Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5831 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. I, 10/03/2010, (ud. 27/10/2009, dep. 10/03/2010), n.5831

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G.R. (c.f. (OMISSIS)), + ALTRI OMESSI

elettivamente domiciliati in Roma, via Andrea

Doria 48, presso l’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li

rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

26/02/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

27/10/2009 dal Consigliere Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato RODA RANIERI, per delega, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo che ha concluso per l’accoglimento per quanto di

ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto depositato in data 26.2.2007 la Corte d’Appello di Roma – pronunciando sulle domande di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001 proposte da D.G.R., + ALTRI OMESSI nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri in relazione al giudizio dai medesimi promosso con ricorso depositato nel mese di Aprile del 1993 avanti al TAR del Lazio, al fine di ottenere l’adeguamento triennale ex lege n. 27 del 1981 dell’indennita’ giudiziaria dagli stessi percepita ai sensi della L. n. 221 del 1988 e deciso all’udienza del 10.12.2003 – riteneva che la durata del procedimento protrattosi per dieci anni non fosse ragionevole nella misura di anni sette e liquidava a favore di ciascuno dei ricorrenti la somma di Euro 7.000,00 a titolo di danno non patrimoniale con gli interessi dalla data del decreto.

Avverso detto decreto propongono ricorso per Cassazione gli originari ricorrenti che deducono tre motivi di censura illustrati anche con memoria.

La Presidenza del Consiglio non ha svolto alcuna attivita’ difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 nonche’ difetto di motivazione. Lamentano che la Corte d’Appello, dopo aver determinato in anni tre la durata ragionevole del procedimento presupposto, abbia ritenuto irragionevoli anni sette nonostante il procedimento si fosse protratto per anni dieci e mesi otto (Aprile 1993 – Dicembre 2003).

La censura e’ fondata.

Determinata da parte del giudice di merito la durata ragionevole del procedimento, tutto il restante periodo, ivi compresa anche la porzione dell’anno, va considerato non ragionevole e valutato ai fini del computo della relativa indennita’ prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89. Erroneamente pertanto la Corte d’Appello, pur in presenza di un periodo di anni sette e mesi otto successivo a quello considerato ragionevole (anni tre), ha riconosciuto ai fini della determinazione dell’indennizzo solo anni sette, tralasciando di considerare la porzione di mesi otto di cui va invece tenuto conto.

Sul punto il decreto va pertanto cassato.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano ancora violazione della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 nonche’ dell’art. 1173 c.c..

Lamentano che la Corte d’Appello abbia liquidato gli interessi con decorrenza dalla data del decreto anziche’, come avrebbe dovuto, dalla domanda.

Anche tale censura e’ fondata.

Gli interessi sulla somma riconosciuta all’esito del giudizio non possono che decorrere dalla domanda la quale costituisce anche un atto di messa in mora ai sensi dell’art. 1295 c.c.. Conseguentemente anche sotto tale profilo il decreto deve essere cassato.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 e 91 c.p.c., nonche’ del D.M. n. 127 del 2004, artt. 4 e 5. Sostengono che la Corte d’Appello, nel liquidare le spese in complessivi Euro 1.750,00, si sia tenuta al di sotto dei minimi tariffari.

La censura deve ritenersi assorbita in quanto, a seguito della disposta cassazione del decreto impugnato, questa Corte deve provvedere ad una nuova liquidazione delle spese del giudizio di merito, spese che si distraggono a favore del difensore e che si liquidano come in dispositivo unitamente a quelle relative al presente giudizio di legittimita’.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e ricorrendo quindi le condizioni per una decisione nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’indennizzo va determinato, tenuto conto dell’ulteriore durata di mesi otto non considerata dalla Corte d’Appello, in complessivi Euro 7.650,00 per ciascuno dei ricorrenti, con gli interessi dalla domanda.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore di ciascuno dei ricorrenti della somma di Euro 7.650,00 con gli interessi dalla domanda. Condanna inoltre la stessa Amministrazione al pagamento delle spese processuali che distrae a favore del difensore e che liquida, quanto al giudizio di merito, in Euro 1570,00 per diritti, in Euro 700,00 per onorario ed in Euro 100,00 per esborsi e, quanto al giudizio di legittimita’, in complessivi Euro 1.200,00 di cui Euro 100,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

 

 

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