al giudice d’appello, cui rimise l’indagine sulla fondatezza delle contestazioni mosse dagli attori. I supremi giudici sostennero che, dal momento che la stessa banca aveva eccepito l’estraneità delle appostazioni controverse al rapporto bancario, le risultanze contabili in discussione, di fatto incluse negli estratti conto, erano sottratte alla rigorosa disciplina dell’art. 1832 c.c., riferibile al conto corrente ordinario in cui erano confluite anche le operazioni sui titoli.

L’azione esercitata, volta a contestare gli atti dispositivi posti a base delle poste del conto per vizi che ne comportavano invalidità o inefficacia, non era pertanto coperta dall’effetto confessorio dell’approvazione tacita degli estratti conto, con conseguente obbligo del giudice di merito di verificarne la fondatezza attraverso accesso al procedimento di verificazione della falsità delle sottoscrizioni disconosciute, che erroneamente non era stato ammesso nelle fasi pregresse.

La Corte territoriale, con sentenza n. 3795 depositata il 6 settembre 2004, ha quindi accolto parzialmente il gravame dei coniugi F.- C., pronunciando condanna nei confronti solo dell’Unicredit, nelle more subentrato al Credito Italiano, al pagamento della somma originariamente chiesta convertita in Euro 232.405,60 oltre accessori, nonchè alla refusione delle spese del doppio grado di giudizio in favore del F. e degli eredi della C., costituitisi in giudizio in seguito al decesso di quest’ultima, intervenuto nelle more del giudizio. Tale decisione è stata infine impugnata dall’Unicredit Banca s.p.a. col presente ricorso per cassazione affidato a quattro mezzi. Hanno resistito F.G. in proprio e unitamente ai germani F.R. e Fr. in qualità di eredi di C.M. con controricorso contenente ricorso incidentale, a sua volta articolato in tre motivi resistiti dalla ricorrente principale. Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In linea preliminare si dispone la riunione del ricorsi ai sensi dell’art. 335 c.p.c. in quanto sono stati proposti avverso la medesima decisione.

Ancora in limine devesi dichiarare l’ammissibilità del ricorso incidentale.

E’ infatti infondata l’eccezione del ricorrente principale, che ne ha dedotto l’inammissibilità per tardività in quanto, avendo ad oggetto motivi autonomi rispetto alle censure mosse nel ricorso principale, avrebbe dovuto proposto entro il termine ordinario previsto per l’impugnazione della sentenza de qua, che alla data della sua notifica era ormai spirato.

L’art. 334 c.p.c. consente alle parti contro le quali è proposta impugnazione di proporre impugnazione incidentale anche se per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza. La ratio della disposizione sta nell’opportunità di consentire alla parte anzidetta d’accettare la decisione, in condizione di reciproca soccombenza, solo se l’abbia accettata anche controparte, e di attenderne quindi l’iniziativa senza dover proporre impugnazione. In difetto di limitazioni oggettive, essa opera in relazione a qualsiasi capo della sentenza. L’interesse all’impugnazione incidentale tardiva sorge infatti solo dall’impugnazione principale e può ritenersi soddisfatto solo se il soccombente può impugnare qualsiasi parte della sentenza a lui sfavorevole, sia essa quella già investita dall’impugnazione principale, sia essa esterna a tale ambito. Come si assume in dottrina, d’altronde, “il soccombente pro parte misura l’esito del giudizio esercitando una valutazione complessiva ed unitaria di tutte le pronunce, sfavorevoli e favorevoli, costituenti il contenuto della sentenza”.

Tale esegesi, ormai consolidata nell’orientamento di questa Corte a partire dalle decisione delle S.U. n. 4640/1989, indi riaffermata ancora dalle Sezioni Unite n. 6 52/98 nonchè dalle pronunce a sezioni semplici nn. 5550/04, 12920/04, 19155/05, 2127/07, 8212/07, 14969/07, ha ricevuto ulteriore conferma nella recente decisione n. 9741/2008 delle Sezioni Unite che, dirimendo (contrasto sorto in ordine all’ambito applicativo del disposto dell’art. 334 c.p.c., comma 2 ha ribadito che l’impugnazione incidentale mira a rimettere in termini la parte non totalmente; vittoriosa che ha lasciato decorrere il termine per impugnare la sentenza, consentendole di chiedere a sua volta di censurare la decisione in relazione ai capi che la vedono soccombente, per evitare il rischio del passaggio in giudicato della sentenza. In simile evenienza, che va riferita dunque ad ogni statuizione espressa nel dictum conclusivo, dipendente o autonoma che sia rispetto alla censura principale, il termine cui occorre aver riguardo al fine dello scrutinio della tempestività del ricorso incidentale tardivo è perciò quello sancito dall’art. 370 c.p.c..

E’ indiscusso che questo termine nel caso di specie è stato rispettato. Il ricorso incidentale è stato notificato il 18 novembre 2005, tempestivamente rispetto alla data del 19 ottobre precedente di notifica del ricorso principale. L’Unicredit, ricorrente principale, denuncia col primo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c, dell’art. 2697 c.c. degli artt. 346, 383, 384, 389, 392 e 394 c.p.c, e vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.

Deduce omessa pronuncia sulle eccezioni e le difese argomentate in primo grado che, non riproposte con impugnazione incidentale nè nel primo giudizio d’appello nè in cassazione . in quanto assorbite dalla pronuncia d’inoppugnabilità degli estratti conto incontestati, erano state tuttavia integralmente richiamate in sede di rinvio, ed investivano questione decisiva, avente ad oggetto l’indagine sulla riferibilità del denunciato ammanco al rapporto personale tra gli attori ed il D.. Prosegue asserendo che la Corte territoriale ha altresì disapplicato il principio dell’unita della giurisdizione, che consente al giudice civile di porre a base del suo convincimento fatti ed atti acquisiti in sede penale, laddove ha affermato l’irrilevanza dei documenti all’uopo prodotti, rappresentati dalla sentenza del Pretore di Roma 27.1.89 che pronunciò sul reato di truffa ai danni della banca ascritto al D., e dalla sentenza della Corte di Cassazione del 22.4.2003, che respinse analoga domanda proposta da tale Ca.Gi.. La Corte di merito inoltre ha errato nel ritenere sia che la prima decisione coglie solo un riferimento al rapporto di amicizia tra il predetto ed i coniugi F., sia che l’altro precedente riguardasse un caso ben diverso.

Le emergenze accertate dal giudice penale, puntualmente riferite, avrebbero di contro disvelato che gli attori, così come i sigg.

Ca. e ca., avevano affidato la gestione dei loro risparmi al D. il quale aveva agito, in forza di tale rapporto personale, in concorrenza con la banca, ed al di fuori del rapporto bancario.

I resistenti chiedono il rigetto del motivo , rilevando che la Corte territoriale ha esaminato tutte le avverse eccezioni e difese, motivandone, con pronuncia nel merito, l’infondatezza. Nel resto il motivo ripropone indagine sui fatti, inammissibile in sede di legittimità.

Il motivo devesi dichiarare privo di fondamento.

La Corte territoriale ha circoscritto il thema decidendum, interpretato alla stregua del principio espresso nella pronuncia della Cassazione, entro il limite dell’accertamento della responsabilità contrattuale della banca nella gestione di entrambi i conti, dunque teso a verificare se le poste impugnate fossero valide in base agli atti dispositivi costituenti la base di ciascuna posta.

Ha ritenuto perciò preclusa l’indagine, sollecitata nelle sue difese dalla banca, sui rapporti personali tra gli attori ed il D., che lo avevano asseritamente legittimato ad operare sui conti al di fuori del rapporto bancario. Nondimeno ha apprezzato nel merito le risultanze … emergenti dalle decisioni prodotte a sostegno della sua tesi difensiva dalla banca, reputandole irrilevanti alla luce delle ragioni puntualmente riferite. Difatti, la sentenza penale del Pretore di Roma 27.1.89 che assolse il D. dal reato di truffa ai danni della banca, conteneva infatti mero riferimento ad un suo rapporto d’amicizia con i coniugi F., ma non certo ad un’intesa che lo legittimasse ad operazioni d’investimento. La sentenza della Corte d’appello di Roma del 22.4.2003 che aveva rigettato analoga domanda proposta da tal Ca., aveva ad oggetto un caso diverso.

Nel merito ha affermato che l’espletata consulenza grafica ha accertato che ben 10 documenti, specificamente descritti, contenenti appostazioni passive, recavano la sottoscrizione apocrifa F. G., e le ha pertanto dichiarato mille ed inefficaci, escludendole dal conto. Tale decisione tratteggia correttamente i limiti del giudizio di rinvio, circoscrivendoli al mero accertamento della validità delle poste contestate sulla base dell’enunciato della sentenza della cassazione. Ed invero, seppur non fosse tenuta a proporre ricorso incidentale non potendosi ravvisare la sua soccombenza in ordine all’eccezione dichiarata assorbita, la banca ricorrente aveva comunque l’onere di riproporre siffatta eccezione, di cui ora lamenta omesso esame, sollecitandone il riesame al giudice delle pregresse fasi impugnatorie, ove invece essa stessa ammette di non averla affatto richiamata. Ha pertanto consumato palese violazione del disposto dell’art. 346 c.p.c. a tenore del quale le eccezioni non accolte nella precedente sentenza, e tra queste devono intendersi anche quelle sulle quali non sia intervenuta pronuncia espressa perchè assorbite, se non siano state espressamente riproposte, s’intendono rinunciate (cfr. Cass. nn. 2146/06 e 8854/07).

Il corollario ne ha comportato la presunzione d’abbandono, come del resto ha statuito, seppur implicitamente, questa Corte di Cassazione con la sentenza sopra indicata, e; su tale tracciato la Corte territoriale in sede di rinvio con la sentenza in esame.

Nel resto la denuncia in esame investe un passaggio logico della decisione impugnata che, secondo il suo articolato percorso argomentativo, non ha rilievo decisivo in quanto attiene a questione, dichiarata preclusa, comunque esaminata e verificata nel merito evidentemente solo per esigenze di completezza. La sua definizione, ancorchè risultasse conforme alla tesi sostenuta dalla banca, non potrebbe perciò influire, nè del resto ha influito, sul decisimi conclusivo, che ha ben diverso fondamento giustificativo.

Resta da osservare peraltro che il motivo mira ad una nuova lettura dei fatti, inammissibile in questa sede. Il principio dell’unità della giurisdizione, che si assume violato, consente al giudice civile d’attingere dagli atti del processo penale elementi idonei alla formazione del suo convincimento, procedendo anche ad esame diretto del materiale probatorio acquisito in quella sede e sottoponendolo a valutazione critica, che resta comunque autonoma e svincolata da quella già data dal giudice penale. L’interpretazione del giudicato, infatti, rappresenta sempre e comunque un apprezzamento di fatto che, se puntualmente motivato, non può essere sindacato in questa sede – Cass. 4404-2006. Nel caso di specie, il giudice d’appello ha apprezzato nel merito le risultanze emergenti dalle decisioni emesse in altra sede e prodotte a sostegno della sua tesi difensiva dalla banca, reputandole irrilevanti alla luce delle ragioni puntualmente riferite, dunque illustrando con adeguata motivazione la sua sintesi conclusiva.

Col secondo motivo l’istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., degli artt. 1823 e 1832 c.c. nonchè dell’art. 2697 c.c. e correlato vizio d’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Assume che la decisione impugnata sarebbe errata avendo fondato sulle risultanze della c.t.u. la pronuncia di condanna alla somma richiesta dagli attori, lievitata, per effetto della rivalutazione monetaria attribuita, all’importo di Euro 776.386,04.

Riepiloga con particolare specificità i movimenti dei conti intestati agli originari attori, e riferisce che questi ultimi disposero la chiusura del conto aperto presso l’agenzia (OMISSIS), ubicata nei pressi della loro abitazione, e l’apertura di altro conto presso altra agenzia, la n. (OMISSIS) ove prestava servizio il D., per inferirne che i predetti, tenendo per buone le poste attive, pretenderebbero contestare solo quelle a debito, che pur avevano conosciuto attraverso gli estratti conto, non contestati, e ratificati. Ed infatti il c.t.u. ha riscontrato che le scritture esaminate recavano sono in parte sottoscrizioni apocrife. I fatti possono trovare giustificazione solo alla luce del loro rapporto personale col D., che poteva raccoglierne la firma ovvero contraffarla, come accertato dal c.t.u. in relazione all’operazione di cui al documento n. (OMISSIS) recante ordine d’acquisto di 5000 azioni Montedison, con firma autografa, e del conseguente fissato bollato – doc. (OMISSIS), recante firma falsificata. Le risultanze, che la Corte territoriale avrebbe dovuto esaminare nella loro sintesi e non 14 atomisticamente dimostrano in sostanza che i coniugi F. hanno preso il saldo attivo del conto al (OMISSIS) e ne hanno disposto destinandolo alle gestioni patrimoniali, tornando all’ordinario circuito bancario.

Il motivo è collegato al primo mezzo. Mira infatti a dimostrare che gli attori vennero a conoscenza delle operazioni perchè erano in rapporti personali e di fiducia col D. ed in ragione di ciò non ne contestarono l’operato, sicchè nulla possono pretendere dalla banca. Il tutto esponendo un coacervo di fatti e circostanze che vengono riproposte al vaglio critico di questa Corte, cui è precluso ogni accertamento di merito, che ineriscono, come si è già rilevato, a un profilo d’indagine ritenuto precluso dalla Corte territoriale, dunque irrilevante. Devesi perciò dichiararne l’infondatezza.

Col terzo motivo la ricorrente ascrive alla Corte territoriale omessa pronuncia sull’eccepita rilevanza del comportamento tenuto dai correntisti in ordine alla conduzione; del conto incidente ai sensi dell’art. 1227 c.c..

Il motivo è inammissibile. Non riferisce infatti con la necessaria autosufficienza in quale fase processuale venne formulata l’eccezione, nè tanto meno indica l’atto in cui venne rappresentata.

Siffatta genericità, che contravviene al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non può essere colmata attraverso indagine diretta di questa Corte. Col quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1782, 1823, 1834, 1218, 1223, 1224, e 2697 c.c. e degli artt. 112, 115 e 116 c.p.c. e correlato vizio di motivazione.

Assume la ricorrente che sarebbe errata la qualificazione del credito in termini di credito di valore, laddove è pacifico che l’obbligazione discendente dal contratto di deposito irregolare, nel cui paradigma, secondo la richiamata dottrina, rientra il deposito bancario, rappresenta tipica obbligazione pecuniaria.

I resistenti deducono infondatezza del motivo.

Il motivo è infondato.

Il decisum in parte gua è espresso nella sintesi conclusiva con la quale la Corte territoriale ha affermato che il credito è di valore, siccome discende da inadempienza contrattuale dell’Unicredit.

Il titolo fondante la responsabilità della banca, in coerenza con la premessa sostenuta in tesi, è dunque ravvisato nell’inadempimento da parte del banchiere agli obblighi discendenti dal contratto di conto corrente, in cui sono confluite anche le operazioni gravitate sul conto titoli.

La definizione del contratto proposta dalla ricorrente non è errata, ma piuttosto riduttiva e comunque; semplicistica. Il contratto di conto corrente bancario previsto dall’art. 1852 c.c. rappresenta infatti un negozio innominato misto, avente natura complessa, alla cui costituzione e disciplina concorrono plurimi e distinti schemi negoziali – sul solco del datato arresto n. 3701 del 1971 v. di recente Cass. n. 18107-2009, i quali si fondono in ragione dell’unitarietà della causa. Per un verso assume rilievo preminente nella sua struttura l’impegno della banca, riconducibile al rapporto di mandato che è espressamente richiamato dall’art. 1856 c.c. che estende ad essa la responsabilità del mandatario prevista dall’art. 1703 c.c., in forza del quale si assume l’obbligo di agire con diligenza eseguendo pagamenti ovvero riscuotendo crediti su ordine del cliente, fornendo in sostanza un servizio di cassa di cui è obbligata nel contempo a compiere fedele e regolare annotazione sul conto corrente. Per altro verso, come si sostiene da parte della ricorrente, consente il deposito del risparmio del correntista, ed impegna quindi la banca alla restituzione delle somme ivi confluite.

Contiene altresì elementi tipici della delegazione, ovvero degli altri contratti tipici, identificabili con riferimento alle singole operazioni bancarie in esso confluite, le cui norme si applicano all’occorrenza.

In prospettiva correlata alla sua prima e senz’altro preminente funzione, tipica del mandato, la banca, come si è rilevato, si assume pertanto in qualità di mandataria un obbligo di facere, consistente nel registrare correttamente sul conto le operazioni eseguite su ordine del correntista, che si concreta, laddove si accerti che talune di esse non siano riferibili a sue precise istruzioni, l’obbligo di eliminarle, ricostituendo la posizione contabile corretta senza considerarle. Se ciò non avviene, la banca contravviene a preciso obbligo contrattuale e deve rispondere del conseguente illecito compiuto. Inquadrata in sostanza la fattispecie esaminata in tale paradigma, la Corte territoriale, avendo riscontrato che sul conto intestato al F. erano state registrate a debito le poste risultate falsificate, per ciò solo non riconducibili a sue dirette disposizioni, e che non di meno esse non erano state annullate, ha ritenuto provata la colpevole non corretta esecuzione dell’obbligo gravante sulla banca di eliminarle dal conto, affermandone la responsabilità contrattuale per non essersi altresì attivata, anche vigilando sul dipendente che eseguì infedelmente le operazioni controverse, per informarne il cliente. La conseguente condanna, assunta in accoglimento della domanda risarcitoria, non mirata dunque alla restituzione mediante accredito delle somme controverse indebitamente detratte, ha pronunciato pertanto su credito di valore, come tale quantificabile, tenendo conto anche d’ufficio della svalutazione monetaria sopravvenuta fino alla data della liquidazione- Cass. n. 18299/2003.

Il ricorso incidentale si articola in tre motivi:

1.- Si denuncia violazione degli artt. 112, 183, 184, 345 e 395 c.p.c. e vizio di motivazione.

Si assume da parte del ricorrenti incidentali che, sebbene gli atti dispositivi recanti firma falsificata, dunque dichiarati nulli, abbiano dato luogo a poste passive per un importo di L. 1.551.130.000 pari ad Euro 801.091,070, la Corte territoriale ha pronunciato condanna nei limiti delle somme chieste in citazione nel minore importo di Euro 232.405.60, ritenendo nuova e perciò inammissibile la domanda di condanna ai pagamento della somma accertata in causa perchè formulata solo in comparsa conclusionale.

L’affermazione trova smentita nelle conclusioni rese, con cui si chiese l’altrui condanna al pagamento anche delle maggiori somme che sarebbero risultate dovute all’esito del rendiconto. In aggiunta si osserva che non vi è domanda nuova laddove immutati i fatti costitutivi si modifichi il quantum debeatur.

2. Si denuncia violazione dell’art. 2697 c.c. e vizio di motivazione.

Si sostiene che la decisione impugnata sarebbe errata anche laddove assume che in ogni caso non è possibile farsi luogo al rendiconto dell’insieme delle operazioni, per la mancata disponibilità della documentazione bancaria ormai destinata al macero, il che impedisce di riscontrare se le poste passive siano state elise da poste attive.

Così argomentando, la Corte avrebbe erroneamente invertito l’onere probatorio, ricadente invece sulla banca.

3. – Si censura la parziale compensazione delle spese processuali, disposta nonostante la totale soccombenza del Credito Italiano.

I primi due motivi, meritevoli d’esame congiunto perchè logicamente connessi, sono privi di fondamento. La Corte territoriale ha affermato che benchè risultassero attestato indebiti movimenti per importi ben superiori a quello preteso in giudizio, nondimeno la domanda meritava entro il limite degli ammanchi originariamente denunciati in citazione, essendo nuova e perciò inammissibile la richiesta, formulata dagli attori in comparsa conclusionale, di restituzione di tutte le somme corrispondenti alle poste falsificate.

E’ inoltre impossibile farsi luogo al rendiconto delle complessive operazioni, poichè l’impossibilità di reperire la documentazione, ormai destinata al macero, impediva il raffronto tra le poste passive falsificate ed eventuali corrispondenti poste attive, che le avessero elise. Siffatta decisione è immune dalle critiche esposte nei motivi in esame.

L’espletata consulenza grafica consentì di determinare con esattezza l’importo delle operazioni falsificate, dunque delle poste passive erroneamente addebitate sul conto, ma non ascrivibili al correntista.

Parte attrice ebbe dunque contezza sin da quel momento dell’importo delle somme cui in astratto avrebbe potuto ancorare la sua richiesta di danni, che ritenne invece di formulare nella giusta sede, di precisazioni delle conclusioni, richiamando le somme indicate nell’originario atto introduttivo o comunque in via generica in quelle maggiori eventualmente dovute che, pur essendo ormai in condizione di quantificare, preferì invece lasciare indeterminate.

Di qui l’inammissibilità della domanda, correttamente ravvisata dalla Corte territoriale.

Ne discende l’inutilità dell’indagine sul secondo mezzo. Il terzo motivo è inammissibile siccome la Corte territoriale ha motivato la decisione sul governo delle spese con argomentazioni puntuali e logiche rilevando il parziale accoglimento della domanda, effettivamente non accolta integralmente.

La decisione non è perciò sindacabile in questa sede. Entrambi i ricorsi devono per l’effetto essere rigettati. L’esito della lite, che rappresenta la prevalente soccombenza della ricorrente principale, giustifica la compensazione nella misura di un terzo delle spese del presente giudizio con aggravio sulla ricorrente principale del residuo, liquidato come da dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa per un terzo le spese del presente giudizio e condanna la ricorrente principale al pagamento del residuo che liquida in Euro 6.000,00 oltre Euro 150,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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