Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5828 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 03/03/2021), n.5828

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1038/2020 proposto da:

A.M.H., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO N.

38, presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO

presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n.

12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 549/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 24/06/2019 R.G.N. 668/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

24/11/2020 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

1. Con sentenza n. 549 depositato il 24.6.2019, la Corte di appello di Cagliari ha respinto il ricorso proposto da A.M.H., cittadino del Bangladesh, avverso il provvedimento con il quale la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta dall’interessato escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione complementare (umanitaria);

2. La Corte territoriale ha precisato che:

a) il richiedente – fuggito, nel maggio 2016, per ragioni di carattere principalmente economico e personale, non riuscendo, con il proprio reddito di manovale e bracciante agricolo, a mantenere i numerosi fratelli, sorelle, oltre alla moglie e ai figli – non ha allegato di essere esposto a specifici episodi di persecuzione, violenze, torture o altre forme di trattamento inumano;

b) neppure sussistono i presupposti per la protezione sussidiaria, visto che – secondo le ultime fonti internazionali consultate – non vi è alcun pericolo di esposizione a pena di morte o a tortura in caso di rientro nel paese di origine e i conflitti interni al Bangladesh sono episodicamente legati esclusivamente a pregressi scontri tra partiti politici antagonisti e la situazione di instabilità contrastata dall’unità anti-terrorismo e di contrasto al crimine transnazionale;

c) neanche può essere concessa la protezione umanitaria perchè – senza dubitare della credibiltà del narrato del richiedente in ordine alle sofferenze patite durante il viaggio affrontato e durante la permanenza in Libia, – con riguardo alla valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente, non sono state allegate situazioni di vulnerabilità o stati patologici tali da far temere un rientro nel paese d’origine nè è emersa una situazione di particolare integrazione in Italia (avendo, lo stesso richidente, dichiarato di essere venuto in Italia per reperire risorsse economiche per la famiglia e non rappresentando, una lettera di assunzione come bracciante agricolo per 5 mesi un radicato e stabile inserimento lavorativo); ‘

3. il ricorrente domanda la cassazione del suddetto decreto per tre motivi;

4. il Ministero dell’Interno intimato non ha resistito con controricorso, ma ha depositato atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, ultimo alinea, cui non ha fatto seguito alcuna attività difensiva.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

CHE:

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e motivazione contraddittoria, avendo, il provvedimento impugnato, travisato la realtà presente nel paese di provenienza del richiedente, territorio estremamente critico e rischioso, come dimostrato dall’ultimo report di Amnesty International;

2. con il secondo ed il terzo motivo si denunzia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – difetto di motivazione, travisamento dei fatti, violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 19, avendo, la Corte territoriale, con riguardo alla protezione umanitaria, trascurato l’istruttoria in ordine alle effettive condizioni socio economiche del Bangladesh;

3. i motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili, in quanto le doglianze proposte dal ricorrente costituiscono una mera contrapposizione alla valutazione che il giudice di merito ha compiuto nel rispetto dei parametri legali e dandone sufficiente spiegazione, neppure adeguatamente censurata sotto il profilo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, novellato, così come rigorosamente interpretato dalle Sezioni unite di questa Corte (sentt. nn. 8053 e 8054 del 2014);

4. questa Corte è reiteratamente intervenuta a chiarire quale sia ed in qual senso debba essere inteso il “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda che (l’autorità amministrativa e) il giudice del merito sono chiamati a svolgere in base al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, in particolare comma 5 (per tutte v. Cass. n. 8905 del 2019);

5. al riguardo è stato precisato che tale “ruolo attivo” comporta in favore del richiedente l’attenuazione del principio dispositivo proprio del giudizio civile (senza preclusioni o impedimenti processuali) e si colloca non sul versante dell’allegazione, ma esclusivamente su quello della prova, visto che l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, essendo il richiedente tenuto a presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio; infatti, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedentè sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere… ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed,è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5);

6. pertanto, soltanto se il richiedente il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto l’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto può sorgere il potere-dovere del giudice di accertarli anche d’ufficio, mentre la suddetta cooperazione istruttoria non può riguardare le individuali condizioni del soggetto richiedente, perchè il giudice non può essere chiamato – nè d’altronde avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato articolo (adc1,:, Cass. n. 4006 del 2018; Cass. n. 13858 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019); nella stessa ottica, se la suindicata allegazione manca perchè il ricorrente non ha correttamente assolto l’onere di indicare i fatti che sono alla base della propria domanda, il giudice non può introdurli d’ufficio nel giudizio, non potendo utilizzare il proprio “ruolo attivo” nell’istruttoria della domanda per supplire alle deficienze probatorie dell’interessato (Cass. n. 19197 del 2015; Cass. n. 27336 del 2018; Cass. n. 3016 del 2019);

7. in particolare, il ricorrente non aggiunge alcuna circostanza più specifica rispetto a quelle esaminate dalla Corte territoriale, non precisando nemmeno la regione di provenienza (all’interno del Bangladesh) e ribadendo i motivi posti a base della ‘fuga dal paese di origine, di origine economica;

8. pertanto, nel caso di specie, la Corte territoriale, perfettamente consapevole dei principi innanzi richiamati, ha scrutinato con accuratezza le dichiarazioni dell’istante, ritenendo il narrato estremamente generico, non ulteriormente approfondito nè avanti alla Commissione territoriale nè in occasione dell’interrogatorio, sia con riguardo alle vicende personali dell’istante sia con riguardo alle condizioni di vita nel paese di origine;

9. con particolare riferimento all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va rilevato che la valutazione relativa alla situazione sociale, politica ed economica del c.d. paese di espatrio costituisce, per sua propria natura, una valutazione di fatto, in quanto tale rimessa all’apprezzamento del giudice del merito; di conseguenza, la relativa valutazione non risulta sindacabile nel giudizio di legittimità, se non nei ristretti limiti della non ragionevolezza o non plausibilità della motivazione addotta (così com’è quando non vengano indicate le fonti su cui il giudice poggia nel concreto il proprio convincimento);

10. nella specie, la Corte territoriale ha motivato il proprio convincimento, pure indicando in modo espresso le fonti, attuali ed attendibili, in concreto utilizzate e pure tendendo conto dei fattori di instabilità che si assume attraversino, in questi anni, il Bangladesh;

11. in ordine alla protezione umanitaria, proposta con il secondo ed il terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale ha effettuato correttamente la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza, rilevando l’insussistenza di stati patologici di rilievo bisognosi di cure in Italia e di profili di vulnerabilità e sottolineando l’assenza di particolari legami familiari, con il territorio italiano (come da ultimo statuito da Cass. Sez. U, n. 29459 del 2019);

12. nè rileva, infine, la circostanza che il Bangladesh presenti una situazione di povertà profonda, disuguaglianze socio-economiche, condizioni di lavoro pericolose e insalubri, poichè la valutazione comparativa che dev’essere compiuta tra le condizioni di vita in Italia del richiedente la protezione e quelle che il medesimo incontrerebbe nel Paese di origine in caso di rimpatrio deve comunque avere attinenza con i diritti fondamentali della persona e non può tradursi nel puro e semplice confronto tra due differenti stili di vita;

13 questa Corte ha affermato, in proposito, che “Non è sufficiente l’allegazione di un’esistenza migliore nel paese di accoglienza, sotto il profilo del radicamento affettivo, sociale e/o lavorativo, indicandone genericamente la carenza nel paese d’origine, ma è necessaria una valutazione comparativa che consenta, in concreto, di verificare che ci si è allontanati da una condizione di vulnerabilità effettiva, isotto il profilo specifico della violazione o dell’impedimento all’esercizio dei diritti umani inalienabili. Solo all’interno di questa puntuale indagine comparativa può ed anzi deve essere valutata, come fattore di rilievo concorrente, l’effettività dell’inserimento sociale e lavorativo e/o la significa tività dei legami personali e familiari in base alla loro durata nel tempo e stabilità. L’accertamento della situazione oggettiva del Paese d’origine e della condizione soggettiva del richiedente in quel contesto, alla luce delle peculiarità della sua vicenda personale costituiscono il punto di partenza ineludibile dell’accertamento da compiere. (cfr. Cass., n. 420/2012, n. 359/2013, n. 15756/2013)” (cfr. in motivazione – pagg. 9 e s. – Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298);

14. diversamente argomentando, ovverosia laddove si desse rilievo non tantò alla storia personale del richiedente, ma alla condizione del Paese di origine in termini generali ed astratti si finirebbe per tradire il senso della legge, riducendo la valutazione sulla vulnerabilità personale del soggetto, rilevante ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, ad una sorta di “doppione” dell’apprezzamento che il giudice di merito è chiamato a condurre sulla situazione interna del Paese di provenienza ai diversi fini della concessione della tutela sussidiaria;

15. il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile; alla reiezione del ricorso, non consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali di questa fase, non avendo l’intimato svolto attività difensive;

16. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorsd, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis; si precisa che, posta l’inammissibilità dell’impugnazione, questa Corte deve attestare l’obbligo del ricorrente, trattandosi di atto ricognitivo che prescinde dal provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio (Cass. Sez. U. n. 4315 del 2020).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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