Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5832 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 08/03/2017, (ud. 10/02/2017, dep.08/03/2017),  n. 5832

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26798/2015 proposto da:

CONDOMINIO (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA 15, presso lo studio dell’avvocato NICOLA PAGNOTTA,

che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA, elettivamente domiciliata in Roma in via Cratilo

di Atene, 31, presso lo studio dell’avvocato Domenico Vizzone, che

la rappresenta e difende;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3963/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 16 marzo 2009, ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da Generali Italia S.p.A. avverso l’ingiunzione conseguita dal Condominio (OMISSIS) per la liquidazione di un danno derivante dalla rottura di un impianto fognario.

La Corte d’appello di Roma, con sentenza pronunciata il 24 giugno 2014 ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., in accoglimento dell’appello, ha revocato il decreto ingiuntivo e ha condannato il Condominio di (OMISSIS) alla rifusione del 50% delle spese di lite del doppio grado di giudizio.

Con sentenza depositata il 30 giugno 2015, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’impugnazione per revocazione proposta dal Condominio.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma, intervenuta sull’impugnazione per revocazione, ricorre il Condominio sulla base di un unico motivo;

Generali Italia S.p.A. resiste con controricorso.

Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della Camera di consiglio.

La controricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2.

E’ infondata l’eccezione della controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di autorizzazione dell’assemblea condominiale. In relazione a domanda rivolta al conseguimento dell’indennizzo derivante da contratto di assicurazione stipulato dal condominio, sussiste la legittimazione dell’amministratore di condominio ad agire giudizialmente, ai sensi dell’art. 1130 c.c., comma 1, n. 4) e art. 1131 c.c., senza necessità di preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea dei condomini.

Il motivo di ricorso (col quale si deduce l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) appare inammissibile in quanto, dopo la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, il vizio motivazionale previsto dell’art. 360 c.p.c., n. 5, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. 6-3, 20 novembre 2015, n. 23828; Cass., Sez. 6-3, ordinanza 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2014, n. 26174). Sotto altro profilo, deve rilevarsi che il ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, il duplice onere, imposto a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte (Cass., Sez. 5, 12 dicembre 2014, n. 26174). Nel caso di specie, la Corte d’appello, in sede di revocazione, ha evidenziato che il documento controverso è stato comunque esaminato dal giudice del gravame, mentre la formulazione dell’odierno ricorso non consente di verificare la dedotta differenza tra il documento esaminato e quello contenuto nel fascicolo di parte del Condominio. In sostanza, la Corte d’Appello di Roma assume che la sentenza impugnata per revocazione avesse valutato i documenti prodotti dal Condominio nel proprio fascicolo di parte, ed in particolare una quietanza, negandone tuttavia la dedotta interruzione della prescrizione. L’attuale ricorrente insiste, invece, che era stata omessa la valutazione della propria produzione documentale. Così il ricorrente contrappone inammissibilmente una propria ricostruzione dell’errore di fatto ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4 e del relativo nesso causale tra lo stesso e la decisione, ovvero della valutazione di sussistenza, essenzialità e decisività dell’errore revocatorio, richiedendo a questa Corte un non consentito riesame delle risultanze di causa rispetto all’accertamento svolto dai giudici del merito.

Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore della controricorrente.

Va rigettata la domanda di condanna al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., comma 1, formulata dalla controricorrente, mancando l’accertamento sia dell’elemento soggettivo (mala fede o colpa grave) sia dell’elemento oggettivo (entità del danno sofferto).

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto del T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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