Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 582 del 12/01/2017

Cassazione civile, sez. trib., 12/01/2017, (ud. 01/12/2016, dep.12/01/2017),  n. 582

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 908/2013 proposto da:

ROMA CAPITALE in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO BARONI, che lo rappresenta e difende giusta

delega a margine;

– ricorrente –

contro

STUDIO ZETA PUBBLICITA’ SRL;

– intimato –

avverso la sentenza n. 5462/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 05/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;

udito per il ricorrente l’Avvocato RAIMONDO per delega verbale

dell’Avvocato MAGGIORE che si riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO

Il Comune di Roma, ora Roma Capitale, propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza n. 5462/12 con la quale la corte di appello di Roma, a conferma della prima decisione, ha ritenuto illegittima la cartella esattoriale notificata a Studio Zeta Pubblicità Srl per canoni di concessione ed indennità di occupazione abusiva di suolo pubblico destinato a cartelloni pubblicitari nell’anno 1996.

Ha ritenuto la corte di appello, in particolare, che il credito in questione avesse natura privatistica, con conseguente necessità, per l’amministrazione comunale, di titolo esecutivo; nella specie inesistente, tale non potendo ritenersi, ai fini di causa, l’iscrizione a ruolo ai sensi del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17 e 21.

Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dalla società intimata.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. Con l’unico motivo di ricorso, il Comune di Roma deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1990, art. 17. Per avere la corte di appello erroneamente attribuito al “credito” in oggetto natura privatistica (necessitante di titolo esecutivo diverso dal ruolo), nonostante che esso traesse origine da un “rapporto” di natura concessoria e, quindi, pubblicistica; con conseguente legittimità dell’adozione delle procedure di riscossione mediante ruolo consentite, ai sensi della normativa indicata, anche agli enti locali.

p. 2. Il ricorso è infondato.

Il credito dell’amministrazione comunale dedotto in giudizio non ha natura pubblicistica di tributo, perchè riconducibile non già ad una tassa, ma ad un canone corrispettivo dell’occupazione di spazi ed aree pubbliche.

Se è vero che tale occupazione è stata principalmente esercitata nell’ambito di un rapporto di natura concessoria, altrettanto indubbio è che tale rapporto esplica – per quanto concerne l’adempimento della prestazione di pagamento del canone stesso, e la realizzazione del relativo credito da parte dell’amministrazione concedente – effetti meramente privatistici.

Si verte infatti di fattispecie differente da quella tributaria di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, posto che l’utilizzo di spazi ed aree pubbliche, ancorchè finalizzato all’affissione di cartelloni pubblicitari, ha trovato nella specie concreta disciplina secondo lo schema dell’entrata patrimoniale mediante determinazione di un canone tariffario. Opzione, quest’ultima, certamente legittima anche prima che la materia venisse espressamente demandata all’autonomia regolamentare – non impositiva – dell’ente locale, D.Lgs. n. 446 del 1997, ex art. 63; e che venisse legislativamente ammessa la possibilità per il Comune di porre la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche in rapporto di alternatività con la previsione di un canone concessorio (L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 63).

Va d’altra parte considerato che il problema è già stato più volte vagliato da questa corte di legittimità – sebbene sotto il diverso, ma correlato, angolo visuale del riparto di giurisdizione – nel senso che: “appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia relativa al canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche, poichè l’obbligo del pagamento di un canone per l’utilizzazione di suolo pubblico non ha natura tributaria, esulando dalla doverosità della prestazione e dal collegamento di questa alla pubblica spesa” (Sez. U, Ordinanza n. 21950 del 28/10/2015).

Questa decisione si pone nel solco di altre statuizioni (Cass. SSUU 7190/11; SSUU 28161/2008) che hanno posto in luce come la previsione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 (introdotta con D.L. n. 203 del 2005, conv. in L. n. 248 del 2005) secondo cui la competenza delle commissioni tributarie doveva estendersi anche alle “controversie relative alla debenza del canone per l’occupazione di spazi od aree pubbliche previsto dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63”, sia stata dichiarata illegittima dalla corte costituzionale, con la sentenza n. 64/2008, in quanto indebita estensione della giurisdizione del giudice speciale dei tributi a materia extratributaria. Con la conseguenza che, preso atto di tale pronuncia di illegittimità costituzionale e della natura extratributaria del canone in questione (COSAP) sulla quale essa si è basata, si impone l’attribuzione della giurisdizione in materia al giudice ordinario.

Nè può condividersi la tesi del ricorrente secondo cui la natura pubblicistica del credito in oggetto deriverebbe, di per sè, dalla natura pubblicistica del rapporto generatore, instauratosi con l’emanazione del provvedimento concessorio.

Va infatti considerato che nemmeno il carattere pubblicistico del rapporto di concessione determina, sempre ed in ogni caso, la natura pubblicistica delle posizioni soggettive in esso coinvolte e, di conseguenza, la necessaria attribuzione delle relative controversie alla giurisdizione amministrativa.

Costituisce infatti principio assodato (Cass. SSUU 24902/11; 20939/11; 13903/11) che, in materia di concessioni amministrative, va operata la distinzione tra le controversie – su indennità, canoni od altri corrispettivi – aventi contenuto meramente patrimoniale, e senza che assuma in esse rilievo un potere di intervento della P.A. a tutela di interessi generali (riservate dalla L. 6 dicembre 1971, n. 1034, art. 5, comma 2, alla giurisdizione del giudice ordinario), e le controversie (attratte alla giurisdizione amministrativa) che invece coinvolgano la verifica dell’azione autoritativa della P.A. sul rapporto concessorio sottostante, ovvero investano l’esercizio di poteri discrezionali – valutativi nella determinazione del canone e nell’esercizio di altre potestà pubbliche.

Nel caso in esame si verte pacificamente di mera realizzazione – esecuzione di un’entrata patrimoniale svincolata dall’esercizio di siffatte potestà.

Ciò posto, non è in discussione il diritto dell’amministrazione comunale di procedere alla riscossione coattiva dell’importo in oggetto mediante ruolo affidato ai concessionari, come previsto in via generale dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 17. Vertendosi però, appunto, di entrata patrimoniale riconducibile ad una prestazione di tipo privatistico, l’iscrizione a ruolo è subordinata – ex art. 21 D.Lgs. cit. – all’ottenimento da parte del Comune, secondo le ordinarie procedure di realizzazione del credito tra privati, di un titolo esecutivo; nella specie mancante.

PQM

LA CORTE

– rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 12 gennaio 2017

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