Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5813 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5813

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19418-2006 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA COLA DI

RIENZO 69, presso lo studio dell’avvocato BOER PAOLO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA

FABRIZIO, COSSU BENEDETTA, CORETTI ANTONIETTA, SGROI ANTONINO, giusta

mandato in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 252/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/03/2006 r.g.n. 762/02;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato CARLO DE ANGELIS per delega PAOLO BOER; udito

l’Avvocato SGROI ANTONINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto del 31.5.2002, M.M. proponeva appello avverso la sentenza 1.6/2.7.2002 del Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del lavoro, con la quale era stata rigettata la sua domanda finalizzata alla declaratoria di nullità del recesso dell’INPS dal rapporto di riscatto degli anni di laurea, instauratosi con istanza presentata in data 7 settembre 1978 e accolta dall’Ente il 16 ottobre 1991, calcolando una riserva matematica pari a L. 2.943.773.

In particolare, l’appellante deduceva che: – erroneamente il Giudice di primo grado aveva ritenuto applicabile al caso in esame il D.M. 19 febbraio 1981, dovendosi invece fare riferimento alla disciplina vigente all’atto della presentazione della domanda (7.9.1978), ossia al D.M. 27 gennaio 1964 che non enunciava alcun termine perentorio per il pagamento, in unica soluzione o in forma rateale, della riserva matematica; – conseguentemente, il termine di 60 giorni per il pagamento, contenuto nella lettera di comunicazione dell’INPS, non traendo origine dal decreto ministeriale ed essendo unilateralmente determinato, non poteva qualificarsi come termine essenziale ma andava considerato solo quale tempo di scadenza dell’obbligazione, la cui inosservanza andava valutata ai fini della risoluzione del contratto per inadempimento sensi dell’art. 1453 e ss. c.c.; – dall’applicazione della disciplina civilistica discendeva che il versamento della prima rata; effettuato dieci giorni dopo la scadenza del termine di giorni sessanta, non abilitava l’Ente all’immediata risoluzione del riscatto, in assenza di clausola risolutiva espressa e non potendosi in tal senso interpretare la comunicazione con cui l’INPS aveva unilateralmente assegnato il termine per l’adempimento.

Chiedeva, pertanto, la riforma della gravata sentenza.

Instauratosi il contraddittorio, l’INPS si costituiva e concludeva per il rigetto dell’appello.

Con sentenza del 20 dicembre 2005-15 marzo 2006, l’adita Corte di Appello di Catanzaro rigettava il gravame.

A sostegno della decisione osservava che correttamente il Giudice di prima istanza aveva qualificato come essenziale il termine di adempimento, previsto nel D.M. 19 febbraio 1981, ed aveva ritenuto che, nella fattispecie concreta, l’indicazione del termine di sessanta giorni per l’effettuazione del pagamento e delle conseguenze della sua eventuale inosservanza, contenuta nella comunicazione inviata dall’INPS al M. contestualmente all’accettazione della domanda di riscatto, avesse carattere perentorio. A ciò era da aggiungere che il M. aveva aderito a quanto indicato nella suddetta comunicazione in caso di inesatto inadempimento, considerando in versamento eseguito oltre il termine come nuova domanda di riscatto.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre il M. con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste l’INPS con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso M.M., denunciando la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 disp. gen. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censura la sentenza impugnata per avere la Corte di Appello erroneamente applicato alla domanda di riscatto del corso di laurea in ingegneria, presentata in data 7 settembre 1978, la disciplina contenuta nel D.M. 9 febbraio 1981, che, contrariamente a quanto previsto dal precedente D.M. 27 gennaio 1964 applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, prevedeva che il versamento dell’onere del riscatto dovesse avvenire entro il termine di 60 giorni decorrenti dalla data ricezione della lettera raccomandata con la quale l’INPS aveva accolto la domanda. Secondo il ricorrente, la sentenza impugnata sarebbe illogica e contraddittoria nella parte in cui, dopo aver escluso l’applicabilità del principio tempus regit actum ai decreti ministeriali che nella materia de qua aggiornano la tariffe necessarie per calcolare la riserva matematica, ha omesso di rilevare che l’INPS, da un lato, ha definito la sua pratica di riscatto nell’ottobre del 1991, facendo riferimento alla disciplina contenuta nel D.M. 27 gennaio 1964, e dall’altro, “ha ritenuto di applicare alla controversia un termine perentorio, collegato con il ritardo nel versamento della prima rata previsto per la prima volta solo nelle istruzioni allegate al D.M. 18 febbraio 1981”.

Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione art. 1453 ss. cod. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3;

difetto di motivazione in ordine alla gravità del ritardo ed al connesso squilibrio economico da esso causato ed in ordine alla presunta rinuncia agli effetti della prima domanda, a seguito della presentazione di altra domanda (art. 360 c.p.c., n. 5).

Il ricorso, articolato nei suddetti motivi, strettamente connessi tra loro, non può essere accolto per le ragioni che di qui appresso si espongono. Giova preliminarmente rilevare che la facoltà di riscattare il periodo del corso legale di laurea per gli iscritti al Fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia è prevista – come puntualizzato dallo stesso ricorrente – dalla L. 22 ottobre 1973, n. 672, art. 14 (Modifiche alla disciplina del Fondo di Previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia). Tale disposizione prevede che la facoltà di riscatto, con onere a proprio carico, può essere esercitata “mediante versamento della riserva matematica calcolata secondo le norme previste dalla L. 13 luglio 1967, n. 58, art. 18”; disposizione, questa, che disciplina, anche mediante il rinvio alle norme di cui alla L. 12 agosto 1962, n. 1338, art. 13 la costituzione della rendita vitalizia nel caso di omissione da parte del datore di lavoro del versamento dei contributi e le modalità di calcolo della riserva matematica, la quale, più in dettaglio, è “calcolata in base alle tariffe che saranno all’uopo determinate e variate, quando occorra, con decreto del Ministero del lavoro”. Va premesso, ancora, che in applicazione di tale ultima norma, i decreti ministeriali, nel determinare i coefficienti attuariali necessari per la costituzione della riserva matematica di cui al citato art. 13, espressamente prevedono anche “istruzioni di natura più generale”, quali – con riferimento al D.M. 19 febbraio 1981, art. 5, lett. B quella che tale riserva “deve essere versata (dalla parte che ha proposto l’operazione) entro 60 giorni dalla data di ricezione della lettera raccomandata con cui l’Istituto nazionale della previdenza sociale comunica alla parte medesima l’ammontare di detta riserva”. “Se il versamento non è effettuato nel termine indicato” – viene ancora precisato – “l’operazione si considera come non proposta:

l’interessato ha, tuttavia, facoltà di riproporre l’operazione la quale sarà espletata previa rideterminazione, alla data della nuova domanda, della quota di pensione e del coefficiente da applicare (quest’ultimo da individuare sulla base dell’età ed eventualmente dell’anzianità contributiva raggiunta dal beneficiario alla data medesima)”. Tali istruzioni, in sostanza – come affermato da questa Corte in analoga occasione: v. Cass. n. 11682/04), sulla premessa della necessità del meccanismo legislativo (della L. 12 agosto 1962, art. 13, n. 1338) della costituzione della riserva matematica, non fanno che evidenziare (e spiegare) la inevitabilità di un termine entro il quale l’operazione deve essere conclusa (proposta dell’Istituto attraverso l’applicazione dello strumento legale previsto, e corrispondente accettazione da parte del beneficiario), la cui scadenza non può non costituire momento determinante per la funzionalità del sistema. Si intende dire, cioè, che, se è vero che nessuna norma di legge prevede la cd. decadenza nel mancato rispetto del termine, non di meno il sistema riconduce alla natura essenziale di esso ai sensi dell’art. 1457 c.c., e, di conseguenza, alla necessità di una nuova e diversa domanda che recupera il meccanismo, come dire, aggiornato alla diversa situazione soggettiva del lavoratore e ai conseguenti diversi coefficienti da applicare, che determinano, a loro volta, un altrettanto diverso risultato completamente estraneo alla situazione già negoziata e che lega entrambe le parti per la copertura contributiva del periodo interessato.

Tanto chiarito, non v’è dubbio che l’affermazione del ricorrente, secondo cui l’essenzialità del termine, e quindi la cd. decadenza conseguente al mancato rispetto dei termini di pagamento, non sarebbe prevista da alcuna disposizione legislativa – specie se si considera che nel D.M. 27 gennaio 1964, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, non è previsto alcun termine, non trova sufficiente sostegno nei motivi addotti; ciò, sia perchè, per quanto esposto, l’essenzialità del termine deriva – secondo il sopra richiamato e condiviso orientamento di questa Corte in materia – da una esigenza insita nello stesso meccanismo del riscatto, sia perchè l’impugnata decisione, pur aderendo alla pronuncia di primo grado, circa il riferimento al D.M. 19 febbraio 1981 piuttosto che a quello del 1964, nel procedere alla interpretazione della comunicazione dell’INPS, perviene ad una soluzione della questione prescindendo dal contenuto del D.M. del 1981, facendo leva sul comportamento delle parti, quale elemento ermeneutico della comunicazione.

Afferma, infatti, il Giudice di appello che l’argomento, esposto nella sentenza di primo grado e dallo stesso condivisa, è essenzialmente incentrato sul complessivo comportamento mantenuto dal M., significativo di una accettazione della proposta dell’Ente di considerare il versamento eseguito oltre il termine di giorni sessanta come nuova domanda di riscatto, con tutte le implicazioni susseguenti in ordine alla quantificazione della riserva matematica.

A tale conclusione deve pervenirsi – osserva la Corte territoriale, ove si tenga presente che con nota del 22 ottobre 1991, l’INPS aveva accolto la domanda di riscatto, avvisando il M. che la inosservanza dei modi e tempi del pagamento avrebbe comportato l’effetto di considerare il versamento inesatto, non già quale adempimento della precedente domanda, bensì quale proposta di una nuova domanda di riscatto formulata alla data del ritardato versamento.

Pertanto, il comportamento del M., che aveva eseguito il pagamento della prima rata con ritardo, assumeva il significato inequivocabile di consapevole adesione del medesimo alla proposta dell’Ente previdenziale suddetta.

Appare chiaro, da quanto esposto, che nella prospettiva della Corte di Catanzaro, il termine di 60 giorni acquista una sua autonomia rispetto al predetto decreto, in quanto è in relazione alla interpretazione della comunicazione che il Giudice di appello perviene a ritenere infondato l’assunto del ricorrente.

Trattandosi di interpretazione rimessa al Giudice di merito, adeguatamente motivata e, come tale incensurabile in questa sede, il ricorso va rigettato.

Per quanto precede, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 10,00 oltre L. 2.000,00 per onorari ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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