Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5843 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. I, 03/03/2020, (ud. 04/12/2019, dep. 03/03/2020), n.5843

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29647/2018 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in Roma Piazza Dei

Consoli, 62, presso lo studio dell’avvocato Inghilleri Enrica, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Paolinelli Lucia;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’interno (OMISSIS);

– intimato –

avverso il Decreto n. 9859/2018 del 23 agosto 2018 del Tribunale di

Ancona;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

4/12/2019 dal Consigliere Dottoressa Dott. Irene Scordamaglia.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.M., cittadino del Ghana, ricorre avverso il decreto in data 23 agosto 2018 n. 9859/2018, con il quale il Tribunale di Ancona ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento di diniego di protezione internazionale emesso dalla locale Commissione territoriale.

1.1. Col primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e falsa della legge, per avere il Tribunale di Ancona reso una motivazione apparente o comunque insufficiente sui capi 4, 5 e 6;

1.2. Con il secondo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la violazione e la falsa applicazione: dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra; dell’art. 3, commi 1, 2, 3, 4 e 5 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 11, in riferimento ai capi 4 e 5; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, in riferimento al capo 6. E’ pure dedotto il vizio di motivazione.

2. L’Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

1. Il Tribunale censurato ha escluso che ricorressero nella vicenda narrata dal B. – che aveva allegato di essere fuggito dal Ghana, suo Paese di origine, per sottrarsi al pericolo di essere esposto al sistema di dure sanzioni predisposte dalle Autorità Statuali nei confronti di quanti praticavano l’estrazione dell’oro in maniera illegale – perchè, quand’anche ritenute credibili le sue dichiarazioni, per un verso, le reazioni delle autorità ghanesi nei confronti dei cercatori d’oro non potevano essere sussunte nella categoria degli atti persecutori, siccome disciplinati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8; per altro verso, perchè, adempiuto l’obbligo di cooperazione istruttoria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e art. 8 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, non potesse fondatamente sostenersi che il B., una volta rientrato in patria, corresse il rischio di essere esposto alla pena capitale o a trattamenti inumani, quali danni gravi contemplati dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), risultando dalle fonti qualificate consultate sia che non si registravano nei confronti dei cercatori d’oro uccisioni o percosse ad opera delle Forze di Polizia locali, sia che, comunque, a partire dal 2016 le Autorità statuali del Ghana avevano consentito l’istituzione di un comitato dell’ONU per indagare e vigilare sugli eventuali abusi delle Forze dell’Ordine sulle persone indagate o sottoposte a restrizioni nella libertà personale ed avevano sottoscritto il Protocollo opzionale alla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, che prevede un sistema di visite regolari nei luoghi di detenzione per proteggere i ristretti dalla tortura o da altre forme di maltrattamento. Ha, parimenti, escluso sulla base della consultazione di affidabili fonti di informazioni, delle quali ha dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che in Ghana fosse riscontrabile una situazione di instabilità politico sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella violenza generalizzata o di quel conflitto armato interno o internazionale, che comportano il riconoscimento nei confronti dello straniero che ne faccia richiesta la protezione internazionale, sub specie della protezione sussidiaria nella forma prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Quanto alla richiesta protezione umanitaria, ne ha fondato il diniego evidenziando come l’assenza di allegazioni da parte dello straniero vuoi di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità, vuoi di un effettivo radicamento sul territorio dello Stato ospitante, determinato da ragioni familiari o da una concreta integrazione lavorativa, letta in connessione con il mancato riscontro di una situazione di grave vulnerazione dei diritti umani fondamentali nel Paese di origine, non consentisse di pervenire ad una prognosi positiva quanto all’esposizione del richiedente, in ipotesi di rimpatrio, ad una situazione di effettiva privazione dello standard minimo di diritti necessario per condurre un’esistenza dignitosa.

2. Al cospetto di un simile impianto argomentativo del diniego di tutte le forme di protezione internazionale, il primo motivo di ricorso – che denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la motivazione apparente o insufficiente – è generico e, comunque manifestamente inammissibile.

Il provvedimento impugnato contiene, infatti, una spiegazione esauriente delle ragioni atte a suffragare il rigetto delle domande proposte, sicchè non si ravvisano quei radicali vizi motivazionali che oggi assumono rilievo in sede di legittimità: “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, “motivazione apparente”, “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054).

3. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

Il Tribunale ha basato il proprio giudizio su di una articolata ricognizione del trattamento riservato ai cercatori d’oro dalle Autorità Statuali del Ghana, della situazione sociale e politica di questo Paese africano e della situazione personale del richiedente e sulla base di ciò ha potuto escludere che ricorressero sia le condizioni per il riconoscimento della protezione maggiore che di quella minore. Con specifico riguardo all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ha rilevato che il Ghana non risulta segnalato per alcun tipo di instabilità politica: il che all’evidenza esclude la fattispecie della “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armalo interno o internazionale”. L’accertamento circa l’esistenza di una tale minaccia costituisce, del resto, apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito (Sez. 6 – 1, n. 32064 del 12/12/2018, Rv. 652087 – 01; Sez. 1 -, n. 30105 del 21/11/2018, Rv. 653226 – 02), salvo il rilievo che possano assumere radicali vizi motivazionali: vizi che, come spiegato, nella fattispecie non ricorrono.

A fronte di tali approfonditi rilievi, che danno conto della correttezza dell’operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge, di cui il ricorrente ha denunciato la violazione, le doglianze sviluppate nell’impugnativa si caratterizzano per genericità e per astrattezza, in quanto prive di qualsivoglia specifica correlazione con le specifiche rationes decidenti delle singole statuizioni negatorie.

In particolare nessun decisivo rilievo assume, ai fini della corretta applicazione delle norme di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, l’allegata integrazione socio-lavorativa asseritamente raggiunta dal richiedente (il quale sarebbe in possesso di una buona padronanza della lingua italiana e sarebbe alla ricerca di un’occupazione stabile), posto che vige, nella materia de qua, il principio di diritto secondo il quale non può essere riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari, di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e di non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Sez. 6 – 1, n. 17072 del 28/06/2018, Rv. 649648 – 01). Principio, questo, da ultimo ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte che, con la Sentenza n. 29459 del 13/11/2019, Rv. 656062 – 02, hanno, infatti, affermato che:” In tema di protezione umanitaria, l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali comporta che, ai fini del riconoscimento della protezione, occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto in Italia, isolatamente ed astrattamente considerato”.

4. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Nulla deve disporsi in punto di spese processuali, l’intimato essendo rimasto tale. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dovrà essere corrisposto ove ne sussistano i presupposti, secondo quanto chiarito dalla sentenza Sez. 1 n. 9660/2019, cui si intende prestare adesione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla è dovuto a titolo di spese. Il doppio contributo di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dovrà essere versato, ove ne sussistano i presupposti.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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