Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5815 del 08/03/2017

Cassazione civile, sez. VI, 08/03/2017, (ud. 08/02/2017, dep.08/03/2017),  n. 5815

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23286-2015 proposto da:

P.W., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GIOVANNI BONINO;

– ricorrente –

CONTRO

VALETUDO S.R.L., Cf. e P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

POMPEO MAGNO 1, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE FABRIZIO

ZITO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROBERTO

RAMPINELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 192/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’8/02/2017 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, con sentenza del 9.6.2015, la Corte di appello di Brescia respingeva il gravame proposto da P.W. – assunto dal gennaio 2005 alla dipendenze della Valetudo s.r.l., operante nel settore cosmetico e farmaceutico, come area manager per il centro nord Italia, inquadrato come quadro – avverso la pronuncia del Tribunale di Bergamo che, in relazione alle domande di quest’ultimo, intese ad ottenere il risarcimento del danno alla salute asseritamente subito in conseguenza del mobbing per complessivi Euro 121.780,05 ed al pagamento delle differenze a vario titolo spettanti in relazione all’intercorso rapporto di lavoro, aveva riconosciuto, in favore del lavoratore, l’importo di Euro 9691,07 a titolo di rimborsi di spese sostenute per alcuni mesi del 2009, indennità di trasferta ed incidenza di tali voci sul tfr, importo compensato con il riconosciuto controcredito della società azionato in riconvenzionale a titolo di indennità sostitutiva di preavviso;

che – si osservava – il giudice di primo grado aveva escluso che la situazione conflittuale, pure emersa dall’istruttoria, presentasse i tratti tipici del mobbing e che pertanto non sussistesse la dedotta causa di dimissioni, aggiungendosi che, avendo in sede di gravame l’appellante rinunciato alla domanda di risarcimento dei danni da mobbing, non poteva essere accolto l’appello neanche nella parte in cui si denunciava che, pur se le prove assunte non deponessero per la sussistenza del mobbing, in ogni caso le condotte del datore avrebbero potuto essere valutate ai fini della sussistenza della giusta causa di dimissioni;

che veniva evidenziato che il motivo delle dimissioni senza preavviso era stato indicato nel ricorso introduttivo come conseguenza del mobbing e che, anche se la domanda di accertamento della giusta causa era distinta da quella relativa all’accertamento del mobbing, i fatti dedotti a sostegno delle due domande erano gli stessi, onde non poteva accedersi ad una valutazione dei fatti emersi in sede istruttoria diversa da quella diretta a ravvisare la sussistenza o meno del mobbing; che di tale sentenza il P. chiede la cassazione affidando l’impugnazione ad un unico motivo, cui ha opposto difese la società, con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio, in prossimità della quale entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata; che si denuncia omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, rilevandosi che il ragionamento espresso dalla Corte del merito si ponga in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato palesando un’ipotesi di omessa pronuncia, in particolare, evidenziandosi la mancata valutazione delle condotte della società ai fini della verifica della sussistenza della giusta causa delle dimissioni, indipendentemente dalla relativa configurabilità come mobbing;

che si ritiene fondata la decisione della Corte sulla identità dei fatti costitutivi delle due domande (quella di risarcimento del danno e quella di accertamento della giusta causa), entrambe ricondotte alla condotta di mobbing denunciata;

che ritiene il Collegio si debba pervenire alla declaratoria di inammissibilità del ricorso;

che, anche a ritenere la correttezza della prospettazione del vizio come omessa pronuncia con riguardo al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 ed alla possibilità che il sindacato del giudice di legittimità investa direttamente l’invalidità denunciata, mediante l’accesso diretto agli atti sui quali il ricorso è fondato, indipendentemente dalla sufficienza e logicità della eventuale motivazione esibita al riguardo (cfr. da ultimo Cass. 30.7.2015 n. 16164), deve rilevarsi che la censura è inammissibile, per essere stata formulata in dispregio delle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della Corte;

che è stato, invero, affermato che nemmeno in quest’ipotesi viene meno l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, tradotto nelle più definire e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, (disposizioni in cui si fa espressa menzione anche degli “atti processuali, sicchè l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato (Cfr. Cass, s.u., 22.5.2012 n. 8070);

che in tale pronuncia è stato affermato il seguente principio: “Quando col ricorso per cassazione venga denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, ed in particolare un vizio afferente alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento, il giudice di legittimità non deve limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito ha vagliato la questione, ma è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, purchè la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (ed oggi, in particolare, in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4)” (cfr. Cass. 8070/2012 cit.);

che non emerge dal ricorso del P. alcun riferimento al ricorso introduttivo di primo grado, con indicazione della parte dello stesso ove erano specificamente rassegnate le conclusioni, e con riguardo al punto ove era chiesto l’accertamento della sussistenza della giusta causa delle dimissioni (ai fini dell’individuazione della causa petendi), al che consegue, per quanto detto, l’inammissibilità del mezzo di impugnazione proposto;

che, dovendo rilevarsi l’inidoneità del contenuto della memoria del ricorrente ad incidere ai fini di una soluzione della controversia difforme rispetto) a quella prospettata nella proposta del relatore, deve condividersi il contenuto di quest’ultima in base alle argomentazioni esposte, con la conseguenza che il ricorso va dichiarato inammissibile con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., n. 1;

che le spese del giudizio di legittimità seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;

che sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonchè al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R..

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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