Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5815 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 14/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20614-2006 proposto da:

L.A., + ALTRI OMESSI

tutti

già elettivamente domiciliati in ROMA, C/O UDEUR LARGO ARENULA 34,

presso lo studio dell’avvocato BICCHIELLI GIUSEPPE, rappresentati e

difesi dall’avvocato AMATO FELICE, giusta mandato a margine del

ricorso e da ultimo domiciliati d’ufficio presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrenti –

e contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIANI

GIUSEPPE, TRIOLO VINCENZO, giusta mandato in calce alla copia

notificata del ricorso;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1203/2005 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositata il 14/07/2005 R.G.N. R.G.N. 446/01;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato SGROI per delega TRIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi depositati in tempi diversi avanti al Pretore del lavoro di Salerno, i 50 nominativi in epigrafe indicati (oltre altri, che non hanno successivamente proposto appello avverso la sentenza del Pretore), tutti braccianti agricoli, avevano chiesto il riconoscimento del loro diritto nei confronti dell’INPS all’adeguamento dell’indennità di disoccupazione ordinaria percepita negli anni dagli stessi indicati, con conseguente condanna dell’ente previdenziale al relativo pagamento.

A seguito della riunione dei vari procedimenti, il giudice del lavoro di Salerno, con la sentenza n. 1985 del 2000, nell’accogliere alcune domande e dichiarare la cessazione della materia del contendere a seguito dell’intervenuto pagamento da parte dell’INPS con riferimento ad altre, aveva altresì condannato l’Ente resistente a rimborsare ai ricorrenti indicati le spese del giudizio, liquidandole in complessive L. 6.000.000, nonostante la presentazione di note individuali riferite a ciascun ricorrente e contenenti importi dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato dettagliatamente indicati, per una misura complessiva ben maggiore di quella liquidata.

Su appello proposto dai medesimi ricorrenti anche in ordine alla liquidazione delle spese del giudizio di primo grado, la Corte d’appello di Salerno, con sentenza depositata il 14 luglio 2005, ha censurato la liquidazione complessiva operata dal giudice di prime cure e procedendo all’analitico controllo delle note presentate per ciascun ricorrente, verificata la correttezza di inquadramento delle singole controversie quanto al relativo valore, ha quantificato l’importo delle spese dei giudizi riuniti di primo grado in complessivi Euro 13.428,00 di cui Euro 1.157,00 per onorario.

In proposito, ha precisato che lo scarto rispetto a quanto richiesto dagli appellanti “si giustifica con il rilievo che tutte le attività successive alla riunione sono riferibili ad una unica causa e che, quanto ai diritti, non possono essere riconosciute le competenze relative alle voci “precisazione delle conclusioni” ed “esame delle conclusioni di ogni parte” in quanto relative ad attività non previste nel rito del lavoro … Quanto alla impugnata misura dell’onorario … ritiene la Corte di quantificarla in L. 640.000″ a cui ha poi aggiunto il 20% per dieci ricorrenti il 5% per altri dieci, per un totale di L. 2.240.000 (equivalenti a Euro 1.157,00).

Avverso la sentenza propongono ora ricorso per cassazione i nominativi in epigrafe indicati, con tre motivi.

L’Inps, regolarmente intimato, ha depositato la procura al proprio difensore, che è infine comparso in udienza per discutere la causa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 429 c.p.c., della L. 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico della tariffa adottata con Delib.

C.N.F. 29 settembre 1994 ed approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585, tabella B), nn. 37 e 38 nonchè dell’art. 5, comma 4, della stessa tariffa. Difetto di motivazione e contraddittorietà.

Violazione degli artt. 2697, 2729 c.c. e art. 115 c.p.c. ed erronea va-lutazione della prova.

In proposito, i ricorrenti deducono anzitutto l’erroneità dell’esclusione tra i diritti di procuratore, della voce “precisazione delle conclusioni” ed “esame delle conclusioni di controparte “, in considerazione del fatto che anche nel rito del lavoro il codice di procedura indica come necessaria la fase della precisazione delle conclusioni (art. 429 c.p.c.), sia pure nel contesto dell’udienza di discussione della causa.

Del resto e con vizio di motivazione, la Corte d’appello avrebbe ignorato che proprio nell’epigrafe della sentenza di primo grado sarebbero state indicate le conclusioni assunte dalle parti.

Un secondo errore, commesso dai giudici di appello, consisterebbe in ciò che questi avrebbero liquidato i diritti relativi alle attività successive alla riunione dei vari procedimenti con importi riferiti ad una unica causa.

Viceversa anche per le attività procuratorie poste in essere successivamente alla riunione di più cause, originariamente separate, i relativi diritti andrebbero integralmente riconosciuti in relazione a ciascun cliente ed alla stregua di ciascuna nota specifica.

Il motivo è fondato nella prima parte, mentre è inammissibile per difetto di autosufficienza nella seconda.

La Corte territoriale ha infatti errato nell’escludere i diritti di procuratore relativamente alle voci “precisazione delle conclusioni” ed “esame delle conclusioni dell’altraparte”, previste ai nn. 37 e 38 della tariffa di cui alla tabella B) annessa al D.M. 5 ottobre 1994, n. 585.

La precisazione delle conclusioni costituisce infatti, nel rito del lavoro, quantomeno nel giudizio di primo grado (per l’appello, cfr.

Cass. 17 ottobre 2007 n. 21841), adempimento che il primo comma dell’art. 429 c.p.c. prevede come attività autonoma rispetto alle conclusioni assunte nell’atto introduttivo del giudizio e alla stessa discussione della causa, ancorchè la collochi dopo quest’ultima attività, all’interno della medesima udienza (cfr., in proposito, Cass. 16 febbraio 2009 n. 3715, 23 febbraio 2007 n. 4258 e 3 settembre 2003 n. 12840).

A ciò consegue pertanto la fondatezza della censura indicata.

Con riferimento alla seconda parte del motivo, non si rileva nella sentenza impugnata alcuna affermazione nel senso che, anche quanto ai diritti procuratori, tutte le attività successive alla riunione sono riferibili ad una unica causa.

Nel contesto prima riprodotto, tale affermazione – che precede altra, espressamente riferita ai diritti di procuratori con l’espressione “quanto ai diritti ” – appare viceversa concernere unicamente gli onorari di avvocato, del resto in perfetta consonanza con l’art. 5, punto 4, della tariffa degli onorari, il quale dopo avere nella prima parte stabilito che “Qualora in una causa l’avvocato assista o difenda più persone aventi la stessa posizione processuale, l’onorario unico può essere aumentato per ogni parte del 20% fino a dieci” e di un ulteriore 5% fino a venti parti, aggiunge nella seconda parte che “la stessa disposizione trova applicazione ove più cause vengano riunite, dal momento dell’avvenuta riunione”.

Per dimostrare pertanto il contrario, vale a dire che la Corte territoriale avrebbe computato anche i diritti di procuratore come riferiti ad un unico processo, quantomeno successivamente alla riunione, i ricorrenti avrebbero dovuto sostenere la conseguente censura con l’illustrazione dei valori effettivamente computati dai giudici per giungere al rilevante importo di Euro 12.271,00.

Nè siffatto risultato può essere raggiunto attraverso l’analisi delle singole voci delle notule, ignote in questa sede, in cui sono stati riportati, a pagg. 84 e 85 del ricorso per cassazione i valori complessivi per ogni ricorrente, tra l’altro diversi dalla sommatoria di quelli parziali esposti in primo grado, illustrati dettagliatamente da pag. 5 a pag. 81 del ricorso medesimo.

Il motivo è pertanto inammissibile nella sua seconda parte, per violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui cfr., per tutte, Cass. 5043/09, 4823/09 e 338/09).

2 – Col secondo motivo, la difesa dei ricorrenti deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 429 c.p.c., dell’articolo unico della L. 7 novembre 1957, n. 1051, della tariffa adottata con Delib.

C.N.F. 29 settembre 1994 ed approvata con D.M. 5 ottobre 1994. n. 585, tabella B9, nonchè dell’art. 5, comma 4 della stessa tariffa.

Difetto e contraddittorietà di motivazione.

Quanto agli onorari, la Corte avrebbe erroneamente applicato, nell’operare il calcolo relativo, la prima parte del punto 4 dell’art. 5 della tariffa forense, concernente il caso di difensore di più clienti in una unica causa, anzichè la seconda parte della norma della tariffa citata, riguardante il caso di riunione successiva di più cause promosse da soggetti col medesimo difensore.

Se avesse correttamente applicato questa ultima disposizione, la Corte territoriale avrebbe dovuto liquidare separatamente per ciascuno dei ricorrenti gli onorari per le attività svolte prima della riunione, applicando poi all’attività successiva le riduzioni previste.

Il motivo è fondato sul preciso tenore della norma dell’art. 5, comma 4 della tariffa, citato in sede di analisi del primo motivo.

La stessa sentenza impugnata aveva del resto enunciato, come sopra riferito, che solo dopo la riunione dei vari procedimenti, iniziati in tempi e con atti diversi, le attività difensive successive sono riferibili ad una unica causa ai fini della liquidazione degli onorari, dimenticandosi poi tale regola con riguardo agli atti precedenti la riunione, nel momento in cui ha proceduto alla quantificazione dell’onorario in L. 2.240.000 (Euro 1.157,00), importo raggiunto partendo da un valore unitario di L. 640.000, poi incrementato del 20% per ognuno di dieci litisconsorti e del 5% per ognuno di altri dieci.

3 – Col terzo motivo, viene denunciata l’omessa pronuncia su di un motivo di appello in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4., la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., della L. 7 novembre 1957, n. 1051, articolo unico della tariffa adottata con Delib. C.N.F. 29 settembre 12994 ed approvata con D.M. 5 ottobre 1994, n. 585 ed in particolare dell’art. 15 della stessa. Difetto di motivazione.

In proposito, i ricorrenti deducono di avere in appello censurato con specifico motivo anche la manca liquidazione del 10% di diritti ed onorari a titolo di spese generali ai sensi dell’art. 15 della tariffa, ma sul punto la Corte territoriale non si era pronunciata.

Comunque, a voler ritenere un rigetto implicito del motivo di appello, la sentenza sarebbe sul punto immotivata e comunque contrasterebbe con quanto previsto dalla norma della tariffa forense citata, in regime di inderogabilità della stessa.

Il motivo è infondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, il rimborso delle spese generali nella misura del 10% (oggi 12.50%) degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti procuratori, spetta all’avvocato a norma e nella misura determinata per legge, pur in difetto di espressa menzione nel dispositivo della sentenza (Cass. 2 luglio 2003 n. 10416).

Ne consegue che nel caso di specie, la Corte territoriale, menzionando tra i motivi di appello anche quello relativo alla mancata liquidazione delle spese generali e non facendone poi oggetto di specifica pronuncia, ha inteso richiamarsi alla giurisprudenza indicata e comunque la sua mancata esplicita pronuncia non ha in alcun modo inciso sulla spettanza del diritto rivendicato.

Concludendo, il ricorso va parzialmente accolto e la sentenza impugnata va conseguentemente cassata con rinvio, anche per il regolamento delle spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Potenza.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata limitatamente alla mancata liquidazione in primo grado per ciascuno dei ricorrenti dei diritti di procuratore quanto alle voci “precisazione delle conclusioni” ed “esame delle conclusioni di controparte” nonchè relativamente alla mancata liquidazione individuale degli onorari di avvocato relativi ad attività precedenti alla riunione dei vari procedimenti in primo grado;

rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte d’appello di Potenza.

Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

 

 

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