Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5839 del 13/03/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5839 Anno 2014
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

ORDINANZA
sul ricorso 25402-2011 proposto da:
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO
RICCI, CLEMENTINA PULLI, GIUSEPPINA GIANNICO, giusta
procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona
del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

Data pubblicazione: 13/03/2014

- resistente contro
VIETRI ELVIRA;

– intimata –

NAPOLI dell’i /10/2010, depositata il 20/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/02/2014 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito per il ricorrente l’Avvocato MAURO RICCI che si riporta agli
scritti.
1 – Considerato che è stata depositata relazione del seguente
contenuto:
“Con sentenza n. 6247/2010 depositata in data 20 ottobre 2010, la
Corte di appello di Napoli, in riforma della pronuncia emessa in prime
cure, dichiarava il diritto di Elvira Vietri all’assegno mensile di invalidità
e condannava l’I.N.P.S. al pagamento dei relativi ratei oltre interessi
legali. Riteneva la Corte territoriale che la situazione della Vietri (avente
una inabilità del 100%, riconosciuta ai fini dell’indennità di
accompagnamento e non in possesso del requisito reddituale per
beneficiare della pensione di invalidità) fosse del tutto simile a quella
dei soggetti con inabilità pari o superiore al 74% ed aventi un’età
superiore ai 55 anni (all’art. 1, comma 2, della legge n. 482/68) per i
quali, secondo un orientamento consolidato ed unico di questa Corte
di legittimità, non era necessaria la prova dell’incollocamento al lavoro,
essendo in entrambi i casi l’iscrizione nelle liste speciali impedita da un
ostacolo giuridico ossia dal divieto di legge.
Contro la decisione della Corte territoriale ricorre per cassazione
l’I.N.P.S. affidandosi ad un unico motivo.
Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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avverso la sentenza n. 6247/2010 della CORTE D’APPELLO di

Elvira Vinci è rimasta solo intimata.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha solo depositato atto
di costituzione al fine di ricevere l’avviso per l’udienza di discussione
della causa.
Con unico motivo di doglianza l’istituto previdenziale denuncia

del 30 marzo 1971, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ..
Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che la condizione di
incollocato al lavoro richiesta per l’assegno di invalidità civile ben
possa essere riconosciuta in capo a soggetti che, totalmente inabili a
svolgere qualsiasi attività lavorativa e sprovvisti dei requisiti economici
per ottenere la pensione di inabilità, richiedano in ragione di ciò
l’assegno mensile. Sottolinea la diversa portata delle due prestazioni ed
evidenzia che la stessa verrebbe meno se l’unico elemento di
differenziazione fosse, come di fatto ha ritenuto dalla Corte territoriale,
il solo requisito reddituale.
Il motivo è manifestamente fondato.
L’incollocazione al lavoro prevista per il riconoscimento
dell’assegno mensile dall’art. 13 della legge 30 marzo 1971 n. 118 (non
anche per la pensione di inabilità di cui all’art. 12 della stessa legge)
rappresenta – al pari della capacità lavorativa o del requisito economico
e reddituale (art. 13 e 12) – un elemento costitutivo del diritto alla
prestazione (la cui prova è a carico del soggetto richiedente l’assegno) e
non già una mera condizione di erogazione del beneficio che possa
essere accertata in sede extra-giudiziale.
In tale senso questa Corte si è più volte espressa (cfr. ex p/urimis:
Cass. 16 marzo 1988, n. 2467; Cass. 10 gennaio 1992, n. 203; Cass. 5
maggio 1994, n. 2159; Cass. 6 ottobre 1996, n. 8787; Cass. 1 agosto
1996, n. 7560; Cass. 10 aprile 1999, n. 3556; 10 settembre 2003, n.
Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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violazione ed errata applicazione degli artt. 12 e 13 della legge n. 118

13279; 10 novembre 2009, n. 23762) ed a seguito dell’intervento delle
Sezioni Unite (Cass. 10 gennaio 1992, n. 203) ha affermato che, ai fini
del diritto all’assegno di invalidità previsto dall’art. 13 della legge n. 118
del 1971, l’invalido è da ritenersi incollocato al lavoro non per effetto
del mero stato di disoccupazione o non occupazione, nel quale versi

d’iscrizione) nelle speciali liste di collocamento obbligatorio – non
abbia conseguito una occupazione in mansioni compatibili.
La giurisprudenza di questa Corte, pronunciandosi con riferimento
a fattispecie ricadenti nella vigenza della legge n. 482 del 1986, che
prevedeva il limite di cinquantacinque anni ai fini dell’iscrizione
nell’elenco dei disabili (legge poi abrogata, per effetto del combinato
disposto della legge n. 68 del 1999, art. 22, comma 1, lett. a) e art. 23,
comma 2), ha altresì chiarito che, ai fini dell’attribuzione
dell’assegno mensile di invalidità, l’incollocazione al lavoro” assume
due diversi significati rispettivamente per gli invalidi
infracinquantacinquenni e per gli invalidi che abbiano, invece, superato
i cinquantacinque anni di età (ma non ancora i sessantacinque, questo
essendo il limite preclusivo per beneficiare della prestazione in
argomento). Con riguardo ai primi, infatti, per incollocato al lavoro
deve intendersi colui che, essendo iscritto nelle liste del collocamento
obbligatorio, non abbia trovato un’occupazione compatibile con le sue
condizioni psico-fisiche (a nulla rilevando il fatto che non abbia ancora
ottenuto il riconoscimento della percentuale di riduzione della sua
capacità di lavoro da parte delle competenti commissioni sanitarie, ma
essendo comunque necessaria, in questo caso, la presentazione della
domanda di iscrizione nelle predette liste, non potendosi supplire alla
mancanza di tale elemento con la prova dello stato di disoccupazione).
Con riferimento, invece, agli invalidi ultracinquantacinquenni (ma
Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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ma, solo quando – essendo iscritto (o avendo presentato domanda

infrasessantacinquenni) – che non hanno diritto all’iscrizione nelle
suddette liste – l’incollocazione al lavoro” deve essere intesa come
stato di effettiva disoccupazione o non occupazione ricollegato ad una
riduzione di capacità di lavoro che di detto stato è causa e che non
consente il reperimento di un’occupazione adatta alla ridotta capacità

mediante presunzioni, senza che sia necessaria alcuna iscrizione o la
domanda di iscrizione nelle liste del collocamento ordinario (cfr. in tal
senso Cass. 9 settembre 2003, n. 13201; id. 5 dicembre 2008, n. 28852;
4 giugno 2009, n. 12916; 29 marzo 2012, n. 5085; 20 aprile 2012, n.
6297).
Più di recente è stato ulteriormente precisato che, in tema di
assegno mensile di invalidità civile, il requisito della “incollocazione al
lavoro” – previsto dall’art. 13 della legge n. 118 del 1971, prima della
sostituzione ex art. 1, comma 35, della legge n. 247 del 2007 – può
essere integrato, nel regime introdotto dalla legge n. 68 del 1999, anche
dalla domanda rivolta alle commissioni sanitarie per l’accertamento
dello stato di invalidità, presupposto di iscrizione negli elenchi degli
aspiranti al collocamento agevolato – così Cass. 12 giugno 2012, n.
9502 -.
La pure evidenziata apertura di questa Corte di legittimità ad una
interpretazione dell’elemento costitutivo della fattispecie di cui all’art.
13 più flessibile ed aderente alle limitazioni legislative prima previste
non consente tuttavia di prescindere dal suddetto elemento di prova né
di ritenere che lo stesso possa in qualche modo essere sostituito da una
condizione di salute in ipotesi ostativa ad un proficuo impiego,
operandosi, in tal modo, una non consentita assimilazione della
condizione di inabile totale a quella di incollocato al lavoro.

Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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lavorativa dell’invalido la cui prova può essere fornita in giudizio anche

Del resto, l’art. 1 d.P.R. n. 333/2000 (regolamento di esecuzione
della legge n. 68/99) sancisce che possono ottenere l’iscrizione negli
elenchi del collocamento obbligatorio coloro che abbiano compiuto i
quindici anni di età e che non abbiano raggiunto l’età pensionabile (65
anni per gli uomini e 60 per le donne). Per godere del beneficio in

46%. L’esame ad opera della commissione prevede una diagnosi
funzionale della persona disabile e la realizzazione di un profilo socio
lavorativo che confluiscono nella relazione conclusiva. A tal punto il
soggetto riconosciuto invalido con percentuale uguale o superiore al
46%, se inoccupato, chiederà l’iscrizione nell’apposito elenco dei
lavoratori disabili presso gli uffici per il collocamento (1. 68/99, art. 8,
1° c. ).
Come risulta evidente, la legge n. 68/99, che ha come finalità la
promozione dell’inserimento lavorativo e della integrazione lavorativa
di persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche e
sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo che comportino una
riduzione della capacità lavorativa superiore al 45%, ha previsto solo
un limite minimo di invalidità per accedere al collocamento
obbligatorio e non ha, dunque, fissato un limite superiore.
D’altra parte già la legge 21 novembre 1988, n. 508 all’art. 3
stabiliva che “l’indennità di accompagnamento non è incompatibile con lo
svolgimento di attività lavorativa”.
A questo riguardo sembra importante sottolineare che ad una
stessa percentuale di invalidità (e quindi anche al 100% con necessità di
assistenza continua che corrisponde all’indennità di
accompagnamento) può corrispondere una capacità lavorativa piena,
ridotta o nulla e che quindi la percentuale di invalidità non è di per sé
significativa delle reali potenzialità e abilità della persona (si veda Cass.
Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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esame è richiesta una riduzione della capacità lavorativa pari almeno al

14 dicembre 2000, n. 15769 secondo cui: “L’inabilità lavorativa, che
costituisce il presupposto della indennità di accompagnamento prevista
dall’art. 1 legge n. 18 del 1980 e che richiede l’impossibilità di
deambulare e di provvedere da soli agli atti quotidiani della vita, non è
incompatibile con lo svolgimento di una residuale attività lavorativa”

Quindi, anche gli invalidi totali con percentuale di invalidità pari al
100% e accompagnamento hanno diritto alla valutazione delle capacità
lavorative e così ad accedere al lavoro e/o a percorsi di inserimento
mirato, qualora tale valutazione risulti positiva.
Nel caso della Vieni, dunque, in relazione alla domanda
amministrativa di concessione dell’assegno di invalidità presentata in
data 28/5/2003, non poteva la Corte territoriale basarsi sulla
riconosciuta percentuale del 100% di invalidità (ai fini dell’indennità di
accompagnamento) per ritenere (in mancanza del requisito reddituale
di cui all’art. 12) automaticamente integrata la condizione di cui all’art.
13 della legge n. 118/1971 ma andava verificata la sussistenza della
incollocazione al lavoro nei termini sopra specificati. Il diverso
argomentare della Corte partenopea ha, di fatto, realizzato
un’assimilazione della condizione rilevante al solo fine dell’ottenimento
della pensione di invalidità (art. 12) a quella dell'”incollocato al lavoro”
(art. 13) con un inammissibile annullamento delle ragioni che hanno
imposto una differenziazione tra le due prestazioni.
Per tutto quanto sopra considerato, si propone l’accoglimento del
ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375, n. 5, cod. proc. civ.”.
2 – Questa Corte ritiene che le osservazioni in fatto e le
considerazioni e conclusioni in diritto svolte dal relatore siano del tutto
condivisibili, siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di
legittimità in materia.
Ric. 2011 n. 25402 sez. ML – ud. 04-02-2014
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ed in senso conforme Cass. 9 settembre 2008, n. 22878).

Ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375, n. 5, cod.
proc. civ. per la definizione camerale del processo.
3 – La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla
Corte di appello di Napoli, in diversa composizione, che, in relazione
alla domanda amministrativa di concessione dell’assegno di invalidità

della incollocazione al lavoro nei termini sopra specificati e provvederà
anche sulla spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia,
anche per le spese, alla Corte di appello di Napoli, in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 febbraio 2014.

presentata dalla Vietri in data 28/5/2003, verificherà la sussistenza

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