Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5837 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 10/03/2010), n.5837

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.B. (c.f. (OMISSIS)), C.A. (c.f.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliate in Roma, via Andrea

Doria 48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che le

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

05/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. DI PALMA Salvatore;

udito, per le ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che C.B. ed C.A., con ricorso del 23 settembre 2008, hanno impugnato per Cassazione – deducendo tre motivi di censura, illustrati con memoria -, nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 5 settembre 2007, con il quale la Corte d’appello, pronunciando anche sul ricorso della C.B. e della C.A. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1, -, in contraddittorio con il Presidente del Consiglio dei ministri – il quale, costituitosi nel giudizio, ha concluso per l’inammissibilita’ o l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare a ciascuna delle ricorrenti la somma di Euro 7.000,00 a titolo di equa riparazione, oltre gli interessi dalla data del decreto, nonche’ la somma di Euro 950,00 a titolo di spese del giudizio;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, benche’ ritualmente intimato, non si e’ costituito ne’ ha svolto attivita’ difensiva;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 2006, era fondata sui seguenti fatti:

a) la C.B. e la C.A., dipendenti del Ministero della giustizia ed aspiranti all’adeguamento dell’indennita’ giudiziaria, avevano proposto – con ricorso dell’aprile 1993 – la relativa domanda dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio;

b) il Tribunale adito aveva trattenuto la causa in decisione in data 10 dicembre 2003;

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in sette anni ed ha liquidato equitativamente, a titolo di equa riparazione per danno non patrimoniale, la somma di Euro 7.000,00 per ciascuna delle ricorrenti;

che il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, i ricorrenti principali denunciano come illegittimi:

a) l’applicazione di un parametro di liquidazione dell’indennizzo ingiustificatamente inferiore a quello indicato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo;

b) il mancato riconoscimento del diritto al supplemento di indennizzo per il danno non patrimoniale, in relazione al bonus forfetario dovuto in ragione della materia previdenziale trattata nel processo presupposto;

c) l’affermata decorrenza degli interessi legali dalla data del decreto, anziche’ della proposizione della domanda;

d) la violazione dei minimi tariffari forensi nella liquidazione delle spese di giudizio di merito;

che il ricorso merita accoglimento, nei limiti di seguito precisati;

che, in particolare, la censura sub a) e’ fondata, perche’ questa Corte ha gia’ ripetutamente affermato che, nella liquidazione del danno non patrimoniale per l’irragionevole durata del processo, l’ambito della valutazione affidato al giudice del merito e’ segnato dal rispetto della CEDU, per come essa vive nelle decisioni della Corte EDU concernenti casi simili a quelli portati all’esame del Giudice nazionale, il quale deve tener conto dei criteri al riguardo applicati da detta Corte (che liquida circa mille/00 Euro d’indennizzo per ogni anno preso in considerazione), ma nondimeno conserva un margine di valutazione che gli consente di discostarsi dalle liquidazioni effettuate dalla stessa Corte, in relazione alla natura ed alle caratteristiche di ogni singola controversia, purche’ provveda a motivare adeguatamente le ragioni di tale eventuale scostamento (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 24356 del 2006);

che, sempre in riferimento alla censura sub a), i Giudici a quibus si sono discostati dal consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 e fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di irragionevole durata e di Euro 1.000,00 per ciascuno dei successivi anni, e soprattutto hanno omesso di considerare gli ulteriori otto mesi di ritardo rispetto alla ragionevole durata del processo presupposto;

che la censura sub b) e’ infondata alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, l’inclusione delle cause di lavoro e di quelle previdenziali nel novero di quelle per le quali la Corte EDU ha ritenuto che la liquidazione dell’indennizzo per il danno non patrimoniale possa giungere fino a 2000,00 Euro per anno, in ragione della particolare importanza della controversia, non significa che dette cause debbano necessariamente considerarsi particolarmente importanti, con la conseguente automatica liquidazione del predetto maggior indennizzo, potendo il giudice del merito tener conto della particolare incidenza del ritardo sulla situazione delle parti, che la natura giuslavoristica della controversia comporta, nell’ambito della valutazione concernente la liquidazione del danno, senza che cio’ comporti uno specifico obbligo di motivazione al riguardo, nel senso che il mancato riconoscimento del maggior indennizzo si traduce nell’implicita esclusione della particolare rilevanza della controversia (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 17684 del 2009);

che la censura sub e) e’ fondata, perche’ e’ conforme al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto ad un’equa riparazione in caso di mancato rispetto del termine ragionevole del processo, avente carattere indennitario e non risarcitorio, non richiede l’accertamento di un illecito secondo la nozione contemplata dall’art. 2043 c.c., ne’ presuppone la verifica dell’elemento soggettivo della colpa a carico di un agente, essendo invece ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6, par. 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle liberta’ fondamentali, cioe’ di un evento ex se’ lesivo del diritto della persona alla definizione del suo procedimento in una durata ragionevole, e secondo cui, conseguentemente, l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura non gia’ come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, in base all’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformita’ dell’ordinamento giuridico, con l’ulteriore conseguenza che il carattere indennitario di tale obbligazione comporta che gli interessi legali possono decorrere, sempreche’ richiesti, dalla data della domanda di equa riparazione, in base al principio per il quale gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere di incertezza e illiquidita’ del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre, in considerazione del predetto carattere indennitario dell’obbligazione, nessuna rivalutazione puo’ essere accordata (cfr., ex plurimis, le sentenze n. 8712 del 2006 e n. 2248 del 2007);

che la censura sub d) e’ assorbita;

che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;

che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo’ essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2;

che, nella specie, sussiste il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 perche’ il processo presupposto e’ iniziato nell’aprile 1993 e si e’ concluso nel dicembre 2003, sicche’, fermo restando il periodo di tre anni di ragionevole durata per il giudizio di primo grado, il periodo eccedente va determinato in sette anni ed otto mesi circa;

che, in conformita’ ai criteri per la liquidazione equitativa dell’indennizzo, elaborati e normalmente seguiti da questa Corte in analoghe fattispecie – Euro 750,00 per i primi tre anni di eccessiva durata ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo – si ritiene equo liquidare, a titolo di danno non patrimoniale, la somma di Euro 7.750,00 per i sette anni ed otto mesi di irragionevole protrazione del processo presupposto de quo, oltre gli interessi dalla domanda che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate sulla base delle tabelle A, par.

4^, e B, par. 1^, allegate al D.M. giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.597,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 697,00 per diritti (Euro 600,00 + Euro 97,00 per l’altra parte ricorrente) ed Euro 850,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;

che le spese del presente grado di giudizio compensate per la meta’ in favore del Presidente del Consiglio dei Ministri – seguono la residua soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Presidente del Consiglio dei ministri a pagare a ciascuna ricorrente la somma di Euro 7.750,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresi’ al rimborso, in favore delle parti ricorrenti, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.597,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 697,00 per diritti ed Euro 850,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore degli avv. Giovanbattista Ferriolo e Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosene antistatari, e, per il giudizio di legittimita’, nella meta’ dell’intero, intero liquidato in complessivi Euro 1.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, da distrarsi in favore dello stesso avv. Ferdinando Emilio Abbate, dichiaratosene antistatario.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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