Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5820 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15790-2006 proposto da:

P.A., P.G., P.M.S.

eredi di B.A.L., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato

PELLICANO’ ANTONINO, che li rappresenta e difende, giusta mandato in

calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis, (Atto

di Costituzione del 28/10/09);

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 103/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 17/02/2006 r.g.n. 1011/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato PELLICANO’ ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria B.A.L. agiva in sede monitoria per ottenere dal Ministero dell’Interno il pagamento degli interessi legali (quantificati in L. 1.174.437) sulle somme tardivamente erogatele (in data 25-1-1990) a titolo di ratei arretrati di beneficio assistenziale (maturati a decorrere dal 1-6-1987).

Con decreto ingiuntivo n. 1769/1993 il Giudice adito condannava il Ministero dell’interno al pagamento della indicata somma con gli ulteriori interessi legali, ex art. 1283 c.c. dalla domanda giudiziale al soddisfo, oltre le spese.

Avverso il detto decreto ingiuntivo il Ministero proponeva opposizione, contestando la fondatezza dell’avversa pretesa, in relazione alla sussistenza della prova scritta del credito e della liquidità dello stesso, nonchè deducendo la erroneità della somma ingiunta, calcolata senza tener conto che il pagamento dei ratei in oggetto aveva luogo bimestralmente.

La B. si costituiva e chiedeva il rigetto della opposizione.

Il Giudice del lavoro del Tribunale di Reggio Calabria, con sentenza del 23-6-2000, in parziale accoglimento dell’opposizione, revocava il decreto ingiuntivo opposto e dichiarava dovuti gli interessi al tasso legale sui singoli ratei arretrati della prestazione (“secondo le scadenze bimestrali dei pagamenti”) e non rivalutati dalla scadenza di ciascuno di essi al soddisfo.

La B. proponeva appello avverso tale sentenza, chiedendone la riforma con la conferma del decreto ingiuntivo opposto.

In particolare la appellante deduceva che erroneamente il primo giudice aveva ritenuto che l’importo ingiunto fosse relativo agli interessi calcolati sui ratei mensili già rivalutati e che, comunque, il Ministero non aveva posto una siffatta deduzione a sostegno dell’opposizione. Aggiungeva, inoltre, che corretto era il calcolo relativo al detto importo “perchè effettuato secondo criteri ampiamente verificati dalla stessa Prefettura che ha proceduto a pagamenti sulla scorta di dette risultanze “.

La Corte di Appello di Reggio Calabria, con sentenza depositata il 17- 2-2006, rigettava l’appello e compensava le spese.

In sostanza la Corte territoriale, pur riconoscendo la fondatezza della prima censura (essendo stati effettivamente richiesti, ed accolti con il decreto ingiuntivo, i soli interessi legali sulla “sola sorte capitale originaria dei ratei arretrati” (pari a complessive L. 18.994.305, pagate il 25-1-1990), riteneva tale fondatezza “priva di valenza pratica”, a seguito della revoca del decreto ingiuntivo derivante dalla erroneità del conteggio, effettuato sulla base di una decorrenza mensile anzichè bimestrale degli interessi legali, (statuizione, questa, “non contrastata validamente” con la relativa ulteriore censura estremamente generica).

Per la cassazione di tale sentenza P.A., P. G. e P.M.S., quali eredi di B.A. L., hanno proposto ricorso con due motivi, ed hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Rinnovata la notificazione del ricorso a seguito dell’ordinanza del 18-6-2009, il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” “ai fini della partecipazione all’udienza di discussione”, senza, poi, peraltro, partecipare alla stessa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti, denunciando “omessa decisione, carenza assoluta di motivazione, contraddittorietà manifesta” (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), in sostanza lamentano che la sentenza di appello, pur avendo riconosciuto fondato il motivo con il quale l’appellante ha censurato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato erroneo il calcolo degli interessi chiesti con il ricorso per decreto ingiuntivo in quanto effettuato sulle somme rivalutate anzichè sul capitale puro, contraddittoriamente lo ha rigettato dichiarandolo “privo di valenza pratica”.

In particolare i ricorrenti deducono che, avendo l’appellante espressamente richiesto la riforma della sentenza nella parte in cui dichiara dovuti solo gli interessi calcolati sulle somme non rivalutate, con specifico motivo di impugnazione, il mancato accoglimento di tale motivo da parte della Corte di Appello si traduce in una chiara ipotesi di omessa decisione su un motivo di gravame.

Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando “omessa decisione – art. 360 c.p.c., n. 5, violazione della 1. n. 118 del 1971, art. 12 – art. 360 c.p.c., n. 3 – carenza assoluta di motivazione – art. 360 c.p.c., n. 5”, deducono che benchè non fosse stato esplicitamente formulato come autonomo motivo di appello, era indubbio che la B. aveva inteso impugnare anche la statuizione della sentenza di primo grado di erroneità del calcolo degli interessi in quanto eseguito con cadenza mensile anzichè bimestrale.

In particolare i ricorrenti deducono che la ripartizione in tredici mensilità prevista dalla L. n. 118 del 1971, art. 12 indica la cadenza mensile della maturazione del rateo e del diritto dell’assicurato alla percezione dello stesso, sicchè con la stessa cadenza andavano calcolati gli interessi.

Entrambi i motivi risultano inammissibili innanzitutto in quanto, in sostanza, si denunciano vizi di omessa pronuncia attraverso vizi di violazione di norma di diritto e vizi di motivazione.

Come questa Corte ha più volte affermato, l’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione della norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, giacchè siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo errar in procedendo e della violazione dell’art. 112 c.p.c. ex art. 360 c.p.c., n. 4 (v. Cass. 12-12-2005 n. 27387, Cass. 26-1- 2006 n. 1701, Cass. 14-2-2006 n. 3190, Cass. 4-6-2007 n. 12952).

Peraltro sul primo motivo osserva altresì il Collegio che, anche sotto il profilo del vizio di motivazione e sul presupposto della avvenuta pronuncia sul punto, la censura risulta del tutto generica in quanto i ricorrenti lamentano genericamente una contraddittorietà nella affermazione della mancanza di “rilevanza pratica” dell’errore comunque riscontrato nella decisione di primo grado, ma non censurano specificamente la detta affermazione e tanto meno indicano, in specie, quale fosse la “rilevanza pratica” che non sarebbe stata considerata in concreto dai giudici di appello.

Sul secondo motivo, poi, riguardante la questione della mensilità e non bimestralità della prestazione e, conseguentemente, del calcolo dei relativi interessi, va inoltre rilevato che in sostanza la censura dei ricorrenti si incentra soltanto sul merito della questione stessa e neppure coglie nel segno la impugnata decisione, che si fonda soltanto sulla genericità e inammissibilità del relativo motivo di appello.

Al riguardo, infatti, i ricorrenti avrebbero dovuto innanzitutto censurare tale statuizione, in sostanza sostenendo la specificità di tale motivo ed all’uopo riportando il contenuto dell’atto di appello al riguardo, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso.

Sul punto, come questa Corte ha precisato, deve infatti ritenersi che “ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non può limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificità” (v. Cass. 20-9-2006 n. 20405, Cass. 16-10-2007 n. 21621).

Anche per tale ragione, quindi, parimenti il motivo in esame risulta inammissibile.

Il ricorso va pertanto respinto.

Infine sulle spese non si provvede, ratione temporis, in base al testo originario dell’art. 152 disp. att. c.p.c., vigente anteriormente al D.L. n. 269 del 2003, conv. con L. 326 del 2003.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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