Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5796 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 08/03/2017, (ud. 10/01/2017, dep.08/03/2017),  n. 5796

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4022-2015 proposto da:

CREDIFARMA SPA quale mandataria dei Dottori C.B. (nella

qualità di titolare dell’omonima farmacia, G.G. (nella

qualità di titolare dell’omonima farmacia), FARMACIA GALIANO S.N.C.

DI P.A. & F. in persona del legale

rappresentante p.t. Presidente Dott. GH.CA., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA CAMILLUCCIA 535, presso lo studio

dell’avvocato MARCO POLIZZI, che li rappresenta e difende giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE VITERBO, domiciliata ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ELAINE BOLOGNINI giusta procura speciale a

margine dell’atto di costituzione;

– resistente con atto costituzione –

avverso la sentenza n. 1817/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 18/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI;

udito l’Avvocato MARCO POLIZZI;

udito l’Avvocato ELAINE BOLOGNINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Azienda Unità Sanitaria Locale di Viterbo propose opposizione innanzi al Tribunale di Viterbo avverso il decreto n. 223/08 emesso in favore di Credifarma s.p.a., sulla base di ricorso depositato in data 19 marzo 2008, con cui si ingiungeva il pagamento della somma di Euro 171.051,61, oltre interessi per il ritardo nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 4 e 5, per mancato pagamento di forniture di medicinali anticipate dalla farmacie rappresentate da Credifarma agli assistiti del Servizio Sanitario Nazionale e successivamente elencate nelle distinte contabili riepilogative del mese di gennaio 2008.

2. Il Tribunale adito revocò il decreto ingiuntivo e condannò l’opponente al pagamento dei soli interessi legali sul capitale di Euro 171.051,61, essendo intervenuto il pagamento di quest’ultimo, e compensò nella misura di un terzo le spese del giudizio condannando l’opponente al pagamento dei residui due terzi delle spese della fase monitoria e di quella di merito.

3. Avverso detta sentenza propose appello Credifarma s.p.a.. Si costituì la parte appellata chiedendo il rigetto dell’appello e proponendo altresì appello incidentale.

4. Con sentenza di data 18 marzo 2014 la Corte d’appello di Roma rigettò entrambi gli appelli, disponendo la compensazione delle spese processuali. Indubbia l’applicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002, stante la natura di operatori commerciali delle farmacie, osservò la corte territoriale che le parti avevano però inteso determinare, fin dal 1998 (con proiezione verso i rapporti futuri) in applicazione del D.Lgs. n. 502 del 1992, il tasso moratorio in misura L difforme, fissando il limite invalicabile del tasso legale e che l’istanza di accertamento della nullità della clausola ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 7 era stata proposta solo in appello, senza che fosse stato dedotto alcunchè in ordine all’esistenza dei presupposti, mentre con il ricorso monitorio era stata invocata la nullità della clausola sugli interessi ai soli fini della sostituzione con quella prevista dalla legge del 2002 (il caso ad ogni buon conto non era riconducibile alle ipotesi di iniquità previste dalla legge). Aggiunse il giudice di appello, quanto all’imputazione del pagamento agli interessi anzichè al capitale ai sensi dell’art. 1194 c.c., premesso che nel ricorso era stato richiesto il pagamento del capitale dal giorno successivo al termine per il pagamento, corrispondente all’ultimo giorno del mese successivo a quello in cui erano state spedite le distinte, e che il Tribunale aveva condannato la Asl al pagamento degli interessi legali dalla messa in mora, che non vi era stato un motivo di appello sul punto, nè era rinvenibile alcun atto di messa in mora, ed il pagamento del capitale era intervenuto antecedentemente la notifica del decreto ingiuntivo. Con riferimento al motivo di appello costituito dal mancato riconoscimento delle spese della fase monitoria, stante il pagamento del capitale dopo la notifica del decreto, osservò la corte territoriale che la valutazione delle spese, per la fase monitoria e quella di opposizione, ha carattere unitario e che la revoca del decreto non consentiva di “conservare” la condanna alle spese per quella fase. Infine la compensazione delle spese disposta dal primo giudice appariva corretta, essendo Credifarma rimasta soccombente sulla questione della misura degli interessi, oggetto principale della controversia.

5. Ha proposto ricorso per cassazione Credifarma s.p.a. sulla base di quattro motivi.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, artt. 5 e 11, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la ricorrente che nessuno accordo era stato stipulato fra le parti dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 231 del 2002 e che l’accordo collettivo nazionale, avendo natura regolamentare per essere confluito in un decreto del Presidente della Repubblica, quale fonte normativa secondaria cede comunque rispetto alla norma di rango superiore. Aggiunge che il rapporto esistente fra farmacisti e Servizio Sanitario Nazionale ha carattere negoziale (costituente per un verso somministrazione di farmaci, per l’altro contratto a favore del terzo, il cittadino-utente), sicchè per le singole obbligazioni sorte dopo l’8 agosto 2002 trova applicazione la legge vigente all’epoca della prestazione.

1.1. Il motivo è infondato.

Prevede il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, che il rapporto tra il Servizio sanitario nazionale e le farmacie pubbliche e private è disciplinato da convenzioni di durata triennale conformi agli accordi collettivi nazionali stipulati a norma della L. 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, comma 9, con le organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative in campo nazionale. Tali accordi devono tener conto dei seguenti principi: a) le farmacie pubbliche e private erogano l’assistenza farmaceutica per conto delle unità sanitarie locali del territorio regionale dispensando, su presentazione della ricetta del medico, specialità medicinali, preparati galenici, prodotti dietetici, presidi medico-chirurgici e altri prodotti sanitari erogabili dal Servizio sanitario nazionale; b) per la dispensazione dei prodotti “l’unità sanitaria locale corrisponde alla farmacia il prezzo del prodotto erogato, al netto della eventuale quota di partecipazione alla spesa dovuta dall’assistito. Ai fini della liquidazione la farmacia è tenuta alla presentazione della ricetta corredata del bollino o di altra documentazione comprovante l’avvenuta consegna all’assistito. Per il pagamento del dovuto oltre il termine fissato dagli accordi regionali di cui alla successiva lettera c) non possono essere riconosciuti interessi superiore a quelli legali” (agli accordi di livello regionale è demandata la disciplina delle modalità di presentazione delle ricette e i tempi dei pagamenti dei corrispettivi nonchè l’individuazione di modalità differenziate di erogazione delle prestazione finalizzate al miglioramento dell’assistenza definendo le relative condizioni economiche). La norma prescrive quindi la disciplina di una serie di profili del rapporto, fornendo i relativi criteri direttivi.

L’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private, in attuazione dell’art. 8, comma 2, citato è stato reso esecutivo con D.P.R. 8 luglio 1998, n. 371, “Regolamento recante norme concernenti l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private”. Prevede l’art. 8, comma 5, di tale regolamento che “i tempi per la liquidazione delle competenze dovute alle farmacie sono individuati secondo quanto stabilito dal D.Lgs n. 502 del 1992 e successive modificazioni, art. 8, comma 2, lett. c). In ogni caso il termine ultimo per l’effettiva corresponsione dell’importo relativo alle ricette spedite il mese precedente, sulla base del documento contabile di cui al comma 1, è comunque fissato nell’ultimo giorno di ciascun mese, Gli accordi regionali dovranno tener conto di quanto stabilito dal D.Lgs. n. 502 del 1992 e successive modificazioni, art. 3, comma 2, lett. b), laddove, superato il termine fissato per il pagamento del dovuto alle farmacie, non potranno essere riconosciuti interessi superiori a quelli legali. L’acconto di cui al precedente comma 4 costituisce anticipazione del corrispettivo dovuto alla farmacia come sorte capitale”. L’accordo ha durata triennale e scade il 31 dicembre 1997, ma è previsto che “al fine di evitare soluzioni di continuità della disciplina del presente Accordo regolante il servizio farmaceutico convenzionato, i relativi effetti si intendono, comunque, prorogati oltre la data di scadenza fino alla data di entrata in vigore del nuovo Accordo”.

1.2 Ai fini della non applicabilità del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002, che ha dato attuazione alla direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, il giudice di merito ha valorizzato la disposizione di cui all’art. 5, secondo cui è consentito alle parti di concordare un tasso di interesse diverso, nei limiti previsti dall’articolo 7 (grave iniquità in danno del creditore). Vi sarebbe l’ulteriore argomento secondo cui, non applicandosi il D.Lgs. n. 231 del 2002 ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002 in base alla disposizione transitoria di cui all’art. 11, l’accordo collettivo nazionale vi sarebbe sottratto in quanto antecedente alla data prevista. Rispetto a tale prospettazione non vale l’argomento adoperato dal ricorrente dell’incidenza della norma sullo sviluppo del rapporto in epoca successiva all’8 agosto 2002, stante il carattere di durata del contratto di somministrazione. La distinzione per i rapporti di durata fra disciplina dell’atto e disciplina degli effetti (o meglio dei fatti ricadenti nel rapporto) risolve i problemi di diritto intertemporale in mancanza di una disposizione di carattere transitorio, ma qui la norma c’è ed è quella della non applicabilità ai contratti conclusi prima dell’8 agosto 2002. Trattasi di disposizione che rende chiaro che il D.Lgs. n. 231 del 2002 è disciplina dell’atto (come si evince anche dalla norma sulla nullità di cui all’art. 7) e non disciplina del rapporto. L’attuazione della direttiva comunitaria guarda non ai fatti che si verificano nel corso del rapporto (le singole erogazioni del prodotto nell’ambito della somministrazione, secondo la prospettazione di parte ricorrente), ma alla fonte costitutiva del rapporto.

Il punto è che la fonte del rapporto non è un negozio, ma un regolamento, essendo stato reso esecutivo l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private con decreto del Presidente della Repubblica. Gli effetti giuridici sono riconducibili non all’accordo, ma al decreto che lo rende esecutivo. A partire da Cass. s.u. 20 dicembre 1993, n. 12595, la giurisprudenza riconosce che nel caso degli accordi collettivi nazionali, recepiti dal decreto presidenziale, previsti dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 per l’uniforme trattamento economico e normativo, nell’intero territorio nazionale, del personale sanitario a rapporto convenzionale, la fonte normativa “si perfeziona solo con l’emanazione affidata alla discrezionalità del governo – del decreto presidenziale di esecutività”. In base alla legge, le disposizioni di cui alla L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 48 trovano applicazione anche per le convenzioni che le unità sanitarie locali stipulano con le farmacie ai fini dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica. Anche per l’accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con le farmacie pubbliche e private ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2, deve quindi giungersi alle medesime conclusioni. Trattasi di un atto di normazione secondaria. Quale atto di normazione secondaria dovrebbe essere cedevole rispetto alla norma legislativa, come affermato dalla ricorrente. Si arriverebbe così al paradosso che un contratto privato resta integro rispetto al sopravvenire della legge, stante la disposizione transitoria di cui all’art. 11, mentre un regolamento, costituente normazione secondaria, sarebbe travolto limitatamente alla disciplina del saggio degli interessi dalla legge sopravvenuta. In realtà è il punto di vista che deve essere cambiato.

1.3. Il D.Lgs. n. 231 del 2002 si applica alle “transazioni commerciali”, e cioè, secondo la definizione contenuta nell’art. 2, “i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo”. Il rapporto che si instaura fra il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e la farmacia in occasione dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica non ha natura di transazione commerciale perchè trattasi di rapporto la cui disciplina non è affidata al contratto, ma alla legge ed al regolamento che rende esecutivo l’accordo collettivo nazionale stipulato in base ed in conformità alla legge (D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 8, comma 2). Si tratta di rapporto sottratto alla autonomia privata nell’intendimento del legislatore in forza della natura del fenomeno, che è erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto dell’Azienda Unità sanitaria locale. Il Servizio sanitario nazionale garantisce l’assistenza farmaceutica in favore della popolazione mediante la rete delle farmacie distribuite sul territorio (le quali sono titolari di una concessione di pubblico servizio).

Come prevede l’art. 28 della legge istitutiva del Ssn (L. n. 833 del 1978), l’Usl (oggi Asl), “eroga l’assistenza farmaceutica attraverso le farmacie di cui sono titolari enti pubblici e le farmacie di cui sono titolari i privati, tutte convenzionate” con il Ssn. La cessione dei medicinali e degli altri prodotti di interesse sanitario avviene attraverso i principi e le norme che disciplinano il funzionamento del Ssn. Trattasi di attività disciplinata quanto ai principi dalla legge, e nel dettaglio, sulla base di tali principi, dal regolamento amministrativo che recepisce l’accordo collettivo nazionale cui la legge rinvia. Mentre rientra nella comune area contrattuale l’ordinaria vendita al pubblico di medicinali prevista dal R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, art. 122 testo unico delle leggi sanitarie, è sottratta all’area della negoziazione privata l’erogazione della assistenza farmaceutica per conto delle Asl. In questo quadro della disciplina ex lege del rapporto trova posto il divieto di riconoscere interessi superiori quelli legali, che è previsione contemplata al livello dei principi legislativi, ancor prima che di regolamento. Emerge qui la differenza con le fattispecie di Cass. 14 luglio 2016, n. 14349 e di Cass. 11 ottobre 2016, n. 20391, nelle quali è stata ritenuta in astratto applicabile, salvo le circostanze del caso, al rapporto fra la struttura sanitaria accreditata nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il soggetto pubblico la disciplina di cui al D.Lgs. n. 231 del 2002. La fonte del rapporto è in tal caso l’accordo contrattuale, e dunque configurabile è la transazione commerciale.

Si deve pertanto concludere nel senso dell’inapplicabilità del saggio di interessi previsto dal D.Lgs. n. 231 del 2002 stante l’estraneità dell’erogazione dell’assistenza farmaceutica per conto delle Asl al paradigma della transazione commerciale e la riconducibilità del rapporto alla fonte legale ed amministrativa, ossia al D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 8, comma 2 ed al relativo regolamento.

2. Con il secondo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 7 ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Lamenta la ricorrente che erroneamente il giudice di appello aveva ritenuto proposta l’istanza di accertamento della nullità ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 7 solo in appello, risultando il riferimento a tale nullità già nella comparsa conclusionale in primo grado e che tale nullità risultava comunque rilevabile d’ufficio.

2.1. Il motivo è infondato.

E’ ben vero che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. 12 dicembre 2014, n. 26242). Stante tuttavia l’inapplicabilità del D.Lgs. n. 231 del 2002 non vi è materia per il rilievo d’ufficio della nullità.

3. Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 1194 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha negato l’applicabilità dell’art. 1194 c.c. sulla base del duplice erroneo presupposto dell’intervento del pagamento prima della notifica del decreto ingiuntivo, laddove invece il pagamento era intervenuto successivamente, e della mancanza in atti della costituzione in mora.

3.1. Il motivo è inammissibile.

Ha affermato il giudice di appello che circa la statuizione del Tribunale in ordine alla decorrenza degli interessi non vi era stato uno specifico motivo di appello. Tale ratio decidendi non è stata impugnata dalla ricorrente, sicchè la censura è priva di decisività. In secondo luogo permane l’accertamento di fatto del giudice di merito dell’intervento del pagamento in epoca antecedente la notifica del decreto ingiuntivo, accertamento non inciso dalla censura in esame.

4. Con il quarto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omessa pronuncia. Osserva la ricorrente che il giudice di appello ha omesso di pronunciare sul motivo di appello avente ad oggetto la liquidazione da parte del giudice di merito degli onorari al di sotto dei minimi tariffari e la mancata considerazione degli esborsi sopportati e che il mancato riconoscimento delle spese della fase monitoria dipendeva dall’erroneo presupposto circa l’epoca di pagamento del capitale. Aggiunge che illegittima è la compensazione delle spese processuali, dovendo queste essere messe totalmente a carico della Asl.

4.1. Il motivo è parzialmente fondato. In ordine alla censura di omessa pronuncia, per la quale risulta assolto l’onere di autosufficienza del ricorso, difetta in effetti la pronuncia della corte territoriale. Circa la questione delle spese della fase monitoria, il giudice di merito ha applicato il principio di diritto, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo ha ad oggetto la cognizione piena in ordine all’esistenza ed alla validità del credito posto a base della domanda d’ingiunzione; pertanto, va esclusa l’ammissibilità di una autonoma pronuncia sulla legittimità dell’ingiunzione di pagamento agli effetti dell’incidenza delle spese della sola fase monitoria, dato che tale fase e quella di opposizione fanno parte di un unico processo nel quale l’onere delle spese è regolato in base all’esito finale del giudizio ed alla complessiva valutazione del suo svolgimento (fra le tante Cass. 23 settembre 2004, n. 19126 e 27 marzo 2007, n. 7526). Non è inutile aggiungere che non risulta impugnata la statuizione del giudice di merito secondo cui la revoca del decreto non consentiva di “conservare” la condanna alle spese per quella fase, sicchè per quest’aspetto il motivo è privo di decisività. Infine, quanto all’ulteriore ragione di doglianza, va rammentato che in tema di compensazione delle spese processuali ex art. 92 cod. proc. civ., poichè il sindacato di legittimità è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, esula da tale sindacato e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensare, in tutto o in parte, le spese di lite (fra le tante Cass. 6 ottobre 2011, n. 20457 e 17 novembre 2006, n. 24495).

PQM

La Corte accoglie parzialmente il quarto motivo e rigetta per il resto il ricorso; cassa la sentenza impugnata nei limiti dell’accoglimento del ricorso e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della terza sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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