Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5799 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. III, 10/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5799

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7849/2009 proposto da:

R.M.T., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CLITUNNO 51, presso lo studio dell’avvocato ONGARO Franco, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato TONETTO GIANCARLO,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

V.A., C.G., elettivamente domiciliati

in ROMA, VIALE MAZZINI 140, presso lo studio dell’avvocato ZENNARO

LUCA, rappresentati e difesi dagli avvocati GRASSO Daniele, PAVAN

GIORGIO, giuste procure speciali in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

C.R., C.L., C.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 236/2008 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, del

30/10/07, depositata il 21/02/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. MARIO FINOCCHIARO;

è presente il P.G. in persona del Dott. EDUARDO VITTORIO

SCARDACCIONE.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con atto 10 luglio 1996 C.G. e G. M., proprietari di un appartamento in (OMISSIS) hanno convenuto in giudizio, innanzi alla Preture di Venezia, sezione distaccata di Venezia R.M.T., proprietario di altro appartamento nello stesso immobile, chiedendone la condanna al risarcimento dai danni patiti.

Hanno esposto gli attori – in particolare – che nei giorni (OMISSIS) si era verificata una perdita di acqua nell’appartamento della R. e che l’acqua, dopo aver attraversato altro appartamento di proprietà dei coniugi V. A. e C.C., aveva invaso i locali di proprietà di essi concludenti provocando gravi danni sia all’immobile che agli arredi.

Costituitasi in giudizio la R. ha resistito alla avversa pretesa deducendone la infondatezza e facendo presente, da un lato, che la domenica precedente al periodo indicato dagli attori quale epoca della tracimazione non era stato rilevato alcun problema all’impianto idraulico, dall’altro, che nello stesso giorno il C. era stato notato entrare nel garage comune, ove erano collocate le valvole di alimentazione degli impianti idrici sì che – verosimilmente – era stato quest’ultimo a aprire quella del suo appartamento.

Con altra citazione, sempre in data 10 luglio 1996 – sempre in relazione ai fatti verificatisi nei giorni (OMISSIS) – anche V.A. e C.C., proprietari di un appartamento sottostante quello della R. e sovrastante quello di C.G. e G.M. hanno convenuto in giudizio, innanzi alla pretura di Venezia, sezione di distaccata di Mestre, R.M.T., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti a causa della tracimazione delle acque dall’appartamento della convenuta.

Costituitasi in giudizio anche in questo diverso giudizio la R. ha ribadito le difese già svolte nel precedente, quindi, riuniti i due giudizi e questi a altro giudizio promosso dalla R. nei confronti del C. – giudizio nel quale l’attrice ha riproposto in via autonoma la domanda di manleva nei confronti del C. (a suo giudizio esclusivo responsabile dei danni come lamentati) – e svoltasi la i-struttoria del caso, il tribunale di Venezia, succeduto al pretore ai sensi del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51, con sentenza 21 luglio – 13 settembre 2002 ha condannato la R. al pagamento, a titolo di risarcimento dei danni, della somma di Euro 11.2691,10 in favore di C. G., C.R. e C.L., nonchè della somma di Euro 16.002,23 in favore di V.A. e C. C..

Gravata tale pronunzia dalla soccombente R.M.T., la Corte di appello di Venezia con sentenza 30 ottobre 2007 – 21 febbraio 2008 in parziale accoglimento dell’appello ha determinato il danno da risarcire alle parti danneggiate rispettivamente in Euro 7.769,10 in favore di C.G., C.R. e C.L. e in Euro 12.502,23, a favore di V. A. e C.C., oltre interessi con le modalità e le decorrenze già fissate.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, non notificata, ha proposto ricorso, con atto 23 marzo 2009 e date successive R. M.T., affidato a due motivi.

Resistono con controricorso V.A. e C.C..

Non hanno svolto attività difensiva in questa sede C. G., C.R. e C.L..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione così come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – è stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perchè il ricorso sia deciso in camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. La ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando, nell’ordine:

– da un lato, falsa applicazione di norma di diritto ed erronea, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia:

del caso fortuito, atteso che contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata essa concludente aveva fornito esauriente prova del caso fortuito, con conseguente esclusione di responsabilità, a norma dell’art. 2051 c.c.. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la ricorrente sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: dica la Corte di Cassazione se nei comportamenti come sopra descritti può ritenersi sussistente il caso fortuito di cui all’art. 2051 c.c., che esclude la responsabilità di parte ricorrente rispetto ai fatti oggetto di lite, ovvero sussista lripotesi del concorso di colpa ex art. 1227 c.c., (primo motivo);

– dall’altro falsa applicazione di norma di diritto ed omessa motivazione su un punto decisivo della controversia: della quantificazione dei danni, atteso che la Corte di appello, in ordine al quantum, ha fatto riferimento alla quantificazione dei danni operata dal tecnico della assicuratrice della responsabilità civile dello stabile, per conto dell’assicurata R., evidenziando che “la stessa va da condivisa anche sè” “a ben vedere costui avrebbe avuto, semmai tutto l’interesse a ridurre al minimo plausibile i costi di ripristino che sarebbero stati posti a carico del di lui mandante, vale a dire della cliente R. per cui non ricorrono gli estremi per far luogo a una CTU”. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la ricorrente sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: dica la Corte se nella fattispecie dedotta in giudizio, sia stata corretta la quantificazione operata dal giudice di primo grado, confermata dalla corte di appello di Venezia sulla scorta di una perizia stragiudiziale è stato contestato dalla ricorrente anche perchè formatasi fuori dal procedimento e senza alcun contraddittorio, tenuto conto delle altre emergenze istruttorie prima richiamate (secondo motivo).

3. Il proposto ricorso pare inammissibile.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Ancorchè con entrambi i motivi si deduca sia una presunta violazione di legge (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), sia un vizio della motivazione (a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sia la parte espositiva dei vari motivi, sia le parti conclusive degli stessi non contengono alcuna questione rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, limitandosi la ricorrente in entrambi i motivi a denunziare la valutazione, compiuta dai giudici del merito, del materiale probatorio acquisito.

E’ palese, per l’effetto, la inammissibilità dei motivi formulati sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (cfr.

Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonchè Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

3.2. I quesiti formulati ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a conclusione dei motivi – comunque – non sono conformi al modello legislativo.

Dispone l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6. G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006, s.o. n. 40 – che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), la illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto e che nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

In margine al sopra trascritto 366 bis c.p.c., costituiscono – al momento – presso una più che consolidata giurisprudenza di legittimità, diritto vivente le seguenti proposizioni:

– il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;

– in altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare;

– la ammissibilità del motivo, in conclusione, è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054);

– nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3), e 4), il motivo del ricorso per cassazione deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico- giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame;

– non può ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’ esposizione del motivo di ricorso nè che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perchè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui è, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte è chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato;

– in tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacchè la formulazione del quesito di diritto risponde all’esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimità, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008, nn. 28143 e 28145, rese in fattispecie identiche alla presente a nella quale, ha osservato la S.C., le prescrizioni dettate dall’art. 366 bis c.p.c., sono state disattese, non essendo stato formulato il quesito di diritto e non potendo l’adempimento dell’onere gravante sul ricorrente ritenersi ottemperato, come si è detto, attraverso le argomentazioni formulate in sede di esposizione del motivo);

– qualora si denunzi la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo di ricorso per cassazione è inammissibile allorquando il ricorrente non indichi – espressamente e separatamente rispetto alla parte espositiva del motivo – le circostanze rilevanti ai fini della decisione, in relazione al giudizio espresso nella sentenza impugnata (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652);

– allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

3.3. Pare evidente, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza, la inammissibilità – già anticipata sopra – del proposto ricorso sotto il profilo della non corrispondenza al modello delineato nell’art. 366 bis c.p.c., dei quesiti di diritto che concludono i vari motivi.

Infatti:

– finalità del quesito di diritto – previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 bis c.p.c. – e al quale si correla, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 1, l’enunciazione da parte della Corte di un principio di diritto nel caso in cui il ricorso sia deciso a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 3, ed in ogni altro caso in cui risolve una questione di particolare importanza, è quella di consentire al giudice di legittimità la immediata individuazione, da un lato, della questione sulla quale è chiamato in concreto a pronunciarsi e ad esercitare la propria funzione nomofilattica e, dall’altro, della rilevanza e decisività della sua soluzione rispetto alla controversia. Per la realizzazione di tale finalità – nella quale si cumulano la esigenza di chiarezza della impugnazione e quella di celerità della decisione, poste alla base anche delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 40 del 2006, all’art. 375 c.p.c. – il quesito deve formalmente contenere: a) la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito; b) la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo; c) la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuta applicare al caso di specie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da una sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificità e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta ad esso comportanti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (in termini, ad esempio, Cass. 13 agosto 2009, n. 18304, specie in motivazione);

– facendo completamente difetto, nella specie, i requisiti sopra detti è palese, come anticipato, la inammissibilità dei motivi;

– inammissibilità che sussiste anche con riguardo ai denunziati vizi di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che qualora – come nella specie – si denunzino vizi della motivazione è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione se la indicazione del fatto controverso non riporti una sintetica indicazione delle circostanze che rendono la motivazione che sorregge il suo accertamento inidoneo a giustificare la decisione censurata, la cui carenza non può – comunque – essere integrata con il sussidio della parte espositiva del motivo (Cass. 13 agosto 2009, n. 18304) e nella specie si afferma, da un lato, che nella specie sussistevano le condizioni per affermare l’esistenza di un caso fortuito o di un concorso di colpa del danneggiato, dall’altro, la inadeguatezza della valutazione dei danni come compiuta dalla corte di appello, ma non si indicano – a conclusione della illustrazione di ciascun motivo, separatamente dalla parte espositiva del motivo stesso – quali siano i fatti controversi in relazione ai quali si assume, da una parte, una motivazione contraddittoria, dall’altro una motivazione omessa.

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione, specie tenuto presente che non è stata presenta alcuna replica alla stessa.

Il proposto ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, in favore dei contro ricorrenti, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti, liquidate in Euro 200,00 oltre Euro 1.500,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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