Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5811 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/03/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5811

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 28270-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to S.

G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati CORETTI

ANTONIETTA, CORRERA FABRIZIO, SGROI ANTONINO, giusta mandato in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

CONFESERCENTI – CONFEDERAZIONE ITALIANA ESERCENTI ATTIVITA’

COMMERCIALI, TURISTICHE E DEI SERVIZI, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEGLI SCIPIONI 288, presso lo studio dell’avvocato ROSSI GUIDO, che

la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA – CONCESSIONARIA DEL SERVIZIO

NAZIONALE DI RISCOSSIONE PER LA PROVINCIA DI ROMA; –

– intimati –

avverso la sentenza n. 6827/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 15/12/2005 R.G.N. 3063/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato SGROI AONTONINO;

udito l’Avvocato ROSSI GUIDO,

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Roma – quale Giudice del Lavoro, depositato il 16. 10.2002, la Confederazione Esercenti Attività Commerciali Turistiche e dei Servizi conveniva in giudizio l’I.N.P.S. e la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.a., proponendo opposizione alla cartella esattoriale notificata per l’importo di Euro 29.314,45 e relativa ad omesso pagamento di contributi previdenziali per il periodo gennaio 1989/dicembre 1991 con riferimento alla posizione del dipendente P.C..

A sostegno dell’opposizione veniva eccepita la prescrizione quinquennale del credito ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, e comunque l’infondatezza della pretesa contributiva dell’istituto.

Si costituiva ritualmente l’I.N.P.S. convenuto che contestava l’eccezione di prescrizione proposta poichè nel caso di specie sussisteva la denuncia del lavoratore, P.C., presentata all’istituto in data 17.12.1998, alla quale avevano fatto seguito tempestive richieste di pagamento dei contributi omessi. Il Tribunale di Roma, dichiarata la contumacia del Monte dei Paschi di Siena, accoglieva la proposta opposizione ritenendo prescritto il credito azionato con la cartella esattoriale oggetto di causa.

Avverso tale sentenza l’Istituto proponeva appello adducendo l’erroneità della pronuncia, atteso che il credito non poteva considerarsi prescritto per la pacifica esistenza, nei caso di specie, della denuncia dei lavoratore presentata nel dicembre 1998, idonea a rendere decennale il termine precrizionale dei contributi azionati – relativi al periodo gennaio 1989/dicembre 1991 – ai sensi della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10.

Nel merito si ribadiva la fondatezza del credito medesimo. Il Monte dei Paschi di Siena – Concessionario del Servizio Nazionale Riscossione per la Provincia di Roma – rimaneva contumace anche in appello. La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello proposto.

In particolare, i Giudici d’Appello, ritenendo preliminare ed assorbente la questione relativa alla eccepita prescrizione, dichiaravano non dovuti i contributi azionati perchè, al momento della presentazione della denuncia del lavoratore Sig. P. C. – avvenuta nel dicembre 1998 – era già maturata la prescrizione quinquennale introdotta dal 1 gennaio 1996 dalla L. n. 335 del 1995.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’INPS con un unico articolato motivo.

Resiste la Confesercenti – Confederazione Esercenti Attività Commerciali Turistiche e dei Servizi, con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c..

La Banca Monte dei Paschi di Siena non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico, articolato motivo di ricorso l’INPS, denunciando violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9, lett. a), e vizio di motivazione, lamenta l’erronea interpretazione, da parte del Giudice di appello, della normativa di riferimento, che in relazione alla concreta fattispecie prevederebbe un termine prescrizionale di 10 anni e non di cinque, come sostenuto nella impugnata decisione.

In particolare, sostiene che la sentenza impugnata avrebbe violato, o falsamente applicato, la disciplina che regola i termini di prescrizione del diritto al versamento dei contributi previdenziali, introdotta dalla richiamata normativa, là dove ha affermato che al momento della presentazione della denuncia all’INPS del lavoratore P.C. – avvenuta nel dicembre 1998 per omissioni contributive relative al periodo gennaio 1989/dicembre 1991 – era già maturata la prescrizione quinquennale introdotta dalla L. n. 335 del 1995. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

La questione sottoposta all’esame di questa Corte – come emerge da quanto appena esposto – riguarda l’interpretazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3 che al comma 9 così dispone: “Le contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria si prescrivono e non possono essere versate con il decorso dei termini di seguito indicati:

a) dieci anni per le contribuzioni di pertinenza del Fondo pensioni lavoratori dipendenti e delle altre gestioni pensionistiche obbligatorie, compreso il contributo di solidarietà previsto dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 9-bis, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 1 giugno 1991, n. 166, ed esclusa ogni aliquota di contribuzione aggiuntiva non devoluta alle gestioni pensionistiche. A decorrere dal 1 gennaio 1996 tale termine è ridotto a cinque anni salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti;

b) cinque anni per tutte le altre contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”.

Il successivo comma 10 stabilisce che “I termini di prescrizione di cui al comma 9 si applicano anche alle contribuzioni relative a periodi precedenti la data di entrata in vigore della presente legge, fatta eccezione per i casi di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente. Agli effetti del computo dei termini prescrizionali non si tiene conto della sospensione prevista dal D.L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 2, comma 19, convertito, con modificazioni, dalla L. 11 novembre 1983, n. 638, fatti salvi gli atti interruttivi compiuti e le procedure in corso”.

Il coordinamento tra i due commi dell’art. 3, sopra riportati, rappresenta la principale difficoltà per la ricostruzione di questo sistema; ciò che ha dato luogo a diversi orientamenti interpretativi sia a livello dottrinario che giurisprudenziale, rendendo necessario l’intervento delle S.U. di questa Corte, che con la recente sentenza del 7 marzo 2008 n. 6173, ha provveduto a comporre il contrasto.

Con detta pronuncia la Corte ha disatteso l’indirizzo prevalente – fatto proprio dalla sentenza impugnata, che, sostenendo l’immediata introduzione del nuovo termine quinquennale per i contributi relativi a periodi precedenti alla data di entrata in vigore della legge (salve le ipotesi, previste dalla norma, di denuncia del lavoratore o di iniziative dell’istituto previdenziale), delinea una netta cesura tra vecchio e nuovo, con effetti estintivi automatici sulle obbligazioni già in essere, incidendo direttamente sugli interessi contrapposti considerati dalla norma, e cioè da un lato quello dell’ente creditore alla riscossione dei contributi, dall’altro quello del lavoratore assicurato alla tutela della propria posizione previdenziale, che risulta compromessa dalla prescrizione dei contributi.

Tale orientamento non è stato ritenuto condivisibile, non stabilendo la normativa sopra esaminata un’espressa deroga all’art. 252 disp. att. cod. civ., disposizione munita di portata generale (cfr. Corte Costituzionale 3 febbraio 1994 n. 20); in base a questa disposizione, quando una nuova legge stabilisca un termine, in particolare di prescrizione, più breve di quello fissato dalla legge anteriore, il nuovo termine si applica anche alle prescrizioni in corso, ma decorre dalla data di entrata in vigore della legge che ne ha disposto l’abbreviazione, purchè, a norma della legge precedente, non residui un termine minore.

Imponendosi questa regola ai fini di una corretta interpretazione della normativa in oggetto, la richiamata pronuncia ha tratto la conclusione che, con l’entrata in vigore della legge che ha introdotto il nuovo regime per la prescrizione dei contributi relativi a periodi precedenti, opera, fuori dei casi di conservazione del precedente termine decennale, il nuovo termine di prescrizione più breve, che comincia peraltro a decorrere dalla data del 1 gennaio 1996; detto termine non può essere quindi superiore a cinque anni, mentre può essere inferiore se tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente. Siffatta interpretazione produce i suoi effetti anche in relazione al caso in controversia, caratterizzato dalla denuncia del lavoratore all’Istituto previdenziale del mancato versamento dei contributi, in suo favore, da parte del datore di lavoro e contemplato dall’ultima parte della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, lett. a).

Secondo la dominante giurisprudenza di legittimità (ex plurimis, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4153) antecedente all’intervento delle S.U., ed alla quale – come si è detto – si è riportata la sentenza impugnata, il termine entro il quale la denuncia doveva essere inoltrata dal lavoratore interessato, al fine di determinare l’applicazione del termine decennale, era quello del quinquennio dalla data di scadenza dell’obbligo contributivo, ovvero anche un termine superiore al quinquennio ove la denuncia fosse comunque intervenuta entro il 31 dicembre 1995; ciò sul presupposto che il prolungamento del termine avesse la possibilità di operare solo laddove il diritto non fosse già venuto meno; in altri termini, – precisava detta giurisprudenza – “affinchè il termine medesimo possa essere raddoppiato, occorre pur sempre che il credito contributivo esista ancora e non si sia già estinto per il maturare del quinquennio dalla sua scadenza, come fatalmente accadrebbe nel caso in cui, durante detto lasso di tempo non intervenisse la denunzia”.

Ma è di tutta evidenza, che una volta ritenuto – alla stregua della rinnovata interpretazione delle S.U., condivisa dal Collegio – che il nuovo termine di prescrizione quinquennale comincia a decorrere dalla data dell’1 gennaio 1996 e può essere inferiore al quinquennio se – come nella specie – tale è il residuo del più lungo termine determinato secondo il regime precedente, deve escludersi che nel caso in controversia si sia verificato l’effetto estintivo.

Nella specie, infatti, risulta pacifico che i contributi richiesti alla Confesercenti dall’INPS in favore del lavoratore P. C. si riferiscono al periodo gennaio 1989-dicembre 1991 e che la “denuncia” del lavoratore, è intervenuta il 17 dicembre 1998, quando, cioè, la scadenza del termine residuo di prescrizione, stabilito ex art. 252 disp. att. c.c., non si era ancora verificata;

ed inoltre – in riscontro alle osservazioni della controricorrente riportate nella memoria ex art. 378 c.p.c. che la cartella esattoriale opposta è stata notificata entro il quinquennio dalla denuncia del lavoratore.

Nè – contrariamente a quanto sostenuto nella sentenza impugnata – occorre che l’atto interruttivo, costituito dalla denuncia del lavoratore, per poter produrre i suoi effetti debba essere esercitato sia nei confronti dell’Istituto che nei confronti del datore di lavoro.

La questione, già sottoposta all’attenzione di questa Corte, è stata risolta alla stregua del seguente principio, pienamente condiviso dal Collegio: “La L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9 nel disporre che le contribuzioni di previdenza obbligatoria si prescrivono nel termine di cinque anni a decorrere dal primo gennaio 1996, salvi i casi di denuncia del lavoratore o dei suoi superstiti, non richiede che la denuncia sia resa nota al datore di lavoro debitore della contribuzione, avendo il legislatore ritenuto che l’interesse del lavoratore alla contribuzione – sacrificato dalla prescrizione e più difficilmente soddisfatto attraverso i rimedi dell’azione risarcitoria ex art. 2116 c.c., comma 2, e della rendita L. 12 agosto 1962, n. 1338, ex art. 13 – prevalga sull’affidamento del datore di lavoro debitore nel termine di prescrizione e, in particolare, sul suo interesse alla conoscenza delle cause che prolunghino l’assoggettamento al vincolo obbligatorio” (Cass. 5 marzo 2009 n. 5320).

Conseguentemente, la sentenza impugnata – che in contrasto con i principio sopra enunciati ha dichiarato la prescrizione del credito in questione – deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, che procederà a nuova indagine in ordine alla pretesa creditoria azionata. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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