Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5803 del 03/03/2020

Cassazione civile sez. trib., 03/03/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 03/03/2020), n.5803

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22772-13 R.G. proposto da:

La Fenice srl rappresentata e difesa dall’Avv.to Antonio Damascelli

con domicilio eletto in Roma, via Muzio Clementi n. 68 presso il suo

studio;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato con domicilio in Roma via dei Portoghesi 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 38/10/13 depositata il 26 febbraio 2013;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 27 giugno

2019 dal Consigliere Catetto Pandolfi.

Fatto

RILEVATO

La società “La Fenice srl” ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza della Commissione regionale della Puglia n. 38/10/13 depositata il 26/02/2013. La vicenda trae origine dalla notifica alla ricorrente di due avvisi di accertamento, con cui l’Ufficio per l’anno 2004 contestava fatturazioni per operazioni inesistenti dell’importo di Euro 141.060,00 e l’indetraibilità dell’IVA per Euro 28.212,00 con conseguente indeducibilità di quote di ammortamento ai fini IRES e IRAP per Euro 3.879,15, mentre per l’anno 2005 contestava l’indeducibilità di quote di ammortamento su fatturazione per operazioni inesistenti per Euro 7.758,00 ai fini IRES e IRAP.

Alla base degli avvisi di accertamenti vi era l’esito della verifica fiscale della Guardia di Finanza, dalla quale era risultato che la ditta Ferroedil, di B.I., aveva emesso in favore della ricorrente tre fatture, per lavori edili di ristrutturazione di un capannone, commissionati dalla contribuente. Fatture da quest’ultima contabilizzate, mentre non erano state registrate in contabilità dalla ditta emittente.

L’Ufficio sosteneva, in base alle risultanze della verifica, che i lavori edili fossero stati eseguiti non già dalla Ferroedil, ma da operai dell’impresa “Mier srl di S.R.”.

La società La Fenice aveva opposto gli avvisi di accertamento innanzi alla CTP di Bari, che aveva accolto il ricorso, mentre la CTR aveva ritenuto fondato il successivo gravame proposto dall’Ufficio, con fa decisione impugnata in questa sede.

Il ricorso in esame è basato su di un unico motivo, relativo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19; sesta direttiva CEE 17 maggio 1977, n. 388, artt. 17 e 18 e successive integrazioni in combinazione con l’art. 2697 c.c..

Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Il caso in esame riguarda un’ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti in quanto l’Amministrazione appellante assume, non già che i lavori edili commissionati dalla società ricorrente non fossero stati eseguiti, ma che lo fossero stati da un soggetto diverso da quello che aveva emesso le fatture in questione.

Giova ricordare come la giurisprudenza di questa Corte, qui ribadita, ha più volte affermato che “nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione, che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti….” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019).

Ora, dalla lettura della pronuncia impugnata, si evince che il giudice regionale si sia conformato al principio che fosse onere dell’Amministrazione provare la non veridicità della fattura, nel senso della non corrispondenza tra il soggetto che le aveva emesse e quello che aveva effettivamente eseguito la prestazione. Infatti, la decisione pone,come premessa dell’iter motivazionale, quanto sul punto dedotto dall’Ufficio negli avvisi di accertamento, ed in particolare vi si legge, a pag.3: “Le doglianza dell’appellante sull’errata valutazione dei fatti di causa, così come è stata operata dai giudici di prime cure, sono risultate… fondate…. a fronte di precisi e dettagliati rilievi riportati negli atti accertativi con i quali l’Amministrazione Finanziaria ha ben individuato analiticamente le fatture emesse e mai registrate, riferite a lavori che la ditta Ferroedil non ha mai eseguito; sul punto il titolare della stessa ditta.. ha dichiarato di aver perso la relativa documentazione a causa di un furto nel 2004 e mai denunciato all’autorità competente… “.

Circostanze di fatto, quali, in particolare: a) la mancata registrazione, da parte della “Ferroedil”, nella propria contabilità, delle tre fatture emesse in favore della società ricorrente e il mancato versamento dell’IVA relativa; b) l’esecuzione delle opere in questione da parte di operai dell’impresa “Mier srl” di S.R., impegnata (come dallo stesso S. dichiarato ai verificatori), nel medesimo periodo, in lavori presso il Gruppo Industriale “Plastic Puglia”, di cui “la Fenice” faceva parte.

Circostanze la cui valenza probatoria, ad esse attribuita dall’Amministrazione, la CTR ha ritenuto di condividere.

Solo dopo aver appurato che l’Amministrazione, mediante presunzioni tratte dalle suindicate specifiche circostanze, avesse assolto l’onere di dimostrare l’insussistenza del diritto della contribuente a portare in deduzioni il costo ovvero in detrazioni l’IVA, la sentenza in esame ha anche rilevato come la società non avesse dedotto idonei elementi di segno opposto. Così omettendo di fornire, come avrebbe dovuto, adeguata prova contraria, individuata dal giudice regionale soprattutto nella produzione degli assegni, asseritamente tratti sulla banca Unicredit, per il pagamento alla “Ferroedil” dei lavori da essa fatturati e da essa apparentemente eseguiti. La “Commissione” ha perciò ritenuto che l’omessa produzione avesse lasciato immutato il quadro indiziario, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, presunto dall’Ufficio e posto a base della pretesa impositiva.

Pertanto, non trova riscontro la doglianza della società ricorrente, secondo cui la sentenza “non ha affermato che l’Agenzia abbia fornito la prova diretta, ma ha affermato che non l’abbia offerta la contribuente”.

E’ invece vero il contrario, in quanto la decisione, esaminata nella sua completezza e unitarietà, rende palese che, proprio seguendo il criterio di ripartizione dell’onere della prova indicato nella citata pronuncia, la Commissione territoriale aveva dapprima vagliato se l’Amministrazione avesse dato conto dell’assunto posto a base della pretesa tributaria e, riscontratolo, ha quindi valutato gli elementi forniti dai contribuente per contraddirla, ritenendoli a ciò inidonei.

La decisione non ha, cioè, accolto il gravame dell’Ufficio perchè la società appellante non avesse dimostrato la veridicità delle fatture, ma perchè l’Amministrazione, come suo onere, ne aveva dimostrata la non veridicità, in base a presunzioni fondate su oggettive e specifiche circostanze. A fronte delle quali la ricorrente non aveva offerto la prova contraria, deducendo elementi ritenuti a tal fine inconferenti.

Va, infatti, ricordato che, ove l’Amministrazione assolva all’onere istruttorio su di lei incombente, “grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto..” (Sez. 5-Sentenza n. 27566 del 30/10/2018). Onere che la CTR ha ritenuto non assolto.

Alla stregua delle suindicate considerazioni, discende che la ricorrente abbia censurato la sentenza d’appello sul presupposto di un iter motivazione che nel testo della decisione non trova riscontro, risolvendosi l’impugnativa nella richiesta di in una inammissibile nuova valutazione dei fatti, diversa da quella operata dal giudice di merito, di sua esclusiva competenza. Per tale ragione il ricorso deve ritenersi inammissibile (ex multis Sez.6-3, Ord. n8758 del 04/04/2017).

Nel concludere – e per mera completezza espositiva – va chiarito che esula dalla cognizione di questa Corte il D.L. n. 16 del 2012 di semplificazione fiscale (conf. Sez.5, Sentenza n. 27687 dell’11/12/2013, par. 10), che all’art. 8 detta regole e limiti per la deducibilità dei costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (Sez. 5, Sentenza n. 10167 del 20/06/2012; v. Sez. 6-5, Ordinanza n. 5342 del 04/03/2013), posto che i principi del processo per cassazione impediscono di rilevare d’ufficio regole di giudizio afferenti profili non investiti, neppure indirettamente, dai motivi di ricorso e concernenti questioni non sottoposte al giudice di legittimità (Sez. 5 sentenza n. 10547 del 08/05/2006; v. Sez. L, Sentenza n. 16642 del 01/10/2012).

Alla soccombenza segue la condanna alle spese liquidate come in dispositivo.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la società ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese della fase di legittimità che liquida in Euro 4.100,00 oltre quelle prenotate a debito.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per ii ricorso, a norma dello stesso art. 13, se dovuto, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020

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