Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5800 del 08/03/2017

Cassazione civile, sez. III, 08/03/2017, (ud. 23/01/2017, dep.08/03/2017),  n. 5800

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10252-2014 proposto da:

LAUS HOLDING SPA, in persona dell’Amministratore Unico p.t.

L.F., LAUS AUTOMOBILI SCRL in persona dell’Amministratore Unico p.t.

R.B., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA DELLA

LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato SALVATORE SICA, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO CARBONE giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

FIAT GROUP AUTOMOBILES SPA, in persona del suo procuratore speciale

Dott. F.G., elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE G.

MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MASTROSANTI, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati ROMANO VALENTINI,

SERGIO SPERANZA, ANTONELLA VALENTI giusta procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2018/2013 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 11/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2017 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MASELLIS Mariella, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine rigetto;

udito l’Avvocato PAOLO CARBONE;

udito l’Avvocato ROMANO VALENTINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Le società Laus Holding s.p.a. e Laus Automobili s.c. a r.l. (originate per scissione dalla Laus Automobili s.p.a., concessionaria per la vendita di veicoli FIAT) convennero in giudizio la FIAT Automobili s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni (quantificati in 58 milioni di Euro) per la violazione dei principi di correttezza e buona fede che aveva connotato la condotta della convenuta nella gestione dei contratti di concessione e nel successivo esercizio del recesso e che aveva integrato gli estremi dell’abuso del diritto.

Dedussero, in particolare, che l’impegno di un minimo di vendita annuale, concordato fra le parti, era stato stravolto – nei fatti – dalla imposizione, da parte della FIAT, di obiettivi di vendita mensili (cosiddetti “obiettivi targa” o CCF), che erano collegati ad incentivi per il concessionario e che erano risultati del tutto arbitrari e non proporzionati al quantitativo annuo concordato; che la FIAT non aveva inteso recepire le lamentele della Laus ed anzi – in data 24.4.2001 – aveva esercitato il recesso ordinario dal contratto (col preavviso e col pagamento dell’indennizzo contrattualmente previsti).

Tanto premesso, lamentarono l’inosservanza del Regolamento CE n. 1475/95, la violazione dei principi di correttezza e buona fede e l’abuso del diritto, sotto i profili dell’abuso di posizione dominante e di dipendenza economica.

Il Tribunale di Torino dichiarò la propria incompetenza per materia in relazione alle domande basate sull’abuso di posizione dominante e respinse tutte le altre richieste delle attrici.

La Corte di Appello ha rigettato integralmente il gravame proposto dalle due soccombenti, che ricorrono ora per cassazione affidandosi a tredici motivi illustrati da memoria; resiste la FIAT Group Automobiles s.p.a. a mezzo di controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La Corte di Appello ha affermato la legittimità della clausola pattizia che consentiva a ciascuna delle parti di recedere dal contratto con preavviso di dodici mesi e ha ritenuto che, “anche ipotizzando che FIAT s.p.a. abbia posto in essere le condotte ascrittele e abbia quindi agito con abuso dei suoi diritti negoziali in sede di esecuzione, il recesso dal contratto in essere, legittimamente pattuito nel rispetto dell’art. 1373 c.c. e correttamente esercitato, non potrebbe comunque essere considerato illegittimo perchè frutto di esercizio abusivo del relativo diritto, nemmeno nell’ipotesi in cui FIAT s.p.a. si fosse determinata in tal senso per non aver gradito il comportamento “polemico” della sua controparte”, giacchè “non vi era alcun obbligo di FIAT s.p.a. di mantenere il vincolo privilegiando l’interesse in tal senso della controparte, al di sopra del proprio volto alla scelta di partner commerciali con vedute concordanti”.

La Corte ha inoltre escluso “che Laus Automobili s.p.a. si trovasse in posizione di dipendenza economica”, rilevando che tale società “faceva parte di un gruppo di imprese riconducibili alla famiglia Laus, che si trovarono a gestire la concessione di vendita per numerose altre case produttrici di autoveicoli, tanto da avere acquistato, nel (OMISSIS), una grande area con capannoni dismessi per concentrarvi tutte le attività commerciali svolte”, come emergeva da un articolo apparso su (OMISSIS), prodotto da parte appellata, “il cui contenuto non è stato mai seriamente contestato”.

La Corte ha altresì affermato l’insussistenza “di alcun elemento per ipotizzare che FIAT s.p.a. abbia in qualche modo indotto, o quantomeno non scoraggiato, Laus s.p.a. ad effettuare significativi investimenti per la riorganizzazione imprenditoriale, per l’affidamento nel mantenimento della concessione”.

Ha quindi concluso – sulla questione del recesso – che “non è possibile correlare al recesso di FIAT s.p.a. (…) pienamente legittimo, alcun danno ingiusto per la concessionaria”, con la conseguenza della superfluità di “ogni valutazione inerente la perdita economica subita da Laus s.p.a. per la cessazione del rapporto di concessione”; nè era “prospettabile alcun illecito extracontrattuale a partire dallo sbilancio patrimoniale conseguente agli atti e alle attività indicate”.

Passando a verificare se fosse “prospettabile un illecito contrattuale, generatore di danno, ascrivibile a FIAT s.p.a. per non avere proseguito l’esecuzione con correttezza e buona fede (…) secondo la prassi rispondente all’effettivo articolarsi degli interessi delle parti seguita (…) nei primi anni di svolgimento del rapporto”, la Corte ha rilevato che, anche a voler ipotizzare “che FIAT s.p.a. abbia effettivamente abusato dei propri diritti negoziali, agendo nell’esecuzione degli accordi in violazione dei principi di correttezza e buona fede (…) nessun danno si potrebbe ritenere derivato da ciò a Laus s.p.a.”, atteso che questa “riuscì, pacificamente, a raggiungere gli obbiettivi di vendita mensili per tutto il 2000, così come era accaduto negli anni precedenti, e per quattro su sei delle iniziative per il 2001, e che nessuna contestazione la concessionaria rivolse alla FIAT s.p.a. prima del giugno 2000”; considerato, dunque, che “l’esecuzione degli accordi negoziali in essere con FIAT s.p.a. fu soddisfacente e remunerativa per Laus s.p.a.”, non poteva dirsi che il lamentato comportamento della concedente avesse “causato uno sproporzionato ed ingiustificato sacrificio degli interessi di Laus s. p.a.”.

Quanto alle istanze istruttorie reiterate dalle appellanti, la Corte le ha ritenute di “alcuna utilità ai fini del decidere, perchè inidonee a superare l’assenza, in concreto, di un danno effettivo subito da Laus s.p.a. per il preteso inadempimento e/o abuso di FIAT s.p.a”; ha aggiunto che “appare irrilevante stabilire in che misura e con che criteri gli obbiettivi targhe venivano determinati da FIAT s.p.a. per gli altri concessionari – non meglio identificati”, tanto più che “non è stato mai prospettato, nè nell’atto introduttivo del giudizio, nè in alcun atto difensivo successivo, un trattamento deteriore di Laus Automobili s.p.a. rispetto alle altre concessionarie da parte di FIAT s.p.a., ma è stata sempre e solo ipotizzata una individuazione arbitraria degli obiettivi targhe, solo in relazione alla quale un trattamento diverso, ingiustificato, di altre concessionarie avrebbe potuto avere un significato nel processo”.

2. Con il primo motivo (che denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1366, 1175, 1374 e 1375 c.c., nonchè dell’art. 2 Cost. e art. 41 Cost., comma 2), le ricorrenti (richiamati i principi di correttezza e buona fede, da collocare nell’ambito degli inderogabili doveri di solidarietà sociale imposti dall’art. 2 Cost., e individuati gli elementi costitutivi della figura dell’abuso del diritto) censurano la Corte per essersi “limitata a considerare l’esercizio del diritto di recesso intimato da Fiat in una logica meramente formale di astratta corrispondenza al dato contrattuale”, in tal modo isolando la fase finale del rapporto dalle dinamiche precedenti, in violazione dei principi -anche giurisprudenziali – che impongono una verifica particolarmente rigorosa del carattere abusivo dell’esercizio del diritto di recesso, “soprattutto quando è conclamata… la disparità di forza economica e commerciale fra le parti”.

2.1. Il secondo motivo deduce la nullità della sentenza per “assoluta mancanza di motivazione” in relazione alle norme indicate nel motivo precedente, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo costituito dall'”abuso del diritto praticato da FIAT all’atto dell’esercizio del diritto di recesso dai contratti in corso con il gruppo Laus”: le ricorrenti tornano a dolersi che la Corte si sia limitata ad un’analisi meramente formale del recesso, omettendo “qualsivoglia profilo di motivazione circa la legittimità sostanziale”, da esaminare alla luce della “diretta (ed illegittima) correlazione tra l’esercizio del diritto di recesso da parte di Fiat e la condotta tenuta dalla medesima società durante l’esecuzione del contratto, allorquando la casa-madre (aveva) progressivamente “strozzato” la concessionaria, imponendo alla stessa obiettivi sempre meno sostenibili”.

2.2. Entrambi i motivi vanno disattesi.

Il primo è inammissibile in quanto non individua errores in iure, ma censura l’affermazione della correttezza del recesso sul presupposto di un apprezzamento di merito difforme da quello compiuto dalla Corte (che, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, ha riguardato sia il momento finale dell’esercizio del recesso che quello – antecedente – dell’esecuzione del contratto).

Il secondo è infondato in quanto prospetta un totale difetto di motivazione smentito dal contenuto della sentenza (che affronta specificamente il profilo del recesso e quello della condotta antecedente).

3. Col terzo motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1366, 1175, 1374 e 1375 c.c., della L. n. 192 del 1998, art. 9, commi 1 e 2, e dell’art. 2 Cost. e art. 41 Cost., comma 2), le ricorrenti censurano la sentenza per avere escluso la sussistenza di un rapporto di dipendenza economica tra FIAT e le società del gruppo Laus e si dolgono che, a fronte dell’esistenza in atti dei bilanci delle società Laus da cui emergeva chiaramente “la sostanziale univocità del rapporto commerciale con Fiat”, la Corte abbia fondato il proprio convincimento su un articolo di giornale, peraltro successivo di sette mesi all’epoca in cui era stato comunicato il recesso; evidenziano, inoltre, che la disciplina sull’abuso del diritto contenuta nella L. n. 192 del 1998, art. 9 pur dettata in riferimento al contratto di subfornitura, può trovare applicazione anche ad altri rapporti fra imprenditori in cui possa ravvisarsi la medesima ratio.

3.1. Il quarto motivo denuncia la nullità della sentenza per “assoluta mancanza di motivazione” in relazione alle norme indicate nel motivo precedente, oltrechè per omesso esame di un fatto decisivo individuato nell'”abuso di dipendenza economica nei rapporti fra gruppo Laus e Fiat”: si assume che la lettura dei bilanci della Laus avrebbe consentito di rilevare la condizione di dipendenza economica in cui versavano le società concessionarie, che non poteva essere negata sulla sola base delle affermazioni contenute in un articolo di giornale.

3.2. A prescindere da evidenti profili di inammissibilità conseguenti al richiamo a documenti (i bilanci) di cui non è stato trascritto in alcuna misura il contenuto e di cui non è stata indicata la sede di reperimento (in violazione della prescrizione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6), entrambi i motivi sono inammissibili in quanto non investono la ratio fondante della decisione (che si sostanzia nell’affermazione della legittimità del recesso e della irrilevanza di eventuali abusi “dei propri diritti negoziali” da parte della Fiat nella determinazione degli obiettivi mensili) e si risolvono – comunque – nella sollecitazione ad un non consentito nuovo apprezzamento di merito (nel senso della sussistenza del rapporto di dipendenza economica), opposto a quello effettuato dalla Corte (che si è basata non tanto sul contenuto dell’articolo del quotidiano, quanto sulla circostanza che detto contenuto non era mai stato “seriamente contestato” dalle società appellanti).

4. Col quinto motivo (violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1366, 1375, 1377 e 2043 c.c. oltre che dell’art. 2 Cost. e art. 41 Cost., comma 2), le ricorrenti censurano la Corte per avere considerato “non identificabile un illecito, di matrice extracontrattuale, caratterizzato dalla violazione colpevole dell’affidamento ingenerato nella controparte”, evidenziando che l’affidamento nella prosecuzione del rapporto aveva indotto il gruppo Laus ad importanti investimenti industriali finalizzati ad ampliare il proprio ambito di mercato oltre il contesto territoriale della provincia di Salerno, investimenti poi rivelatisi inutilmente effettuati a causa dell’improvviso recesso della Fiat.

4.1. Il sesto motivo prospetta la nullità della sentenza “per assoluta mancanza di motivazione” in relazione alle norme indicate nel motivo precedente, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo individuato nella “violazione dell’affidamento, indotto da Fiat e riposto da Laus, nella prosecuzione del rapporto di concessione e nel contestuale ampliamento dello stesso”.

4.2. Il quinto motivo è inammissibile, giacchè si risolve nella sollecitazione ad una revisione del merito, a fronte di una pronuncia che ha ampiamente motivato circa il difetto di elementi per affermare che la Fiat avesse indotto (o non scoraggiato) l’affidamento sulla prosecuzione del rapporto.

Parimenti inammissibile è il sesto motivo, atteso che il “fatto” decisivo che si assume non esaminato è stato escluso dalla Corte e viene presupposto dalle ricorrenti quale esito di un diverso apprezzamento di merito.

5. Il settimo motivo denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1175, 1366, 1375 e 1377 c.c., dei Regolamenti CE n. 1475/95 e n. 2790/1999, nonchè dell’art. 2 Cost. e art. 41 Cost., comma 2: dopo aver evidenziato che la normativa CE ha lo scopo dichiarato di assicurare che “gli impegni di vendita minima che il distributore assume siano accettati o concordati” al fine di “evitare una situazione di dipendenza economica del distributore e, dunque, per favorire il corretto e fisiologico svolgersi della concorrenza sul mercato”, le ricorrenti censurano la Corte per avere “sostenuto, in buona sostanza, che il sistema degli obiettivi mensili non (fosse) suscettibile di alcuna valutazione in termini di arbitrarietà in quanto rimesso alla mera volontà di FIAT”; ribadiscono che gli obiettivi mensili (o “targa”) imposti da Fiat non rispondevano a canoni di razionalità e contestano la tesi della irrilevanza, per i concessionari, degli incentivi correlati agli “obiettivi targa”, evidenziando che dai bilanci prodotti emergeva chiaramente la rilevanza decisiva degli incentivi sui risultati della gestione aziendale e la loro importanza per la pianificazione commerciale; concludono che, “nel rapporto tra concessionario e casa-madre, la condotta di quest’ultima che imponga al concessionario, ai fini del conseguimento dei benefits contrattuali fondamentali per l’equilibrio economico del rapporto, obiettivi mensili di immatricolazione assolutamente arbitrari ed avulsi dal mercato di riferimento sia conforme a buona fede e correttezza o, comunque, legittimo, anche in termini di abuso di diritto”.

5.1. L’ottavo motivo deduce la nullità della sentenza “per assoluta mancanza di motivazione” in relazione alle norme di cui al motivo precedente, nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo individuato nel “contegno tenuto da Fiat nel corso del rapporto contrattuale e nell’esecuzione dello stesso, in relazione ai principi di cui alla disciplina comunitaria vigente”: assumono le ricorrenti che la Corte ha omesso “qualsivoglia riferimento motivazionale rispetto alla giustificazione, in termini di correttezza e buona fede contrattuale, della condotta tenuta da Fiat nella determinazione degli “obiettivi targhe” mensili, avallando anzi un presunto diritto alla assoluta arbitrarietà di tale determinazione”.

5.2. Col nono motivo, viene dedotta la nullità della sentenza “per assoluta mancanza di motivazione ed omesso esame circa un fatto decisivo” individuato nell'”omessa indicazione degli elementi normativi da cui il giudice ha tratto il proprio convincimento” in ordine alla conformità ai principi di correttezza e buona fede della condotta della FIAT “allorchè ha continuato ad imporre a Laus “obiettivi targhe” mensili sempre più elevati e sempre più lontani dalla realtà di mercato ove la concessionaria operava”.

5.3. Tutti e tre i motivi sono inammissibili, in quanto svolgono deduzioni volte ad una rivisitazione dei fatti, a prescindere dall’individuazione di specifici errores iuris o di fatti decisivi non esaminati.

6. Il decimo motivo denuncia la violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 175, 183, 188 e 356 c.p.c.: le ricorrenti (che trascrivono i quesiti che avevano proposto di sottoporre al c.t.u., la richiesta di ordine di esibizione documentale e i capitoli della prova testimoniale da esse articolata), si dolgono del mancato accoglimento delle istanze istruttorie, evidenziando come l’ammissione della c.t.u. non rappresentasse una mera facoltà, ma un obbligo per il giudice a fronte della “complessità delle questioni e dei fatti tecnici”.

6.1. L’undicesimo motivo prospetta la nullità della sentenza “per assoluta mancanza di motivazione” in relazione alle norme richiamate nel motivo precedente, nonchè l’omesso esame circa un fatto decisivo individuato nella mancata “ammissione delle domande istruttorie ritualmente reiterate dalle odierne ricorrenti in primo ed in secondo grado”.

6.2. Entrambi i motivi sono inammissibili: premesso che non è stata dedotta alcuna specifica violazione delle norme richiamate (neppure sotto il profilo dell’erroneo riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c.), la mancata ammissione di mezzi istruttori (che la Corte ha ritenuto di “alcuna utilità ai fini del decidere”) non risulta censurabile ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (come letto da Cass., S.U. n. 8053/2014) ove non emerga che il rigetto delle istanze istruttorie abbia comportato l’omessa considerazione di fatti determinanti ai fini della decisione.

7. Con il dodicesimo motivo (violazione degli artt. 1366, 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 3 Cost., nonchè omesso esame di un fatto decisivo, individuato nella “disparità di trattamento tra i diversi concessionari FIAT”), le ricorrenti censurano la Corte per avere affermato che le società Laus non avevano prospettato che la FIAT avesse riservato ad esse un trattamento deteriore rispetto a quello praticato alle altre concessionarie; assumono, al contrario, di avere dedotto la circostanza nell’ambito dei capitoli articolati per la prova testimoniale che, se accolta, avrebbe consentito di accertare le differenze di trattamento.

7.1. Il motivo è inammissibile in relazione alla deduzione della violazione di norme di diritto (per totale difetto di specificità) e infondato quanto al resto, giacchè, per essere rilevante, l’allegazione avrebbe dovuto essere effettuata nell’ambito della definizione del thema decidendum e non essere rimessa al momento -successivo – della deduzione delle istanze istruttorie.

8. Il tredicesimo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo individuato nella “circostanza per cui le ricorrenti non gestivano, al momento del recesso di Fiat, i marchi citati nella sentenza impugnata”: le ricorrenti assumono che la Corte ha compiuto un “errore motivazionale” quando ha affermato che, al momento della cessazione del rapporto con Fiat, il gruppo Laus gestiva altri marchi automobilistici; sostengono che la circostanza è “falsa ed indimostrata”, tanto più alla luce dei bilanci prodotti che “testimoniano limpidamente” il contrario.

8.1. Il motivo è inammissibile in quanto prospetta un errore percettivo da parte della Corte, che avrebbe dovuto essere fatto valere in sede revocatoria.

9. Al rigetto del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti al pagamento delle spese di lite.

10. Trattandosi di ricorso proposto successivamente al 30.1.2013, sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in Euro 18.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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