Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5819 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 20/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19646-2006 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA EUCLIDE 47

INT 4, presso lo studio dell’avvocato LA PORTA CARLO FERRUCCIO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LIZZIO ADA ANNA,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio

dell’avvocato VESCI GERARDO, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato CARINCI FRANCO, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 355/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 12/04/2006 R.G.N. 1994/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2010 dal Consigliere Dott. FILIPPO CURCURUTO;

udito l’Avvocato BERTOLONE BIAGIO per delega LA PORTA CARLO F.;

udito l’Avvocato SCHITTONE NICOLO’ per delega GERADO VESCI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Con la sentenza qui impugnata la Corte d’Appello di Torino, riformando la decisione del primo giudice, ha rigettato la domanda proposta da P.M. contro il Comune di (OMISSIS), per il pagamento dell’indennità dovutagli per le funzioni di Direttore generale svolte quale segretario del Comune.

La Corte territoriale, premesso che con la L. n. 127 del 1997, art. 17 i compiti e le attribuzioni del segretario comunale erano stati riscritti, e che nelle Regioni a statuto speciale la disciplina della materia era stata attribuita alla legge regionale, ha osservato che la L.R. Valle d’Aosta 19 agosto 1998 aveva attribuito ai segretari fra l’altro le funzioni assegnate dalla L.R. n. 45 del 1995 ai dirigenti regionali, ed in particolare la funzione amministrativa di cui all’art. 5 di quest’ultima Legge.

Secondo la Corte territoriale le funzioni attribuite ai dirigenti regionali ed in particolare la funzione di direzione amministrativa non corrispondono a quelle del Direttore generale, previste nella L. n. 142 del 1990, art. 51 bis poi D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 100.

Secondo l’art. 51 bis il Direttore generale predispone il piano dettagliato degli obiettivi di cui all’art. 197 del Decreto Legislativo e la proposta di piano esecutivo di gestione di cui rispettivamente agli artt. 197 e 11 del cit. Decreto Legislativo, ed a lui rispondono per l’esercizio delle sue funzioni i dirigenti dell’ente.

Nel caso di specie nel Comune di (OMISSIS) non era prevista la posizione dirigenziale, il che escludeva qualsiasi sovra ordinazione del segretario generale. Inoltre dalla documentazione prodotta dal P. circa i compiti da lui svolti, emergevano funzioni non caratterizzanti la figura del direttore generale come delineata nel citato art. 51 bis.

P.M. chiede la cassazione di questa sentenza con ricorso per quattro motivi.

Il Comune di (OMISSIS) resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto avuto particolare riguardo alla L. n. 267 del 1997, art. 6, comma 10 e successive modifiche nonchè al D.Lgs. n. 707 del 1995, art. 6, comma 10 ed al D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 169.

Con il secondo motivo di ricorso è denunciata violazione falsa applicazione di norme di diritto avuto particolare riguardo all’art. 3 Cost..

Con il terzo motivo di ricorso è denunciata violazione e falsa applicazione di norme di diritto avuto particolare riguardo alla L.R. n. 406 del 1998, alla L.R. n. 405 del 1998 ed alla L.R. n. 504 del 1998, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 3.

Con il quarto motivo di ricorso è denunciata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il ricorso è inammissibile.

Poichè la sentenza impugnata è stata pubblicata in data 11 aprile 2006 l’ammissibilità del ricorso deve essere valutata in base all’art. 366 bis c.p.c. inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 non rilevando l’abrogazione di tale articolo disposta, con decorrenza dal 4 luglio 2009, dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47.

La giurisprudenza di questa Corte è da tempo orientata a ritenere inammissibile per violazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi non sia accompagnata dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale da circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o un rigetto del quesito formulato dalla parte (Cass. Sez. un. 7258/2007; Cass. 23153/2007).

La formulazione del quesito di diritto è necessaria, a pena di inammissibilità anche nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, non potendo ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. che ha introdotto, anche per l’ipotesi di ricorso in esame, il rispetto del requisito formale che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto, tale – come già osservato – da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte.

(Cass. Sez. un. 23732/2007).

L’art. 366-bis cod. proc. civ., là dove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, se non significa che il quesito debba topograficamente essere inserito alla fine della esposizione di ciascun motivo (potendo esserlo anche all’inizio per il fatto che siffatta sua articolazione implica necessariamente che essa si intenda formalmente ripetuto alla fine dell’esposizione, si da adempiere comunque l’onere di conclusione), comporta necessariamente che il quesito debba svolgere una propria funzione di individuazione della questione di diritto posta alla Corte, sicchè è necessario che tale individuazione sia assolta da una parte apposita del ricorso, a ciò deputata attraverso espressioni specifiche che siano idonee ad evidenziare alla Corte la questione stessa, restando invece escluso che la questione possa risultare da un’operazione di individuazione delle implicazioni della esposizione del motivo di ricorso come prospettato affidata al lettore di tale esposizione e non rivelata direttamente dal ricorso stesso. Infatti, se il legislatore avesse voluto ammettere tale possibilità, non avrebbe previsto che detta esposizione si concludesse con la formulazione del quesito, espressione che implica palesemente un “quid” che non può coincidere con essa, ma avrebbe previsto solo che quest’ultima deve proporre un quesito di diritto.

Inoltre, nel caso di provvedimenti impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poichè secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità.

(Sez. Un. 20603/2007).

E’ da osservare, infine, che nè la formulazione dei quesiti di diritto e la chiara indicazione del fatto controverso con le caratteristiche indicate dall’art. 366-bis cod. proc. civ. possono reputarsi sussistenti per il fatto che la parte resistente abbia controdedotto, giacchè l’espressa previsione del requisito a pena di inammissibilità palesa non solo che l’interesse tutelato dalla norma (o meglio dalle norme, posto che l’indicazione di tale sanzione è prima contenuta nell’art. 366 c.p.c., n. 4 e poi ripetuta nell’art. 366-bis c.p.c.) non è disponibile ed è tutelato dalla rilevabilità d’ufficio (come sempre accade quando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, che non a caso è accompagnata dall’espressione preliminare evocativa della sanzione “a pena di”), ma esclude anche che possa assumere alcun rilievo in funzione di superamento del vizio l’atteggiamento della controparte, poichè, allorquando il legislatore ricorre alla categoria della inammissibilità, è escluso che l’atteggiamento della controparte possa assumere rilievo sotto il profilo del raggiungimento dello scopo, come invece è previsto per la nullità (art. 156 cod. proc. civ.): infatti, l’espresso ricorso da parte del legislatore alla sanzione della inammissibilità impedisce che il giudice possa ritenere soddisfatta l’esigenza a presidio della quale il legislatore ha previsto una certa forma a pena di inammissibilità in modo diverso che attraverso la forma indicata dal legislatore. (Cass. 16002/2007 cit.).

Nessuno dei primi tre motivi di ricorso, nei quali è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, pur trattandosi di motivi ampiamente sviluppati, contiene alcun quesito di diritto.

Nel quarto motivo, che reca denunzia di vizi di motivazione, manca completamente il momento di sintesi idoneo a focalizzare il fatto controverso e decisivo in relazione al quale è svolta la censura. In conclusione, il ricorso non supera la soglia dell’ammissibilità.

Alla declaratoria di inammissibilità segue la condanna del ricorrente nelle spese di lite.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente alle spese di lite, in Euro 24,00 oltre ad Euro 2.000 per onorari, oltre ad IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, il 20 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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