Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5799 del 22/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 22/02/2022, (ud. 11/02/2022, dep. 22/02/2022), n.5799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27161-2020 proposto da:

M.A., rappresentato e difeso dall’avvocato FABRIZIO IPPOLITO

D’AVINO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il

09/09/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/02/2022 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

M.A. ha proposto ricorso articolato in due motivi (entrambi inerenti alla nullità dell’ordinanza per motivazione apparente e contraddittoria) avverso l’ordinanza del 7 ottobre 2020 resa dalla Corte d’appello di Venezia, con cui è stata rigettata l’opposizione formulata dal medesimo M.A. contro il provvedimento che aveva revocato l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato, in un giudizio di protezione internazionale, per la manifesta infondatezza della domanda. Nel ricorso si avanza anche istanza di correzione di errore materiale quanto all’individuazione della parte opponente.

L’intimato Ministero della Giustizia non ha notificato controricorso. La Corte d’appello di Venezia ha affermato che la manifesta infondatezza della domanda (nella specie ravvisata per la inverosimiglianza della vicenda narrata, la situazione del paese di origine del ricorrente e la carenza assoluta di elementi allegati) costituisce ragione per la revoca dell’ammissione al patrocinio, alla stregua del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 126, comma 1, e art. 136, comma 2.

Il ricorso denuncia l’inesistenza, l’apparenza e la contraddittorietà della motivazione circa la manifesta infondatezza.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Il ricorrente ha presentato memoria.

L’impugnata decisione contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione ed è conforme alla giurisprudenza di questa Corte, mentre il ricorso non offre argomenti per mutare o confermare tale orientamento, sicché la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis n. 1 c.p.c..

A norma del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 17, nella specie applicabile ratione temporis, nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, allorché il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato e l’impugnazione ha ad oggetto una decisione adottata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’art. 29 e dell’art. 32, comma 1, lett. b-bis), il giudice, quando rigetta integralmente il ricorso, indica nel decreto di pagamento adottato a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 82, le ragioni per cui non ritiene le pretese del ricorrente manifestamente infondate ai fini di cui al predetto decreto, art. 74, comma 2. Alla luce di tale disposizione, Cass. Sez. 6 – 1, 27/09/2019, n. 24109, ha già affermato che deve ritenersi pienamente compatibile, sul piano costituzionale, la previsione della revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato a fronte della manifesta infondatezza delle domande, spettando al giudice di merito che procede stabilire motivatamente se la manifesta infondatezza vi sia oppure no. Del resto, già il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 122, subordina l’ammissibilità dell’istanza di patrocinio alla valutazione di “non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere”, mentre il medesimo D.P.R. n. 115 del 2002, art. 136, comma 2, stabilisce che il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (si veda già (Cass. Sez. 6 – 2, 10/04/2020, n. 7785).

Agli effetti del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 17, il rigetto della domanda di protezione internazionale non implica automaticamente la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la quale postula, piuttosto, comunque l’accertamento del presupposto della colpa grave nella proposizione dell’azione, valutazione diversa ed autonoma rispetto a quella afferente alla fondatezza del merito della domanda.

Il D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35 bis, comma 17, suppone l’esercizio di un potere distinto rispetto a quello del giudice che decide sulla domanda di protezione internazionale. Tale potere è orientato da una valutazione a sua volta diversa dalla già operata delibazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (che va compiuto al momento della presentazione della domanda) e si sostanzia nella revoca ex post della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, non risulti provato che la persona ammessa non abbia azionato una pretesa manifestamente infondata, del che il giudice deve dar conto necessariamente in motivazione (argomenta da Corte Cost. ord. 17 luglio 2009, n. 220).

Non è dunque corretto sostenere che, nelle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, allorché il ricorrente è ammesso al patrocinio a spese dello Stato, il giudice debba motivare “solo se non revoca” il patrocinio, intendendosi altrimenti il provvedimento di ammissione automaticamente revocato per il sol fatto che il ricorso sia stato rigettato integralmente (si veda Cass. Sez. 6 – 2, 24/09/2020, n. 20002).

La Corte d’appello di Venezia, allora, ha correttamente desunto la manifesta infondatezza della domanda di protezione internazionale, e dunque i presupposti per la revoca dell’ammissione al patrocinio, non dal mero rigetto della pretesa, quanto dalla inverosimiglianza della vicenda narrata, dalla situazione del paese di origine del ricorrente e dalla carenza assoluta di elementi allegati, e dunque dalla radicale insussistenza dei presupposti della istanza di protezione avanzata. Tale apprezzamento di fatto compiuto dal giudice di merito non è sindacabile in questa sede mediante censure di violazione di norme di diritto, come proposte dal ricorrente.

In seguito, peraltro, alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione censure che invochino dalla Corte di cassazione un complessivo riesame delle vicende fattuali oggetto di lite.

Le considerazioni svolte dal ricorrente nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2, oltre a lamentare le carenze motivazionali della proposta la proposta di trattazione camerale (la quale, però, non riveste carattere decisorio e non deve essere motivata: ex multis, Cass. Sez. 6 – 2, 05/02/2020, n. 2720), insistendo nel richiamo alla decisione di cassazione intervenuta il 6 ottobre 2020 sulla domanda di protezione internazionale di M.A., dimostrano di confondere il più ampio giudizio sulla domanda di merito ed il diverso giudizio, qui in esame, avente ad oggetto unicamente l’opposizione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, contro il decreto di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio. E’ stato già affermato da questa Corte che la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato può essere disposta indipendentemente dal passaggio in giudicato della decisione di merito che abbia accertato la manifesta infondatezza della domanda, fondandosi sull’accertamento dei fatti contenuto nella decisione tuttora suscettibile di gravame (Cass. Sez. 6 – 2, 06/12/2017, n. 29144). Infine, non e’, come noto, ammissibile l’istanza contenuta nel ricorso per cassazione volta alla correzione di un errore materiale contenuto nella decisione impugnata, dovendo una tale istanza essere proposta al giudice di merito che ha emesso la pronuncia viziata e non alla Corte di legittimità, la quale può rilevare ed accertare un siffatto errore al limitato fine di escludere la ricorrenza di un errore di giudizio o di attività, devoluto al suo sindacato.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, non dovendosi regolare le spese processuali in quanto il Ministero intimato non ha svolto attività difensive.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 11 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2022

 

 

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