Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5799 del 08/03/2017
Cassazione civile, sez. III, 08/03/2017, (ud. 18/01/2017, dep.08/03/2017), n. 5799
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – rel. Presidente –
Dott. BARRECA Giuseppina L. – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 6417-2014 proposto da:
S.N.S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
MONTE SANTO, 10/A, presso lo studio dell’avvocato MARINA MESSINA,
rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO BARBONI giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
L.S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA
CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato MARIA ANTONIETTA
PERILLI, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO DIEGO ANGELO
DEL BORRELLO giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3915/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 28/10/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
18/01/2017 dal Consigliere Dott. ROBERTA VIVALDI;
udito l’Avvocato DOMENICO BARBONI;
udito l’Avvocato CARLA SILVESTRI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FINOCCHI GHERSI RENATO che ha concluso per l’inammissibilità in
subordine rigetto.
Fatto
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 28.10.2013, ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto da S.N.S.M. avverso la sentenza n. 1898/2009, con cui il Tribunale di Monza aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta contro l’avv. L.S.F., per pretesa responsabilità professionale di questi nell’espletamento del mandato conferitogli in altro giudizio. La Corte meneghina ha infatti rilevato la violazione dell’art. 342 c.p.c. da parte del S., per difetto di specificità delle censure, essendosi egli limitato a riproporre in appello le ragioni poste a sostegno della domanda avanzata in primo grado e già disattese dal tribunale brianzolo.
S.N.S.M. propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo. Resiste con controricorso L.S.F..
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso – con cui il S. lamenta l’illegittimità della sentenza gravata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. – è inammissibile.
Infatti, a prescindere dalla circostanza che buona parte di esso (da pag. 10 a pag. 28) riporta questioni attinenti alla fondatezza della domanda originaria, in coerenza peraltro con le conclusioni rassegnate (in cui si chiede peraltro a questa Corte di “accertare e dichiarare l’inadempimento…”, come se ci si rivolgesse al giudice di merito), l’odierno ricorrente, nella parte dedicata alla pretesa violazione dell’art. 342 c.p.c. in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello di Milano, si limita a indicare una serie di precedenti giurisprudenziali concernenti la norma che si pretende violata, ma non indica, con la dovuta specificità, in cosa esattamente consisterebbero i pretesi errori, nè quali parti della sentenza gravata ne sarebbero inficiate.
Anzi, a ben vedere, il S. finisce col replicare, anche in questa sede, il medesimo errore metodologico già censurato dal giudice d’appello (rispetto alla sentenza di primo grado): segno evidente che l’odierno ricorrente non ha colto la ratio decidendi di quest’ultima, imperniata sulla struttura dell’appello, oramai pacificamente assestata sulla natura di revisio prioris istantiae (v. Cass. S.U. n. 7700/2016), l’oggetto del giudizio dovendo individuarsi proprio nella sentenza impugnata (o, più precisamente, nei pretesi errori che la inficerebbero) e non già nelle domande originariamente proposte (come invece mostra di intendere lo stesso S. – si vedano le considerazioni prima svolte). Argomentazioni che valgono, a maggior ragione, rispetto al ricorso per cassazione, che non introduce un terzo grado di giudizio, ma costituisce un rimedio impugnatorio, a critica vincolata e a cognizione limitata agli specifici vizi della sentenza impugnata così come denunciati nel ricorso stesso (v. la recente Cass. n. 4293/2016).
1.2 – Inoltre, pur vero essendo che, a pag. 9 del ricorso, il S. indica le pagine dell’atto d’appello che riporterebbero, con la richiesta analiticità, le presunte “omissioni, insufficienze, erroneità e infondatezza delle argomentazioni” del primo giudice, a dimostrazione della corretta impostazione dello stesso appello, è altrettanto incontestabile che la mera relatio all’indicato atto processuale non è affatto sufficiente a ritenere rispettate le prescrizioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6), che rispettivamente sanzionano con l’inammissibilità il ricorso che difetti da un lato di una (sommaria ma) esaustiva narrazione del fatto sostanziale e processuale, e dall’altro dell’indicazione degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda: previsione, quella del citato n. 6), che costituisce il riconoscimento normativo del c.d. principio di autosufficienza del ricorso, di conio giurisprudenziale (v. per tutte, Cass. n. 7455/2013).
Il S., in realtà, avrebbe dovuto riportare analiticamente (anche in via riassuntiva) il contenuto specifico delle censure mosse alla sentenza di primo grado, ma ciò non ha fatto, così non consentendo alla Corte di valutare, già dalla sola lettura del ricorso, in che termini la Corte d’appello avrebbe errato nello scrutinare il gravame alla luce dell’art. 342 c.p.c.. Del resto, è indubbio che, quando venga denunciato un “error in procedendo” ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), (come sostanzialmente ha fatto il S., sebbene non abbia puntualmente rubricato il motivo in discorso), la Corte può comunque accedere agli atti del giudizio di merito, essendo anche giudice del “fatto processuale”; tuttavia, ciò presuppone pur sempre che il ricorso per cassazione rispetti i requisiti di contenuto-forma di cui al citato art. 366 c.p.c. (v. Cass. n. 19410/2015), il che, come detto, deve nella specie escludersi.
2. – In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Non può infine darsi atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), in quanto il S. risulta ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
PQM
dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore del resistente, che liquida in Euro 7.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
La presente sentenza è stata redatta con la collaborazione del magistrato assistente di studio dr. S.S..
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 18 gennaio 2017.
Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017