Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5798 del 03/03/2021

Cassazione civile sez. I, 03/03/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 03/03/2021), n.5798

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26337/2015 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliata in Roma Via Barnaba

Tortolini 13, presso l’avvocato Mario Ettore Verino, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franco Bruno Campagni,

in forza di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Usl n. (OMISSIS) di Prato, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma Via

del Viminale 43, presso lo studio dell’avvocato Fabio Lorenzoni, e

rappresenta e difende dall’avvocato Francesco Grignolio, in forza di

procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente incidentale –

e contro

B.L., elettivamente domiciliata in Roma Via Barnaba

Tortolini 13 presso l’avvocato Mario Ettore Verino che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franco Bruno Campagni,

in forza della predetta procura speciale a margine del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 645/2015 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 09/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/01/2021 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. B.L. ha convenuto in giudizio l’Azienda USL (OMISSIS) di Prato dinanzi alla Corte di appello di Firenze, esponendo di essere stata espropriata con decreto del 10/4/2009 di un terreno di sua proprietà sito nel Comune di (OMISSIS), censito alla particella (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del N.C.T. di Prato, di m.q. 2195, già facente parte di un più ampio appezzamento e chiedendo la determinazione definitiva di espropriazione, non avendo accettata l’indennità proposta in via provvisoria e giudicata incongrua (Euro 5.893,87 compreso il deprezzamento della porzione residua ed Euro 14.782,50 per i soprassuoli).

L’Azienda convenuta ha resistito, chiedendo di rigettare l’opposizione proposta.

Con sentenza del 9/4/2015 la Corte di appello di Firenze ha determinato l’indennità di espropriazione dovuta alla sig.ra B. nella somma di Euro 76.825,00, l’indennità per i soprassuoli non arborei nella somma di Euro 14.782.50 e l’indennità per il deprezzamento della porzione residua in Euro 10.000,00 e così nella somma complessiva di Euro 101.607,50 oltre interessi legali, disponendone il deposito presso la Cassa e Depositi e Prestiti al netto di quanto già versato e condannando altresì la Azienda USL Prato alla rifusione delle spese processuali in favore dell’attrice.

2. Avverso la predetta, non notificata, ha proposto ricorso per cassazione B.L. con atto notificato il 5/11/2015, svolgendo undici motivi.

Con atto notificato il 14/12/2015 ha proposto controricorso e ricorso incidentale l’Azienda USL (OMISSIS) di Prato, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione e instando, a sua volta, con il supporto di un motivo, per la cassazione della sentenza impugnata.

Con controricorso notificato il 22/1/2016 B.L. ha resistito al ricorso incidentale avversario, chiedendone la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 132 e 112 c.p.c..

1.1. La ricorrente lamenta l’errata riproduzione delle sue conclusioni e l’omessa pronuncia sulla sua richiesta di rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio, al cui proposito la Corte territoriale aveva ignorato le argomentazioni poste a sostegno della richiesta istruttoria.

1.2. Secondo costante giurisprudenza di questa Corte, la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale irrilevante ai fini della sua validità; perchè siffatta omissione od incompletezza possa tradursi in un vizio tale da determinare un effetto invalidante della sentenza stessa, occorre che l’omissione abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, nel senso di averne comportato o un’omissione di pronuncia sulle domande o sulle eccezioni delle parti, oppure un difetto di motivazione in ordine a punti decisivi prospettati dalle parti medesime. (Sez. 2, n. 10853 del 05/05/2010, Rv. 613124-01; Sez. 3, n. 18609 del 22/09/2015, Rv. 636980-01).

1.3. Inoltre la censura appare, per un verso, generica, perchè non dimostra il carattere determinante della richiesta istruttoria disattesa, per altro verso relativa ad un apprezzamento che rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, che, comunque, sul punto ha risposto con la sentenza impugnata, utilizzando per le sue valutazioni altri elementi acquisiti agli atti, con riferimento sia alla natura del vincolo, sia alla destinazione urbanistica dei terreni, sia alla loro valutazione di mercato, sia alla congruità del deprezzamento della porzione di terreno non espropriata; infine la doglianza appare anche ininfluente, tenuto conto delle considerazioni che verranno successivamente dedicate agli altri motivi di ricorso (vedi infra).

2. Con il secondo motivo del ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 5, la ricorrente deduce error in iudicando e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

2.1. A tal fine la ricorrente si riferisce promiscuamente e cumulativamente ai seguenti elementi: natura conformativa e non espropriativa del vincolo; inutilizzabilità quale parametro di riferimento dei valori attribuiti ai terreni espropriati per la realizzazione dell’Ospedale di (OMISSIS); contraddittoria classificazione ad “edificabili” dei terreni utilizzati per la costruzione del medesimo ospedale a fronte della diversa classificazione come “non edificabili” dei terreni utilizzati per il plesso ospedaliero di (OMISSIS); previsione di PRG regolamento urbanistico a V4 del compendio espropriato ante variante di cui alla Delib. n. 85 del 2007; concreta destinazione a giardino dell’area espropriata; l’esproprio parziale; il criterio del quantum; elementi tutti che sarebbero stato oggetto di discussione fra le parti e non oggetto di pronuncia o oggetto di pronuncia contraddittoria in sentenza.

2.2. Il motivo è inammissibile.

I pretesi elementi oggetto di omesso esame sono esposti in un elenco indifferenziato; per lo più non sono neppure fatti storici, come richiede l’art. 360 c.p.c., n. 5, ma valutazioni giuridiche o addirittura semplici temi di indagine; tantomeno ne viene dedotta e argomentata, caso per caso e punto per punto, la necessaria decisività; la ricorrente neppure dimostra che i predetti temi non siano stati affrontati dalla Corte territoriale, che, al contrario, si è occupata della natura del vincolo, della classificazione come “edificabili” dei terreni, delle previsioni di PRG, della destinazione a giardino dell’area espropriata, dell’esproprio parziale e del quantum.

La ricorrente si astiene poi totalmente dal dar conto, come richiede la giurisprudenza di questa Corte, di quando e come la loro discussione sia stata sottoposta al contraddittorio.

Il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in tema di ricorso per vizio motivazionale deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo la nuova formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Sez. un., 07/04/2014, n. 8053; Sez. un., 22/09/2014, n. 19881; Sez. un., 22/06/2017, n. 15486).

Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

3. I successivi cinque motivi dedicati alla natura conformativa o espropriativa del vincolo, al carattere edificabile del terreno espropriato e alla possibilità di edificazione da parte dei privati sono strettamente connessi tra loro e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

3.1. Con il terzo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia error in iudicando e violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9,32,37 e 30; art. 85. N.T.A. Regolamento Urbanistico) e lamenta la violazione dei principi sulla natura conformativa o espropriativa del vincolo impresso con la variante urbanistica n. 87 del 2005.

La ricorrente sottolinea che lo stesso Comune di Prato aveva qualificato la variante di cui alla Delib. n. 87 del 2005, come variante conformativa e di zonizzazione, recante prescrizioni generali di trasformazione di un vasto comprensorio e non rivolta alla mera localizzazione dell’opera pubblica.

3.2. Con il quarto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia error in iudicando e violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9,32,37 e 30; art. 85. N.T.A. Regolamento Urbanistico) e lamenta la violazione dei principi sulla natura conformativa o espropriativa del vincolo impresso con la variante urbanistica n. 87 del 2005.

La Corte fiorentina, secondo la ricorrente, aveva fatto malgoverno dei principi elaborati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 173 del 2001, secondo la quale i vincoli vanno qualificati conformativi, e non espropriativi, se sono inquadrabili nell’operazione di zonizzazione del territorio comunale e incidono su di una generalità di beni nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti. La variante n. 87 del 2005 riguardava un’area molto estesa (m.q. 150.000) e incideva sulla destinazione urbanistica di ulteriori aree del territorio comunale; per la valutazione della valenza particolare o generale della variante e conseguentemente della natura espropriativa o meno del vincolo occorreva verificare la concreta ed oggettiva destinazione impressa ai suoli.

3.3. Con il quinto motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia error in iudicando e violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9,32,37 e 30; art. 85 N.T.A. Regolamento Urbanistico; artt. 3 e 4 del Piano delle Funzioni allegato al Regolamento Urbanistico).

Secondo la ricorrente, erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto la natura espropriativa del vincolo sulla base delle mere intenzioni della Pubblica Amministrazione, anzichè sulla base dell’oggettiva e concreta destinazione urbanistica dei terreni.

3.4. Con il sesto motivo, proposto ex art. 360 c.pc.., nn. 3 e 5, la ricorrente denuncia error in procedendo e violazione o falsa o omessa applicazione di legge (D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9,32,37 e 30; art. 85. N.T.A. Regolamento Urbanistico) nonchè omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione su un fatto decisivo per il giudizio.

Secondo la ricorrente, il terreno avrebbe dovuto essere considerato legalmente edificabile alla luce dello strumento urbanistico vigente al momento dell’esproprio, dal momento che il nuovo presidio ospedaliero ben poteva essere realizzato da parte di privati, previa approvazione del piano attuativo da parte del Comune di Prato.

I terreni ablati avevano vocazione edificatoria, sia pur specifica (servizi ospedalieri e sanitari), ed erano realizzabili anche da privati. 3.5. Con il settimo motivo, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia error in iudicando e violazione e falsa applicazione di legge (D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 9, 32, 37 e N.T.A. del PRG, art. 85 R.U. “V4”, connessioni urbane, artt. 3 e 4 Piano delle Funzioni).

La costruzione del plesso ospedaliero di (OMISSIS) era avvenuta da parte di privati in regime di finanza di progetto mediante apposita convenzione con la Azienda USL (OMISSIS). La decisione sarebbe illegittima e illogica perchè l’indennità di espropriazione era stata determinata considerando il terreno inserito in zona “E agricola”, mentre secondo le pregresse destinazioni urbanistiche vigenti prima della variante 87/2005 era destinato a sub sistema “V4 – connessioni urbane”.

3.6. La Corte ritiene di garantir continuità all’orientamento giurisprudenziale formatosi sulle stesse questioni, da cui non viene fornita ragione per discostarsi, espresso da tre precedenti pronunce di questa Sezione (Sez. 1, n. 3461 del 9/2/2017; Sez. 1 n. 7193 del 13/3/2019; Sez. 1, n. 11068 del 10/6/2020) che hanno inteso confermare le decisioni della Corte di appello fiorentina, sia pur correggendone la motivazione.

Giova ricordare che il terreno in questione era urbanisticamente destinato ad usi agricoli (zona omogenea di tipo E) fino all’apposizione del vincolo nel luglio del 2005, quando è stato destinato a zona F per attrezzature urbane, con specifica destinazione d’uso a servizi ospedalieri e sanitari; il terreno ablato è divenuto così edificabile con vocazione esclusiva a servizi ospedalieri e sanitari.

La discussione si è quindi focalizzata sulla natura del vincolo (conformativo o espropriativo) e sulle sue conseguenze per la determinazione del valore delle aree.

3.6.1. La Corte ritiene di dover ribadire la natura conformativa del vincolo introdotto dalla perizia di variante al P.R.G. intervenuta con Delib. 31 maggio 2005, n. 87, del Comune di Prato, tenuto conto delle obiettive caratteristiche dello strumento, destinato a ricomprendere un esteso territorio comunale con finalità di riorganizzazione.

3.6.2. La sentenza delle Sezioni Unite del 23/04/2001, n. 173, ha affermato che ai fini indennitari e della previa qualificazione dei suoli espropriati alla stregua delle correlative possibilità legali di edificazione al momento dell’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione le prescrizioni ed i vincoli stabiliti dagli strumenti urbanistici di secondo livello – influenti di regola su tale qualificazione, per il contenuto conformativo della proprietà che ad essi deriva dalla funzione di definire, per zone, in via astratta e generale, le possibilità edificatorie connesse al diritto dominicale possono, in via eccezionale, avere viceversa anche portata e contenuto direttamente ablatori (che ne esclude l’incidenza sulla liquidazione dell’indennità) ove si tratti di vincoli particolari, incidenti su beni determinati in funzione di localizzazione dell’opera pubblica, implicante di per sè la necessaria traslazione di quei beni all’ente pubblico.

La giurisprudenza successiva ha ripreso la distinzione citata, ribadendo, in modo consolidato, che la distinzione tra vincoli conformativi ed espropriativi ai quali possono essere assoggettati i suoli, non dipende dal fatto che siano imposti mediante una determinata categoria di strumenti urbanistici, piuttosto che di un’altra, ma deve essere operata in relazione alla finalità perseguita in concreto dell’atto di pianificazione.

Ove mediante tale atto si provveda ad una zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche, il vincolo ha carattere conformativo.

Ove, invece, si imponga solo un vincolo particolare, incidente su beni determinati, in funzione della localizzazione di un’opera pubblica, lo stesso deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione e da esso deve, pertanto, prescindersi nella qualificazione dell’area: ciò in quanto la realizzazione dell’opera è consentita soltanto su suoli cui lo strumento urbanistico ha impresso la correlativa specifica destinazione, cosicchè, ove l’area su cui l’opera sia stata in tal modo localizzata abbia destinazione diversa o agricola, se ne impone sempre la preventiva modifica (Sez. 1, 18/06/2018, n. 16084; Sez. 1, 20/02/2018, n. 4100; Sez. 1, 13/10/2017, n. 24150; Sez. 1, 09/10/2017, n. 23572; Sez. 1, 12/12/2016, n. 25401; Sez. 1, n. 20230 del 07/10/2016, Rv. 642047-01; Sez. 1, n. 21707 del 26/10/2015, Rv. 637322-01; Sez. 1, 10/05/2013, n. 11236).

3.6.3. La Corte di appello fiorentina ha fatto leva sul fatto che sino al 2005 e alla variante de qua i terreni in questione avevano destinazione agricola e ha diffusamente argomentato sulla natura espropriativa – e non conformativa – della predetta variante n. 87 del 2005, ritratta da specifiche disposizioni del Regolamento Urbanistico (artt. 85 e 96) dedicate alla programmazione della costruzione in quell’area del nuovo presidio ospedaliero di (OMISSIS) e delle strutture strettamente connesse.

Come già osservato nelle decisioni sopra ricordare non appare condivisibile la valutazione operata dalla Corte distrettuale, fondata, seppur in modo più sfumato rispetto alle precedenti pronunce della Corte toscana (a pagina 2) oggetto dei precedenti arresti di legittimità sopra citati, anche su di una ricostruzione della volontà degli autori della Delib. piuttosto che sulla portata oggettiva della variante approvata con la variante n. 87 del 2005.

Il vincolo apposto, per la vastità della zona interessata, per la molteplicità delle previsioni, poichè si trattava di un programma di intervento urbanistico nel quale le strutture sanitarie erano integrate in una riorganizzazione di un vasto comprensorio, e per l’omessa localizzazione di una specifica opera, che costituisce l’essenza della preordinazione all’espropriazione, assumeva chiaramente caratteri conformativi, nell’ambito dell’esercizio del potere di zonizzazione del territorio.

Nella fattispecie si è quindi di fronte a una previsione urbanistica in forza della quale le strutture sanitarie ricomprese entrano a far parte di una più vasta riorganizzazione del territorio comprensiva anche di parchi pubblici ed attrezzature sportive.

Come si è detto, è consolidato in giurisprudenza il principio che il carattere conformativo dei vincoli non dipende dalla collocazione in una specifica categoria di strumenti urbanistici, ma soltanto dai loro requisiti oggettivi, per natura e struttura; tale carattere ricorre ove i vincoli siano inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera zona in cui i beni ricadono e in ragione delle sue caratteristiche intrinseche o del rapporto, per lo più spaziale, con un’opera pubblica. Al contrario, il vincolo, se incide su beni determinati, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata, deve essere qualificato come preordinato alla relativa espropriazione.

3.6.4. E’ costante nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui un’area può essere ritenuta edificabile solo quando è in tal modo classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici; le possibilità legali di edificazione tuttavia vanno escluse tutte le volte in cui, in base allo strumento urbanistico vigente all’epoca in cui deve compiersi la ricognizione legale, la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità ecc.), poichè tali classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area, come tali, soggette al regime autorizzatorio previsto dalla vigente legislazione edilizia.

3.6.5. Il vincolo di natura pubblicistica inerente alla destinazione a servizi ospedalieri appare perciò ostativo alla possibilità di ritenere legalmente edificabili i terreni interessati, come più volte affermato da questa Corte (Sez. 1, 24/6/2016, n. 13172; Sez. 1, 15/6/2015, n. 12318; Sez. 1, 26/6/2013, n. 16157).

3.6.6. La natura edificatoria non può essere fatta derivare neppure dal fatto che gli interventi previsti in sede di pianificazione territoriale avrebbero potuto esser realizzati anche da privati; in tal modo la privatizzabilità dell’intervento finirebbe per diventare l’unico requisito necessario e sufficiente a conferire il carattere di edificabilità al terreno che resta, invece, oggettivamente inserito in una zona non edificatoria, rientrante nell’ambito di quelle che il D.M. 2 aprile 1968, art. 2, include, appunto, fra “le parti del territorio destinate ad attrezzature ed impianti di interesse generale” (Sez. 1, 21/6/2016, n. 12818).

In realtà, il richiamo alla possibilità di realizzare la destinazione pubblica anche attraverso l’intervento di privati, sia pure attraverso convenzioni con l’ente pubblico, scaturisce da un improprio riferimento alla diversa problematica inerente all’applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 39, ovvero della decisione della Corte costituzionale n. 179 del 1999, in materia di reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio o aventi natura espropriativa.

Questa Corte, sempre in relazione a una zona relativa a servizi ospedalieri, ha di recente ribadito (Sez. 1, 24/2/2016, n. 3620) l’esigenza di verificare la natura edificatoria o meno di un terreno prescindendo dalle “confusioni concettuali ingenerate dalla non sempre corretta interpretazione delle pronunce del Giudice delle leggi in merito alla distinzione fra vincoli conformativi ed espropriativi, che attiene, nella prospettiva delle suddette pronunce, al tema della loro temporaneità e dell’indennizzo in caso di reiterazione”.

3.6.7. La determinazione dell’indennità, pertanto, deve avvenire sulla base dell’accertamento non già della contrapposizione tra vincoli conformativi e espropriativi, ma della ricorrenza (o per converso della mancanza) delle possibilità legali di edificazione al momento del decreto di espropriazione (L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1 e art. 37, comma 3): accertamento risolto in modo inequivoco e dirimente dall’art. 37, comma 4, secondo il quale, premessa la ininfluenza dei vincoli espropriativi, “non sussistono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base alla normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale,… ovvero in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata” (Sez. 1 n. 3620/2016, cit.).

3.6.8. In siffatta prospettiva, la giurisprudenza di questa Corte ha escluso la legale edificabilità quanto alle aree destinate a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, anche sotto il profilo della realizzabilità degli interventi a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile a un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio e istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Sez. 1, 08/03/2018, n. 5557; Sez. 1, 13/03/2017, n. 6388; Sez. 1, 17/05/2016, n. 10085).

Parimenti è stata esclusa la natura edificatoria di un suolo che, nel relativo piano regolatore, ricada in zona destinata a servizi ospedalieri-parcheggio (Sez. 1, 24/06/2016, n. 13172); la prerogativa dell’edificabilità non può essere riconosciuta riguardo alla destinazione urbanistica di terreni a servizi di pubblica utilità, preclusiva ai privati di forme di trasformazione del suolo riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, che, anche se previste, sono concepite al solo fine di assicurare la fruizione pubblica degli spazi; in tal caso, infatti, l’eventuale redditività che il bene può assicurare al proprietario richiede comunque una specifica previsione di appositi strumenti convenzionali con cui al privato si conceda o si appalti l’attuazione del servizio di pubblica utilità, dal quale egli possa ricavare un reddito (Sez. 1, 23/06/2010, n. 15213, resa con riferimento alla creazione di un polo sanitario nel quale la variante al piano regolatore, nel prevedere la realizzazione della struttura ospedaliera, aveva previsto anche la possibilità di costruire strutture residenziali per anziani, disabili, personale medico e uffici).

Analoga conclusione è stata attinta per la zona concretamente vincolata a un utilizzo meramente pubblicistico (verde pubblico, attrezzature pubbliche, viabilità) in quanto dette classificazioni apportano un vincolo di destinazione che preclude ai privati tutte quelle forme di trasformazione del suolo che sono riconducibili alla nozione tecnica di edificazione, da intendere come estrinsecazione dello ius aedificandi connesso al diritto di proprietà, ovvero con l’edilizia privata esprimibile dal proprietario dell’area (Sez. 1, 10/05/2017, n. 11445; Sez. 1, 07/03/2017, n. 5686, Sez. 1, 21/06/2016, n. 12818); ovvero, più in generale quanto alla destinazione pubblica dell’insediamento, che rende irrilevanti o assorbe le modalità della sua realizzazione, quand’anche gli interventi siano effettuati da privati e la gestione sia assicurata da enti o imprese private (Sez. 1, 19/10/2016, n. 21185).

3.6.9. Non rileva, infine, l’esecuzione dell’intervento da parte di privati in regime di “finanza a progetto”, ossia Project financing convenzionato (operazione di tecnica di finanziamento a lungo termine di un progetto in cui il ristoro del finanziamento è garantito dai flussi di cassa previsti dall’attività di gestione o esercizio dell’opera finanziata).

Tale aspetto riguarda esclusivamente le modalità di esecuzione dell’intervento pubblico nell’ambito delle disposizioni normative vigenti e non ha nulla a che vedere con la natura del vincolo preesistente e con le possibilità legali di edificazione che competevano al privato sull’area interessata.

3.6.10. Ove venga proposta domanda di determinazione della giusta indennità spettante ai proprietari per la perdita del diritto dominicale sul bene in conseguenza della sua formale e sostanziale ablazione, nonchè del trasferimento di ogni pretesa (L. n. 2359 del 1865, art. 52 e D.P.R. n. 327 del 2001, art. 25) deve trovare applicazione la normativa specifica dettata per la determinazione del valore venale del bene nelle espropriazioni per pubblica utilità, nonchè per la determinazione dell’indennità di espropriazione per le aree edificabili e non edificabili, introdotta dalla L. n. 359 del 1992, art. 5 bis e quindi recepita dal D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 37.

All’indicata prospettiva resta estranea la contrapposizione tra vincoli espropriativi e conformativi e l’accertamento trova soluzione nell’applicazione dell’art. 37, comma 4, secondo il quale, nella premessa ininfluenza dei vincoli espropriativi, non vi sono le possibilità legali di edificazione quando l’area è sottoposta ad un vincolo di inedificabilità assoluta in base a previsioni contenute nella normativa statale o regionale o alle previsioni di qualsiasi atto di programmazione o di pianificazione del territorio, ivi compresi il piano regolatore generale, o ancora in base ad un qualsiasi altro piano o provvedimento che abbia precluso il rilascio di atti, comunque denominati, abilitativi della realizzazione di edifici o manufatti di natura privata, il tutto in attuazione del primato dell’edificabilità legale (Cass. 24/02/2016 n. 3620, p. 53).

4. Con l’ottavo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33 e lamenta errata e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo, ossia l’unicità ed unitarietà della destinazione economica del bene ablato.

4.1. Secondo la ricorrente, aderendo alle conclusioni della consulenza tecnica, la Corte di appello non aveva determinato il deprezzamento del compendio (abitazione e giardino) e la perdita di valore del fondo residuo non espropriato.

4.2. Secondo il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 33, comma 1, nel caso di esproprio parziale di un bene unitario, il valore della parte espropriata è determinato tenendo conto della relativa diminuzione di valore.

La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ripetere che in tema di espropriazione per pubblica utilità, quella parziale per la quale l’indennità va determinata sulla base della differenza fra il valore dell’unico bene prima dell’espropriazione ed il valore della porzione residua secondo della L. n. 2359 del 1865, art. 40 ed oggi del D.P.R. n. 227 del 2001, art. 33, si verifica quando la vicenda ablativa investa parte di un complesso immobiliare appartenente allo stesso soggetto e caratterizzato da un’unitaria destinazione economica, implicando per il proprietario un pregiudizio diverso da quello ristorabile mediante l’indennizzo calcolato con riferimento soltanto alla porzione espropriata, per effetto della compromissione o comunque dell’alterazione delle possibilità di utilizzazione della restante porzione e del connesso deprezzamento di essa (Sez. 1, n. 15040 del 15/07/2020, Rv. 658673-01; Sez. 6-1, n. 26243 del 03/11/2017, Rv. 647017-01; Sez. 1, n. 20241 del 07/10/2016, Rv. 641845-02).

4.3. Il motivo non è pertinente alla ratio decidendi della sentenza impugnata, che, lungi dall’ignorare il pregiudizio dedotto, lo ha considerato, apprezzato e liquidato equitativamente, sia pur sul presupposto della natura necessariamente agricola della porzione di terreno espropriata (ridotta di oltre due terzi) e non vocata a giardino, più lontana dal fabbricato della signora B..

Inoltre la censura, che si riversa inevitabilmente e inammissibilmente nel merito, nel sostenere l’unitarietà della destinazione economica della proprietà della ricorrente, per un verso pretende una rivalutazione degli accertamenti in fatto sotto l’etichetta del vizio di violazione di legge e, per altro verso, censura il vizio motivazionale senza dedurre l’omesso esame di un fatto decisivo discusso in causa per chiedere comunque genericamente a questa Corte un diverso accertamento nel merito.

5. Con il nono motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1224 c.c., comma 2, ed errata e contraddittoria pronuncia su di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., n. 5 relativamente al quantum della svalutazione.

5.1. La ricorrente sottolinea di aver dimostrato il ritardato pagamento dell’indennità provvisoria, peraltro irrisoria e l’inadempimento dell’Ente nonostante diffida, nonchè lo scoperto di conto corrente al tasso debitore del 12,5%, circostanze oltretutto non contraddette ex adverso.

5.2. Il motivo non coglie e non confuta la ratio decidendi del provvedimento impugnato.

La Corte fiorentina ha riconosciuto alla ricorrente gli interessi legali ma ha negato il risarcimento del maggior danno, richiesto ex art. 1224 c.c., comma 2, che era stato dedotto con riferimento agli interessi passivi di conto corrente, fissati nella misura del 12,5%.

Il danno dimostrato, secondo la Corte territoriale, era del tutto irrisorio, poichè la ricorrente aveva provato solo di aver pagato nel novembre-dicembre del 2009 la somma di Euro 9.25 per interessi passivi in scoperto di conto corrente ed Euro 4,60 per spese del servizio di affidamento.

In sostanza, la ricorrente non aveva dimostrato se non in misura irrilevante economicamente di aver pagato interessi passivi che non avrebbe dovuto sostenere se il pagamento fosse stato tempestivo. Viceversa non risultava allegato e tantomeno dimostrato che a ricorrente avrebbe potuto investire proficuamente la somma in modo diverso e più redditizio della misura dell’interesse legale.

5.3. E’ pur vero che questa Corte ha affermato che nel caso di ritardato adempimento di una obbligazione di valuta, il maggior danno di cui all’art. 1224 c.c., comma 2, può ritenersi esistente in via presuntiva in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali. Ricorrendo tale ipotesi, il risarcimento del maggior danno spetta a qualunque creditore, quale che ne sia la qualità soggettiva o l’attività svolta (e quindi tanto nel caso di imprenditore, quanto nel caso di pensionato, impiegato, ecc.), fermo restando che se il creditore domanda, a titolo di risarcimento del maggior danno, una somma superiore a quella risultante dal suddetto saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche per via presuntiva; in particolare, ove il creditore abbia la qualità di imprenditore, avrà l’onere di dimostrare o di avere fatto ricorso al credito bancario sostenendone i relativi interessi passivi; ovvero – attraverso la produzione dei bilanci – quale fosse la produttività della propria impresa, per le somme in essa investite; il debitore, dal canto suo, avrà invece l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici, che il creditore, in caso di tempestivo adempimento, non avrebbe potuto impiegare il denaro dovutogli in forme di investimento che gli avrebbero garantito un rendimento superiore al saggio legale. (Sez. U., n. 19499 del 16/07/2008, Rv. 604419-01).

5.4. Tuttavia nella specie la ricorrente non deduce con il suo motivo di aver richiesto il risarcimento del maggior danno allegando l’esistenza nel periodo temporale rilevante (2009-2015) di forme di investimento più redditizie del tasso legale d’interesse, con il conseguente difetto di autosufficienza della censura, e comunque insiste a criticare la decisione con riferimento all’elevato tasso debitore (12,5%) che non ha provato di aver dovuto fronteggiare.

Il motivo è pertanto inammissibile.

6. Con il decimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 91 c.p.c. e D.M. n. 55 del 2014, art. 28, per l’insufficiente liquidazione delle competenze legali in Euro 6.500,00, poichè per la causa, di valore pari a Euro 101.607,50 e di particolare importanza e difficoltà, competevano complessivamente Euro 13.635,00.

6.1. Il motivo è infondato.

La Corte di appello ha ritenuto che il valore della controversia (Euro 101.607,50,00) rientrasse nello scaglione da Euro 52.000 ad Euro 260.000,00, che prevede un valore medio di Euro 13.635,00 (di cui Euro 2.835,00 per la fase di studio, Euro 1.820,00 per la fase introduttiva; Euro 4.120,00 per la fase di trattazione; Euro 4.860,00 per la fase decisionale); ha tuttavia liquidato, senza una particolare motivazione, la somma di Euro 6.500,00.

Così facendo, si è avvalsa della discrezionalità consentita perchè non è scesa sotto i minimi, che risultano dalla consentita applicazione di una riduzione del 50% su tutte le voci a differenza della fase di trattazione per cui è consentita la riduzione del 70% ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, pro tempore vigente.

Il minimo non superabile senza specifica motivazione è infatti di Euro 4.757,50 (corrispondenti alla riduzione al 50% dei compensi per le fasi di studio, introduzione e decisione) più Euro 1.236,00 (corrispondenti alla riduzione al 30% dei compensi per la fase di trattazione): e quindi di Euro 5.993,50.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di liquidazione delle spese processuali, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, art. 4, comma 1, il giudice può scendere anche al di sotto o salire pure al di sopra dei limiti risultanti dall’applicazione delle massime percentuali di scostamento, purchè ne dia apposita e specifica motivazione (Sez. 6-2, n. 11601 del 14/05/2018, Rv. 648532-01); invece, la facoltà riconosciuta al giudice di apportare alla liquidazione della fase istruttoria una diminuzione di regola fino al 70%, D.M. n. 55 del 2014, ex art. 4, comma 1, va intesa nel senso che la diminuzione applicabile sul valore medio può essere determinata in una misura non superiore al 70% di esso e, dunque, nel senso che l’importo minimo liquidabile corrisponde al 30% del valore medio (Sez. 6-2, n. 23798 del 24/09/2019, Rv. 655281-01).

7. Con l’undicesimo motivo di ricorso principale, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 118 Cost., comma 4 e al D.Lgs. n. 155 del 2006, art. 2 e propone questione di legittimità costituzionale della L. n. 1150 del 1942, art. 7, comma 2, nell’interpretazione offerta dalla Corte fiorentina, secondo cui l’intervento dei privati attiene alla fase esecutiva e non ha attinenza con le scelte urbanistiche di programmazione e i poteri di disposizione del terreno e imposizione dei vincoli che costituiscono prerogative della Pubblica Amministrazione nell’esercizio della discrezionalità amministrativa.

7.1. La questione proposta non è rilevante ai fini della decisione rispetto alla quale appaiono indifferenti le modalità di attuazione delle previsioni urbanistiche, eventualmente realizzate a mezzo della finanza di progetto, destinata ad integrare una modalità di intervento pubblico e non a segnalare una iniziativa privata.

Il principio di sussidiarietà invocato e la previsione costituzionale di cui all’art. 118 Cost., comma 4, non sono in contrasto con una disciplina normativa che riservi all’intervento pubblico la realizzazione di opere di interesse generale, in particolare nel settore della sanità pubblica e con riferimento a un bene fondamentale quale la tutela della salute, per modalità che rinvengono giustificazione dalla complessità dell’intervento realizzato e dell’impegno economico derivante.

7.2. Infatti la norma costituzionale invocata, secondo la quale Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà, di natura peraltro programmatica e orientativa, non è assolutamente in contrasto con una normativa che riservi all’intervento pubblico la realizzazione di opere di interesse generale, in particolare nel settore della sanità pubblica e con riferimento a un bene fondamentale quale la tutela della salute.

Si può parlare di sussidiarietà in senso proprio solo ove gli obiettivi dell’intervento del privato e dell’intervento dell’Amministrazione siano gli stessi, o per lo meno sovrapponibili: solo in tale evenienza si può sostenere che l’intervento della mano pubblica per realizzare lo stesso risultato avuto di mira dai privati rappresenti in sostanza uno spreco di risorse.

8. Con il motivo di ricorso incidentale, la controricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32 e 40, con riferimento alla liquidazione della somma di Euro 14.782,50 con riferimento al valore dei soprassuoli.

8.1. Secondo la controricorrente tale attribuzione poteva ritenersi legittima solo quale correttivo della determinazione dell’indennità di espropriazione con riferimento al criterio astratto del valore agricolo medio e non in correlazione alla determinazione dell’indennità basata in concreto sull’apprezzamento del valore venale del terreno.

8.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha infatti affermato, con principio che merita continuità, che in tema di espropriazione per pubblica utilità, l’evoluzione del sistema indennitario, a seguito degli interventi della Corte costituzionale, con le sentenze n. 348 e 349 del 24/10/2007 e n. 181 dell’11/6/2011, nonchè delle sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza della Corte EDU, agganciando indissolubilmente l’indennizzo espropriativo al valore venale del bene, comporta che, ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, per suoli che, quale ne sia la destinazione, dispongano di un soprassuolo arboreo idoneo a conferire particolari condizioni di sicurezza, utilità e amenità, deve tenersi conto dell’aumento di valore di cui il suolo viene a beneficiare, assumendo rilievo ciò che contribuisce a connotarne l’identità fisica e urbanistica (Sez. 1; 27/07/2017 n. 18732; in termini: Sez. 1, 21/3/2014 n. 6743): non sussiste quindi affatto l’incompatibilità logica ravvisata da parte della ricorrente incidentale fra liquidazione di un valore venale del terreno al prezzo di mercato e l’attribuzione di uno specifico indennizzo del valore delle colture esistenti sul fondo espropriato.

9. Debbono pertanto venir rigettati sia il ricorso principale, sia quello incidentale.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese di lite, tenuto conto della soccombenza reciproca nonchè della conferma della decisione impugnata sulla questione principale con diversa motivazione.

PQM

La Corte

rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2021

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