Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5820 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. lav., 22/02/2022, (ud. 04/11/2021, dep. 22/02/2022), n.5820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16644-2016 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

G.U.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 249/2015 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 11/02/2016 R.G.N. 102/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2021 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza depositata l’11.2.2016, la Corte d’appello di Campobasso ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda con cui G.U., dopo aver premesso di aver beneficiato, a seguito del sisma che aveva colpito il Molise nel 2002, della sospensione dei versamenti contributivi di previdenza e assistenza sociale di cui all’O.P.C.M. n. 3253 del 29.11.2002 e che, a decorrere dal novembre 2011, contrariamente a quanto stabilito nella succitata ordinanza circa la restituzione rateizzata dei suddetti contributi, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva operato in suo danno, a titolo di recupero della contribuzione sospesa, trattenute sensibilmente maggiori di quelle inizialmente disposte, aveva chiesto che venisse ordinato al predetto Ministero di ripristinare le modalità di recupero come già attuate fino all’ottobre 2011;

che avverso tale pronuncia il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione, deducendo cinque motivi di censura;

che G.U. è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del 1952, art. 19, per avere la Corte territoriale erroneamente affermato la sussistenza della sua legittimazione passiva nonostante l’odierno intimato non fosse dipendente suo ma di altro Ministero; che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 2, , e del D.L. n. 138 del 2002, art. 3, comma 3-bis, (conv. con L. n. 178 del 2002), per avere la Corte di merito ritenuto che le modalità di rateizzazione di cui alla prima delle norme cit. fossero applicabili anche ai pubblici dipendenti nonostante che il D.L. n. 263 del 2006, art. 6, comma 1-bis, (conv. con L. n. 290 del 2006), interpretando autenticamente la L. n. 225/1992 e affermando che la sospensione del beneficio del versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali prevista nelle ordinanze di protezione civile si applica esclusivamente ai datori di lavoro privati aventi sede nei comuni individuati dalle ordinanze medesime, aveva definitivamente escluso i dipendenti pubblici dal beneficio della sospensione contributiva e, dunque, anche da quello, automaticamente conseguente, della rateizzazione più lunga di cui al citato O.P.C.M., art. 7, comma 2.;

che, con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione degli artt. 1183 e 2033 c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto che, rispetto al recupero delle somme indebitamente non versate, l’odierno intimato potesse far valere un legittimo affidamento tale da meritargli l’applicazione della disciplina della rateazione di cui all’O.P.C.M. cit.;

che, con il quarto motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., per non avere la Corte di merito considerato talune circostanze evidenziate sin dal primo grado e dimostrative dell’insussistenza in specie sia di alcun legittimo affidamento che di buona fede del percipiente;

che, con il quinto motivo, il ricorrente lamenta violazione dell’art. 112 e degli artt. 187 e 188 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che nella specie fosse rimasto dimostrato che le modalità di recupero dell’indebito fossero tali da pregiudicare le esigenze di vita dell’odierna parte intimata;

che, ciò posto, va subito rilevata l’inammissibilità del primo motivo di censura, non indicandosi nel ricorso per cassazione quale diverso Ministero sarebbe in ipotesi legittimato passivo rispetto alla richiesta oggetto della domanda giudiziale, né tale indicazione evincendosi dall’impugnata sentenza;

che il secondo motivo è infondato, dovendo darsi continuità al principio secondo cui l’applicabilità del O.P.C.M. n. 3253 del 2002, art. 7, comma 1, , ai soli datori di privati non comporta che di detto articolo, il comma 2 (secondo cui, per quanto qui interessa, “la riscossione dei contributi previdenziali ed assistenziali e dei premi dovuti per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali non corrisposti per effetto della sospensione di cui al comma 1 avverrà mediante rate mensili pari a otto volte i mesi interi di durata della sospensione” e “gli adempimenti non eseguiti per effetto della sospensione di cui al comma 1 sono effettuati entro il secondo mese successivo al termine della sospensione, mentre le rate di contributi sono versate a partire dal terzo mese successivo alla sospensione stessa”) non possa trovare applicazione anche nelle ipotesi – quale quella qui in esame – in cui l’indebita sospensione dei contributi sia avvenuta per una erronea scelta dell’amministrazione, favorita dalla equivocità del testo normativo che ha reso necessaria l’adozione di una disposizione interpretativa (così Cass. n. 19662 del 2019; nello stesso, tra le numerose, Cass. n. 24383 del 2020);

che l’infondatezza del secondo motivo determina l’assorbimento delle censure successive, dovendo darsi continuità al principio secondo cui, se è vero che quando una decisione di merito si fondi su distinte ed autonome rationes decidendi, ognuna delle quali da sola sufficiente a sorreggerla, il ricorrente in sede di legittimità ha l’onere, a pena d’inammissibilità del ricorso, di impugnarle (fondatamente) tutte, non potendo altrimenti pervenirsi alla cassazione della sentenza, non è meno vero che, una volta rigettato o dichiarato inammissibile il motivo che investe una delle argomentazioni a sostegno della sentenza impugnata, diventano inammissibili, per difetto di interesse, i restanti motivi, atteso che, quand’anche essi dovessero risultare fondati, non potrebbe comunque giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio ritenuta corretta (Cass. n. 12372 del 2006 e succ. conf.);

che il ricorso, pertanto, va rigettato, nulla statuendosi sulle spese del giudizio di legittimità per non avere l’intimato svolto attività difensiva;

che, non potendo trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato l’D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, essendo le medesime esentate, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. n. 1778 del 2016), non v’ha luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 4 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

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