Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5805 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2020, (ud. 10/07/2019, dep. 03/03/2020), n.5805

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. Luigi – Presidente –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –

Dott. ANTEZZA Fabio – Consigliere –

Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6191/2014 R.G. proposto da:

TECNOSPAZIO di V. D.F. & C. S.N.C., C.F. (OMISSIS), con sede

in (OMISSIS), rapp.ta e difesa, giusta procura speciale a margine

del ricorso, dall’Avv.to Pietro Anello del Foro di Roma, elett.

dom.ta presso lo studio del medesimo in Roma, Via Po n. 102;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), rapp.ta e difesa

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale per legge è

dom.ta in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Basilicata, Sez.1 N. 259/01/2013 depositata il 24 luglio 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 luglio

2019 dal Consigliere Dott. Nocella Luigi;

Fatto

RILEVATO

che:

La s.n.c. Tecnospazio di V. D.F. & C. (in avanti Tecnospazio) impugnava innanzi alla CTP di Potenza la comunicazione 5 agosto 2010, ribadita con altra del 4.10.2010, con la quale l’Agenzia delle Entrate di Potenza aveva respinto l’istanza di “riattivazione del credito IVA” vantato dalla Società ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, artt. 7 e 8 per l’anno 2003.

La vicenda che ha determinato il presente giudizio è, alla stregua delle non controverse allegazioni delle parti, la seguente. In sede di liquidazione periodica del secondo semestre 2003 la ricorrente aveva compensato un credito IVA (ammontante ad Euro 177.309,00), che le spettava ai sensi della L. n. 388 del 2000, artt. 7 e 8, con un debito scaturente dall’erronea fatturazione nei confronti della s.p.a. Nuovo Pignone di prestazioni per Euro 1.074.600,00 invece delle reali per Euro 10.746,00; rilevato l’errore la Società aveva emesso nota di credito per la differenza non spettante, che determinava, tra l’altro, l’emergere, in sede di liquidazione del successivo trimestre, di un credito IVA pari a quello erroneamente compensato, che in sede di dichiarazione annuale la Società aveva richiesto a rimborso. Il rimborso era stato inizialmente erogato in data 2.11.2004, ma, in seguito a verifica fiscale dell’Ufficio, l’importo del rimborso veniva ripreso a tassazione in quanto erogato in luogo dell’obbligatoria compensazione prescritta dalla L. n. 388 del 2000, artt. 7 e 8. Il giudizio intrapreso dalla Tecnospazio avverso il relativo avviso d’accertamento si era concluso con la sentenza n. 129/02/2009 della CTR della Basilicata, confermativa di quella della CTP, che ne aveva dichiarata la legittimità, dichiarando non dovute le sanzioni. La Società aveva prestato acquiescenza alla sentenza e pagato l’importo delle somme richieste, subito dopo proponendo l’istanza di “riattivazione del credito” oggetto del presente giudizio.

Nel contraddittorio con l’Agenzia resistente, l’adita CTP con sentenza N. 103/03/2011, respingeva il ricorso; su appello della ricorrente, la CTR della Basilicata, con la sentenza oggi impugnata ha confermato la decisione: i Giudici d’appello, premesso che “il reale oggetto del contendere è costituito dalla domanda di accertamento della perdurante esistenza del credito d’imposta anche a seguito delle vicissitudini relative alla complessiva operazione posta in essere dalla Tecnospazio”, ne hanno ritenuto l’inammissibilità per non essere prevista nel sistema giurisdizionale tributario la pronuncia di mero accertamento; d’altronde ha dichiarato inammissibile anche la domanda subordinata di restituzione del credito d’imposta controverso sull’assorbente considerazione che lo stesso D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 non prevede una domanda di rimborso di un credito d’imposta, ma solo la richiesta di annullamento di un diniego di rimborso.

La Tecnospazio ricorre per la cassazione di detta sentenza, con atto notificato a mezzo del servizio postale il 7.03.2014, fondato su tre motivi di censura.

L’Agenzia delle Entrate ha notificato controricorso il 16.04.2014.

La Società ricorrente ha depositato nei termini memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo di ricorso la Tecnospazio lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione, o comunque omesso esame, di un fatto decisivo e controverso nel giudizio, rappresentato dall’effettivo passaggio in giudicato della sentenza n. 129/02/2009 della CTR Basilicata: poichè nella sentenza qui impugnata sarebbe chiaramente presupposto che, ove quella pronuncia fosse divenuta definitiva, il provvedimento dell’Agenzia sarebbe chiaramente illegittimo, l’omesso esame della documentazione prodotta al fine di provare l’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza (copia di quest’ultima con attestazione di definitività) non potrebbe che costituire un vizio rilevabile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., siccome afferente un fatto idoneo a determinare una statuizione opposta a quella impugnata.

La ricorrente denuncia, con il secondo motivo, violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19: premesso che nel giudizio l’Agenzia non aveva mai posto in dubbio la sussistenza del credito d’imposta, l’oggetto del giudizio è stato erroneamente individuato dalla CTR nella domanda di accertamento del diritto, e non già nella richiesta di annullamento del provvedimento che ne avrebbe negato l’utilizzo, ritenuta ammissibile dalla CTP, richiesta che sostanzia di fatto l’impugnazione di un’implicita revoca di agevolazione; laddove la CTR si sarebbe posta in contrasto con l’orientamento di legittimità che ha ripetutamente attribuito alla giurisdizione tributaria carattere di generalità in relazione a qualsiasi atto determini l’interesse del contribuente, con conseguente necessità di interpretare l’art. 19 in senso sufficientemente elastico da non consentire lacune nella tutela giurisdizionale confliggenti con gli artt. 24 e 113 Cost. (Cass. SU 10.08.2005 n. 16776).

Con il terzo motivo la Tecnospazio deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 388 del 2000, artt. 7 e 8 e art. 2033 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3: evidenziato che il mancato utilizzo del credito da parte della contribuente determinerebbe un indebito arricchimento da parte dell’Erario, anche in considerazione della decisione n. 129/02/2009 richiamata, deduce che le norme invocate non prevedono per il contribuente alcuna “decadenza” dall’esercizio del diritto indebitamente utilizzato; mentre, una volta che la Società ha riversato l’imposta in ottemperanza alla menzionata sentenza della CTR della Basilicata, avrebbe, per quanto le competeva, ripristinato la status quo antea, imponendo all’Agenzia di assumere analogo atteggiamento secondo i principi enunciati dalla CGUE (sentenza 21.02.2006 in C-225/02, Halifax ed altre successive), secondo i quali l’eliminazione degli effetti dannosi dell’abuso si attuerebbe anche attraverso il ripristino dei diritti scaturenti da una conduzione “normalizzata” dell’operazione.

Il primo motivo è infondato.

Va premesso che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 introdotta dalla L. n. 134 del 2012 è applicabile anche ai ricorsi per la cassazione di sentenze emesse dai giudici tributari, in virtù del rinvio aperto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 2 alle norme del c.p.c. che regolano il ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez.V 25.05.2018 n. 13126; Cass. sez.0 7.04.2014 n. 8053); e la Società ricorrente, lamentando omesso esame di un fatto decisivo e controverso, ha proposto censura in via di principio ammissibile ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. come novellato.

Peraltro il ricorrente assume come decisiva la circostanza dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza n. 129/02/2009 della CTR della Basilicata, che risulterebbe documentalmente provata nel giudizio, sul presupposto che nella pronuncia qui impugnata, premesso che la precedente sentenza non era divenuta definitiva, sarebbe stata implicitamente riconosciuta l’illegittimità del diniego di riattivazione del credito ove la sentenza medesima fosse passata in giudicato; ciò evincendosi dall’affermazione che “un eventuale accoglimento dell’istanza di riattivazione avrebbe potuto confliggere con la possibilità dell’annullamento a seguito di un eventuale ricorso in Cassazione della pretesa IVA “, che, letta a contrario, implicherebbe che, ove passata in giudicato quella medesima sentenza, il provvedimento sarebbe stato illegittimo.

Appare evidente che il motivo si fonda sull’implicito, ma erroneo, presupposto che la portata oggettiva del giudicato della invocata sentenza d’appello possa evincersi non già dall’oggettivo contenuto della sentenza medesima, bensì dalle considerazioni ipotetiche sull’efficacia della sentenza sviluppate nella motivazione della sentenza oggetto di ricorso; portata che non può essere diversa a seconda che la sentenza d’appello passi in giudicato per mancata impugnazione o per conferma da parte della Corte di Cassazione. Ne consegue che, avendo la pronuncia n. 129/02/2009 della CTR Basilicata dichiarato la legittimità dell’avviso di accertamento per il recupero dell’imposta e quindi l’illegittimità del rimborso effettuato, ogni contraria considerazione della CTR nella sentenza qui impugnata non potrebbe modificarne tale portata in relazione all’ipotizzabile esito del ricorso mai proposto.

Ma, leggendo ed interpretando attentamente la motivazione della pronuncia oggetto di ricorso, la tesi della ricorrente si rivela anche infondata: invero la CTR ha inteso affermare l’esatto contrario di quanto postulato dalla ricorrente, e cioè che, ove proposto ed accolto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 129/02/2009, si sarebbe potuto determinare un conflitto con il provvedimento di accoglimento dell’istanza di riattivazione, in ragione del rischio di un’eventuale duplicazione del beneficio dell’accredito dell’imposta.

Anche il secondo motivo non può essere accolto.

Ancorchè questa Corte abbia effettivamente affermato ripetutamente che la giurisdizione tributaria ha portata generale “ogni qual volta si faccia questione di uno specifico rapporto tributario o di sanzioni inflitte da uffici tributari, dal cui ambito restano così escluse solo le controversie in cui non è direttamente coinvolto un rapporto tributario, ma viene impugnato un atto di carattere generale…o si chiede il rimborso di una somma indebitamente versata a titolo di tributo, della quale l’amministrazione riconosce pacificamente la spettanza al contribuente”, è altrettanto vero che compete al Giudice qualificare l’azione sulla base della domanda proposta e, comunque, che la cognizione del Giudice tributario può essere attivata esclusivamente in senso impugnatorio (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19) di atti o provvedimenti che coinvolgano diritti del contribuente correlati a rapporti tributari (Cass. sez.V 5.12.2014 n. 25756; Cass. sez.V ord. 6.10.2011 n. 20433) e che determinano l’insorgenza dell’interesse del contribuente ad attivare la giurisdizione (Cass. sez.VI-V ord. 22.09.2017 n. 22184); restandone perciò esclusi quei casi di silenzio su istanze del contribuente che non siano confermative dell’esistenza di una determinata pretesa tributaria (cfr. Cass. sez.V 28.05.2014 n. 11922).

Alla stregua di tali premesse logico-giuridiche, è ben vero che la CTR ha erroneamente qualificato come domanda di mero accertamento quella proposta in via principale dalla ricorrente, la quale ha chiesto effettivamente dichiararsi l’illegittimità di un provvedimento espresso di diniego di un determinato beneficio (riattivazione del credito); e tuttavia, pur dovendosi interpretare estensivamente l’elencazione degli atti impugnabili D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 19, nel senso di ricomprendervi anche “atti dell’Amministrazione finanziaria che, pur non rivestendo l’aspetto formale proprio di uno di quelli dichiarati espressamente impugnabili, portino a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, suscitandone l’interesse a chiederne il controllo di legittimità in sede giurisdizionale” (Cass. sez.V 30.11.2012 n. 21392; Cass. sez.VI-V ord. 15.02.2018 n. 3775), l’atto in concreto impugnato dalla Tecnospazio non ribadiva alcuna pretesa tributaria nè afferiva a benefici o domande rientranti nella formulazione dell’art. 19, lett. g ed h.

Tuttavia, al di là della qualificazione della domanda adottata dalla CTR, resta il fatto che la stessa Società ricorrente ha dato come presupposto non controverso tra le parti l’originaria spettanza del credito d’imposta ai sensi della L. n. 388 del 2000, artt. 7 e 8, essendo stata negata la legittimità del suo rimborso esclusivamente in ragione della sua obbligatoria compensabilità con altri debiti d’imposta; sicchè la domanda di “riattivazione” del credito, per tale dovendosi intendere giocoforza l’accertamento della sua perdurante esistenza a seguito delle vicissitudini amministrative e giurisdizionali riepilogate in premessa, se non è domanda di mero accertamento, certamente è domanda rispetto alla quale la stessa ricorrente è priva di interesse, siccome vertente su circostanza da essa medesima riconosciuta come non controversa tra le parti e sulla quale l’Amm.ne Finanziaria non ha alcun obbligo di pronunciarsi in assenza di concreta pretesa da far valere in merito all’impiego di tale credito.

Inoltre la CTR ha esaminato e respinto anche la domanda subordinata proposta dalla Società ricorrente in primo grado per la condanna alla restituzione del credito d’imposta (punto della statuizione solo in parte investita da censure dell’odierna ricorrente), fondando la decisione sulle medesime ragioni per le quali la medesima CTR, nel precedente giudizio, aveva giudicato illegittimo il rimborso erogato a suo tempo dall’Agenzia. In proposito la Tecnospazio non ha sollevato alcuna censura in relazione all’ulteriore ratio decidendi che la CTR ha enunciato in sentenza, laddove questa afferma che “la subordinata domanda di restituzione del credito d’imposta formulata in primo grado e riproposta in appello è del pari inammissibile, posto che, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, lett. g non è possibile chiedere il rimborso di un credito d’imposta il quale… per espressa previsione legislativa, può essere utilizzato soltanto in compensazione” (cfr. nel medesimo senso oltre la già richiamata Cass. n. 11922/2014, anche la conforme Cass. sez.V 23.10.2015 n. 21600).

E’ ben vero che con il terzo motivo essa denuncia la violazione della L. n. 388 del 2000, artt. 7 ed 8, ma mai deducendo l’erroneità del principio affermato e ribadito nelle pronunce della CTR Basilicata, e cioè che il credito d’imposta concesso da quelle norme può essere utilizzato esclusivamente con le modalità previste dalle medesime norme, e cioè “a decorrere dal 1 gennaio 2001, esclusivamente in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 7 comma 4 e art. 8 comma 5”.

Tale essendo la normativa regolatrice dell’agevolazione tributaria de qua, emerge altrettanto chiaramente l’infondatezza dell’ultimo motivo di ricorso. Infatti nell’articolazione della censura la Tecnospazio assume erroneamente l’insorgenza, in virtù del mancato riconoscimento della compensabilità del credito per inesistenza del debito da compensare, di un indebito arricchimento dell’Erario: una volta accertata e non contestata la sussistenza di un credito d’imposta la cui utilizzazione possa avvenire esclusivamente per compensazione con debiti del contribuente verso l’Erario, l’originaria insussistenza o l’avvenuta (e riconosciuta) negazione di siffatti debiti da estinguere in compensazione non comporta che all’inutilizzabilità del credito nelle modalità previste dalla Legge corrisponda un illegittimo arricchimento dell’Erario, dovendosi semplicemente constatare che la Società contribuente non versava nelle condizioni fattuali di potersi avvantaggiare dello specifico credito d’imposta; e, poichè la stessa non ha mai chiesto di poter compensare quel credito con altri debiti maturati successivamente alla prima utilizzazione riconosciuta indebita, non può postularsi che essa sia stata privata del credito, ma deve più semplicemente constatarsi che non è stata mai in condizioni di avvalersene secondo le specifiche modalità prescritte dalla legge, che costituiscono altrettante condizioni perchè il credito sia riconosciuto. Ovviamente tale conclusione non cela alcun abuso o indebita negazione del credito, poichè tutte le norme istitutive di agevolazioni (come è il riconoscimento di un credito d’imposta) sono di stretta interpretazione e debbono rispettare tutte le condizioni previste dalla normativa che le riconosce.

Ne consegue che non può condividersi la postulazione, da parte della Società ricorrente, dell’involontarietà della mancata compensazione siccome negata dall’Agenzia con il provvedimento di recupero del rimborso, poichè quel recupero è stato riconosciuto, dalla stessa Società oltre che dai Giudici tributari, conforme a legge; nè quella di un arricchimento dell’Erario non spettante, poichè questo ha riscosso dalla contribuente esclusivamente imposte riconosciute come dovute sulla scorta delle denunce effettuate; nè della natura sanzionatoria del mancato rimborso, poichè questo è semplicemente la conseguenza dell’inesistenza di debiti d’imposta effettivi e compensabili; mentre deve rilevarsi l’inconferenza dei richiami alla giurisprudenza comunitaria su riportata, la quale, riferendosi ad operazioni poste in essere da contribuenti in frode al sistema impositivo dell’IVA (imposta armonizzata), enunciava il principio secondo il quale il ristabilimento della situazione anteriore all’abuso comporta altresì l’eliminazione di ogni sua conseguenza, sia favorevole che sfavorevole al contribuente, sì da ristabilire l’equilibrio di neutralità dell’IVA. Tali principi non sono applicabili alla fattispecie sia per la peculiarità della disciplina dell’IVA e della sua regolamentazione comunitaria, sia perchè, come visto, l’avvenuto restituzione delle somme illecitamente ottenute a rimborso non ha privato la contribuente di alcun diritto, avendola invece ricollocata nella situazione qua antea, caratterizzata dai medesimi limiti di utilizzabilità del credito (compensazione ai sensi della L. n. 241 del 1997) che nessun provvedimento amministrativo dell’Agenzia nè alcuna pronuncia preventiva ed astratta del Giudice tributario potrebbe rimuovere.

Alla luce delle sopra esposte considerazioni il ricorso deve essere respinto e la Società ricorrente deve essere condannata alla rifusione delle spese processuali in favore dell’Agenzia vittoriosa, secondo la liquidazione in dispositivo. Consegue altresì la dichiarazione dell’obbligo di versamento da parte della medesima Società del contributo unificato integrativo, in misura pari a quella già dovuta per il ricorso principale, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese della presente fase del giudizio, che liquida in complessivi Euro 8.000,00.

Così deciso in Roma, deciso nella camera di consiglio, il 10 luglio 2019.

Depositato in cancelleria il 3 marzo 2020

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