Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5816 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5816

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MEDITERRANEA DELLE ACQUE S.P.A., gia’ GENOVA ACQUE S.P.A., in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA COLA DI RIENZO 271, presso lo studio dell’avvocato

TESSAROLO COSTANTINO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati FERRARIS GIUSEPPE, MARESCA ARTURO, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, in proprio e quale mandatario

della Societa’ di Cartolarizzazione dei crediti INPS, S.C.CI. S.p.A..

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli

avvocati CORETTI ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta

delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 809/2005 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 29/11/2005 R.G.N. 726/04;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. MORCAVALLO Ulpiano;

udito l’Avvocato MARESCA ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 29 novembre 2005 la Corte d’appello di Genova, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l’opposizione proposta da Genova Acque s.p.a. (ora Mediterranea delle Acque s.p.a.) alla cartella esattoriale notificata dal concessionario del servizio di riscossione dei crediti INPS, relativa al mancato versamento dei contributi dovuti per cassa integrazione guadagni, cassa integrazione guadagni straordinaria e trattamento di mobilita’ per il periodo maggio 2001.

1.1. In particolare, la Corte di merito ha ritenuto che alla opponente, societa’ a capitale misto costituita per la gestione dei servizi idrici del Comune di Genova, non poteva applicarsi l’esenzione prevista dal D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, comma 1 per “le imprese industriali degli enti pubblici”, trattandosi di una societa’ di natura intrinsecamente “privata” nella quale l’amministrazione pubblica esercita il controllo esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato.

2. Di questa sentenza la societa’ domanda la cassazione deducendo un unico motivo di impugnazione, illustrato con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. L’INPS, anche quale mandatario della Societa’ di cartolarizzazione dei crediti Inps (SCII), resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’unico motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, della L. n. 1115 del 1968, art. 2, della L. n. 164 del 1975, art. 1, della L. n. 223 del 1991, art. 6, dell’art. 2093 c.c. e della L. n. 142 del 1990, art. 22 nonche’ vizio di motivazione. Si sostiene che ai fini della esenzione contributiva in questione, anche tenuto conto della nozione comunitaria di impresa pubblica, non si richiede che l’impresa abbia “natura pubblica”, essendo necessario solo che nei confronti di essa i pubblici poteri possano esercitare, in modo diretto o indiretto, un’influenza dominante, anche solo per ragioni di partecipazione finanziaria, come nel caso di societa’ a prevalente partecipazione pubblica; peraltro, trattandosi nella specie di impresa che eroga servizi pubblici essenziali, non puo’ operare nei suoi confronti la disciplina della cassa integrazione, sicche’ la previsione dell’obbligazione contributiva sarebbe del tutto priva di “contropartita” e determinerebbe una illegittima disparita’ con le imprese a capitale interamente pubblico; ne’, a dire della ricorrente, possono trarsi argomenti favorevoli all’inapplicabilita’ del D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3 dal fatto che non sussisterebbe una “amministrazione interessata”, fra l’altro abilitata a richiedere la operativita’ della cassa integrazione (come prevede il comma 2), stante la piena configurabilita’ di una tale funzione “pubblica” nella iniziativa spettante all’ente pubblico socio di maggioranza.

2. Il ricorso non e’ fondato.

2.1. Come la sentenza impugnata ha sottolineato, la gestione dell’interesse pubblico mediante l’impresa discende, di volta in volta, da specifiche discipline legislative, intese a realizzare le tendenze e le scelte di politica economica prevalenti in un dato momento. Con riguardo al settore industriale, l’esame della legislazione rivela una evoluzione per niente lineare, che, comunque modificando l’originario principio enunciato nella relazione al codice civile circa la irrilevanza della persona dell’azionista, ha determinato dapprima la configurazione della “societa’ impresa pubblica” e successivamente la sua “privatizzazione”. Secondo una prima tendenza – risalente agli anni cinquanta (cfr. L. n. 1589 del 1956) – nel senso della “partecipazione” dello Stato e degli enti pubblici alla gestione dell’economia, il Legislatore ha voluto che l’esercizio dell’attivita’ industriale, come fattore di gestione e di sviluppo dell’economi nazionale, avesse il supporto della mano pubblica e, in alcuni campi, ne subisse anche la concorrenzialita’ al fine di stimolare le energie migliori in vista della qualita’ e della competitivita’ dei prodotti. Gli strumenti legislativi per la realizzazione di tale progetto di industrializzazione sono stati di volta in volta, secondo le opportunita’, le aziende autonome e gli enti pubblici economici, nel campo giuspubblicistico, e le societa’ per azioni in quello del diritto privato (cfr. Cass. 4600 del 1993).

Molteplici esigenze, ivi compresa l’incidenza dei principi comunitari, sono state alla base del processo attualmente in corso di privatizzazione del settore pubblico dell’economia e hanno comportato, sul piano legislativo, la precisa scelta del modello privatistico per la gestione degli interessi pubblici, ove l’utilizzazione dell’impresa avviene in base a considerazioni specifiche riguardanti i singoli settori d’intervento e con effetti ora meramenti formali (con la utilizzazione della “forma” privatistica da parte dell’impresa pubblica), ora sostanziali (con la costituzione di societa’ a capitale misto).

2.2. Questo sistema, che concepisce il perseguimento di interessi della collettivita’ anche mediante la partecipazione pubblica a societa’ di capitali, trova precisi riscontri nella disciplina comunitaria — cosi’ come la ricorrente non ha mancato di rilevare – che, anzi, in relazione alle finalita’ diversamente peraeguite, ben puo’ verificarsi che una societa’ per azioni, con pacchetto azionario pubblico, possa definirsi “impresa pubblica”, mentre la nozione di organismo di diritto pubblico puo’ non essere riconosciuta, a determinati fini, ad un ente pubblico economico esercente attivita’ industriale o commerciale, come avviene per la materia degli appalti pubblici di servizi in relazione alla direttiva 92/50/CEE; parimenti, la relazione funzionale con l’ente pubblico puo’ dare luogo alla responsabilita’ contabile anche in caso di societa’ a capitale misto (cfr. Cass., sez, un., n. 26806 del 2009), cosi’ confermandosi che le conseguenze giuridiche derivanti da tale relazione dipendono, di volta in volta, dalle specifiche discipline normative.

2.3. Il fenomeno della “privatizzazione” dei servizi pubblici, in particolare, e’ andato vieppiu’ sviluppandosi nei diversi campi dell’organizzazione economica del territorio, anche con riguardo alle mutate necessita’ di gestione di servizi complessi, si’ da richiedere in alcuni casi la costituzione di imprese “degli enti pubblici” e di societa’ “con capitale pubblico”.

La L. n. 142 del 1990 sulla disciplina delle autonomie degli enti locali ha previsto, all’art. 22, comma 3, che i comuni e le province possano gestire i servizi pubblici con diverse modalita’: “in economia”; “in concessione a terzi”; “a mezzo di azienda speciale”;

“a mezzo di istituzione”; e, infine, “a mezzo di societa’ per azioni a prevalente capitale pubblico locale”; quest’ultimo sistema, in particolare, e’ prescelto allorche’ si renda opportuna la partecipazione di altri soggetti pubblici o privati in relazione al servizio da erogare. Una previsione analoga e’ contenuta nella L. n. 127 del 1997, art. 17, comma 58 e, infine, nel D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 112 e 113.

La classificazione si riferisce alla differente modalita’ della privatizzazione e al diverso grado di relazione che, di volta in volta, l’ente pubblico intende mantenere con la gestione dei servizi e, nell’ambito delle ipotesi di gestione “indiretta” attuata mediante altri soggetti, distingue fra soggetti pienamente “strumentali”, come le aziende speciali e le istituzioni, e le societa’ con prevalente capitale pubblico. Non viene contemplata, formalmente, la societa’ a capitale interamente pubblico, e cio’ si spiega, storicamente, col fatto che la utilizzazione delle societa’ per azioni con unico socio – nella prospettiva della societa’ di capitali configurata, sotto l’influenza della dottrina francese e tedesca, come “una struttura organizzativa dell’impresa in se’” – ha riguardato essenzialmente la partecipazione dello Stato, nella sua amministrazione ministeriale, nel campo della grande industria; ma cio’ non ha escluso il verificarsi di tale meccanismo anche per la gestione di servizi a livello territoriale, nei casi in cui la complessita’ lo richiedeva, se pure l’eventualita’ della partecipazione “totalitaria” e’ andata sempre piu’ affievolendosi nell’ambito della indicata tendenza alla privatizzazione.

2.4. Anche nel sistema assistenziale e previdenziale, la locuzione “imprese industriali degli enti pubblici”, di cui alla norma di cui al D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, come sostituito dalla L. 12 luglio 1988, n. 270, art. 4, comma 1 deve essere interpretata riguardando la funzione e i limiti del potere di controllo dello Stato o dell’ente pubblico sulla gestione della societa’, si’ che questa possa definirsi impresa, esercitata nella forma privatistica della societa’ di capitali, “appartenente” all’ente pubblico.

Da tali considerazioni questa Corte ha tratto la conseguenza che nel caso di societa’ per azioni, se il capitale versato sia interamente di proprieta’ di enti pubblici e da essi gestito, si puo’ ritenere piu’ conveniente, di volta in volta, adottare schemi operativi privatistici o pubblicistici; e le societa’ costituite dagli enti pubblici che rimangono detentori interamente dei pacchetti azionari devono essere considerate imprese industriali pubbliche a tutti gli effetti e, nel caso in esame, anche per quanto concerne l’esclusione dal pagamento dei contributi C.I.G. di cui al gia’ citato D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3; ma il mantenimento dell’intero pacchetto azionario da parte dell’ente pubblico e’ elemento discriminante rispetto all’azionariato misto (cfr. Cass. n. 4600 del 1993).

Tale discriminazione si spiega col fatto che nella societa’ a capitale misto, con pacchetto azionario detenuto – se pure in misura maggioritaria – non interamente dall’ente pubblico, quest’ultimo e’ soggetto, quanto all’esercizio del potere decisionale e all’organizzazione aziendale, alle evenienze proprie della dialettica societaria che si esplica, si’, con una influenza derivante dalla sostanziale prevalenza azionaria, ma — come la sentenza impugnata ha puntualmente precisato – non coincide con il potere di autonomia e di controllo proprio della detenzione dell’intero pacchetto azionario.

Peraltro, la “compartecipazione” nella gestione dei servizi pubblici comunali e provinciali implica, come s’e’ visto, una specifica e diversa scelta imprenditoriale e organizzativa, nel senso della autolimitazione del potere dell’ente pubblico, dipendente dall’opportunita’ della partecipazione di altri soggetti, pubblici o privati, in relazione alla natura del servizio o all’ambito territoriale della gestione; e, mette conto osservare, soprattutto la eventuale presenza di capitale privato, mediante il quale si facilita il reperimento di mezzi finanziari utilizzati per il perseguimento delle finalita’ collettive, rende necessaria una effettiva partecipazione della quota minoritaria alla realizzazione delle scelte economiche aziendali. La modalita’ della autolimitazione, fra l’altro, rende incompatibile l’applicazione del D.Lgs. 12 agosto 1947, n. 869, art. 3, comma 2 in esame, che prevede l’assoggettamento dell’impresa industriale dell’ente pubblico alla contribuzione per la cassa integrazione “su richiesta delle Amministrazioni interessate”, secondo un meccanismo che presuppone una scelta interamente rimessa all’ente pubblico, e non all’impresa, e che si riflette su quest’ultima in modo automatico in ragione della sua funzione strumentale.

Cio’ comporta che in materia di cassa integrazione guadagni anche le societa’ per azioni a prevalente capitale pubblico, aventi ad oggetto l’esercizio di attivita’ industriali, sono tenute al pagamento dei relativi contributi, non potendo trovare applicazione l’esonero previsto dall’art. 3 cit. (cfr. anche, di recente, Casa. n. 14847 del 2009, pure con riferimento alla natura non “strumentale” delle societa’ a capitale misto secondo la nozione di cui alla L. n. 142 del 1990 applicabile nella fattispecie ratione temporis).

2.5. Ne’ puo’ incidere, a questi fini, la definizione di “organismo di diritto pubblico” dettata dall’ordinamento comunitario, in materia di servizi pubblici, nella quale sono compresi gli organismi dotati di personalita’ giuridica – finanziati dallo Stato o da enti pubblici o la cui gestione e’ sottoposta al controllo pubblico – istituiti per soddisfare specifiche finalita’ di interesse generale “non aventi carattere industriale o commerciale” (cfr. direttiva CEE n. 50 del 1992, cit., recepita con D.Lgs. n. 157 del 1995), poiche’ la materia qui in esame – esplicitamente invocata dalla societa’ ricorrente – riguarda esclusivamente le imprese “industriali” degli enti pubblici o dello Stato ai fini della esenzione dai contributi per la cassa integrazione e la mobilita’.

2.6. La conclusione ermeneutica raggiunta non puo’ essere influenzata, cosi’ come invece sostiene la ricorrente nella memoria illustrativa, dal D.L. n. 112 del 2008, art. 20, comma 2 convertito con modificazioni nella L. n. 133 del 2008, che ha previsto con decorrenza dal 1 gennaio 2009 l’obbligo del versamento dei contributi per malattia e maternita’ nei confronti delle imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate e a capitale misto. Infatti, la contribuzione disciplinata da tale norma e’ diversa da quella della contribuzione per la cassa integrazione e la mobilita’ e non implica una “razionalizzazione” dell’intera materia dell’obbligazione contributiva delle imprese pubbliche, privatizzate e a capitale misto, ovvero una “omogeneizzazione” di tali imprese a qualunque fine previdenziale o assistenziale, che, piuttosto, la omogeneita’ e’ solo nel senso della estensione dell’obbligo contributivo per la malattia a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a capitale misto, al fine di uniformare la disciplina prevista per la generalita’ dei datori di lavoro, a prescindere dalla eventuale corresponsione di una retribuzione globale, comprensiva della “quota per malattia” eventualmente prevista da contratti collettivi di settore o da regolamenti interni del personale.

2.7. Ai fini della contribuzione per la cassa integrazione e la mobilita’, la esplicitata previsione della sussistenza dell’obbligo contributivo per le societa’ a capitale misto non crea una disparita’ ingiustificata rispetto alle societa’ a capitale interamente pubblico, poiche’ il discrimine consegue al diverso funzionamento delle societa’ miste e, almeno nella intentio legis, al diverso grado di stabilita’ dell’occupazione, cosi’ come viene sottolineato nella sentenza qui impugnata. In ogni caso, la prospettata inoperativita’ della cassa integrazione e la sostanziale mancanza di una “contropartita” non sono estranei al sistema previdenziale, ove l’obbligo contributivo e’ connesso non tanto alla presenza di un corrispettivo economico, quanto a un dovere di solidarieta’, che opera positivamente anche nel sistema dell’integrazione salariale, finanziato dalla contribuzione fissa di tutti gli imprenditori, compresi quelli che non si avvalgono dell’intervento (cui si aggiunge una contribuzione “addizionale” a carico delle imprese che se ne avvalgono: cfr. L. n. 164 del 1975, art. 12; L. n. 675 del 1977, art. 21; L. n. 160 del 1988, art. 8; L. n. 223 del 1991, art. 1).

3. Alla stregua degli enunciati principi, il ricorso e’ respinto.

4. La complessita’ della questione e l’esito alterno dei giudizi di merito inducono alla compensazione delle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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