Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5795 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5795 Anno 2014
Presidente: BERRUTI GIUSEPPE MARIA
Relatore: CIRILLO FRANCESCO MARIA

Ud. 20/01/2014

SENTENZA
PU

sul ricorso 27321-2007 proposto da:
TOLOTTI SRL, in persona del legale rappresentante,
TOLOTTI ADRIANO, TOLOTTI ADRIANO in proprio,
elettivamente domiciliati ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati
e difesi dall’avvocato DETTORI MASALA GIOVANNA ANGELA
2014
133

unitamente all’avvocato MINA ANDREA giusta delega a
margine;
– ricorrenti contro

ALPI ASSIC SPA IN LCA, in persona del Commissario

1

Data pubblicazione: 13/03/2014

Liquidatore Avv. WLADIMIRO CATARISANO, elettivamente
domiciliata in ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 69, presso
lo studio dell’avvocato NATOLI GIORGIO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CONTI
GIANFRANCO giusta delega a margine;

nonchè contro

ARICI CLAUDIO, GENERALI ASSIC SPA ;
– intimati –

avverso la sentenza n. 725/2006 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 23/08/2006 R.G.N. 515/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/01/2014 dal Consigliere Dott.
FRANCESCO MARIA CIRILLO;
udito l’Avvocato GUIDO ORLANDO per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per l’inammissibilita’ in subordine per il rigetto
del ricorso.

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– controricorrente –

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.

Claudio Arici conveniva in giudizio, davanti al

Tribunale di Brescia, Adriano Tolotti, la Tolotti s.r.l. e la
Compagnia di assicurazioni Alpi s.p.a. per ottenere il
risarcimento dei danni subiti nel sinistro stradale nel quale

della società Tolotti, condotta nell’occasione da Adriano
Tolotti.
Nella costituzione dei convenuti, si svolgeva la fase
istruttoria nella quale la società di assicurazione veniva
posta in liquidazione coatta amministrativa e, a seguito della
riassunzione del giudizio, pagava all’Arici l’intero massimale
(200 milioni di lire).
Il Tribunale, con sentenza del 5 marzo 2003, riconosceva
la responsabilità esclusiva del Tolotti nella determinazione
dell’incidente e liquidava a favore dell’attore la somma
complessiva di euro 305.943,39, dalla quale andava detratta la
somma già versata a titolo di massimale, residuando una
condanna del Tolotti e dell’omonima società al pagamento della
differenza, pari ad euro 195.455,18.
2.

Appellata la pronuncia dai soccombenti, la Corte

d’appello di Brescia, con sentenza del 23 agosto 2006,
confermava quella di primo grado, ponendo a carico degli
appellanti le ulteriori spese del grado.

3

egli viaggiava come trasportato sulla vettura di proprietà

Osservava la Corte territoriale che, pur in presenza di
elementi assai scarsi per la ricostruzione della dinamica
dell’incidente, doveva ritenersi certa l’esclusiva
responsabilità del conducente Tolotti, il quale in prossimità
di una curva aveva perso il controllo della propria auto, la

una scarpata. A seguito di tale caduta, il trasportato Arici
era stato sbalzato fuori della vettura, riportando gravissimi
danni. In ordine al mancato utilizzo delle cinture di
sicurezza da parte del trasportato, la Corte osservava che
sarebbe stato onere del conducente fornire la relativa prova,
onere che non era stato, nella specie, assolto; il
ribaltamento della vettura e le numerose fratture riportate
dall’infortunato rendevano ben possibile immaginare che lo
stesso poteva essere stato sbalzato fuori dell’abitacolo anche
nell’eventualità che indossasse le cinture. La pronuncia di
primo grado, infine, veniva confermata sia in ordine
all’entità delle lesioni subite dall’Arici ed al conseguente
risarcimento sia in ordine all’inammissibilità della domanda
di

male gestio

avanzata nei confronti della società di

assicurazione, trattandosi di domanda nuova, proposta nel
giudizio di primo grado, sulla quale la società assicuratrice
aveva prontamente dichiarato di non accettare il
contraddittorio.

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quale era finita fuori della sede stradale, ribaltandosi in

3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Brescia
propongono ricorso Adriano Tolotti e la Tolotti s.r.1., con
unico atto affidato a cinque motivi.
Resiste la s.p.a. Alpi assicurazioni in liquidazione con
controricorso.

sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione di legge in riferimento agli artt. 1681, 2043,
2054, 2059 e 2700 cod. civ., all’art. 185 cod. pen., nonché
insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto
decisivo della controversia.
Rilevano i ricorrenti che sarebbe errata l’attribuzione
esclusiva a carico del Tolotti della responsabilità
dell’incidente oggetto di causa. Ciò in quanto il rapporto dei
Carabinieri che erano accorsi sul posto fa piena prova di
quanto i verbalizzanti dichiarano di aver direttamente
percepito, mentre le altre circostanze riferite

de relato sono

oggetto di libero apprezzamento del giudice. D’altra parte
l’Arici era trasportato a titolo di cortesia, sicché nei suoi
confronti non poteva trovare applicazione la presunzione di
cui all’art. 1681 cod. civ., né quella di cui all’art. 2054
cod. civ., con la conseguenza che l’Arici avrebbe dovuto
5

Claudio Arici non ha svolto attività difensiva in questa

fornire la prova, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., della
condotta colposa del Tolotti in occasione del sinistro.
1.1. Il motivo non è fondato.
Esso è suddiviso, in effetti, in due parti: la prima
riguarda il corretto valore da attribuire al rapporto dei

mentre la seconda lamenta violazioni di legge conseguenti
all’applicazione delle presunzioni anche in riferimento al
trasporto di cortesia, oltre che all’onere della prova della
colpa.
1.2. Rileva la Corte che la prima parte contiene una
censura generica e priva di precise contestazioni; si sostiene
che il verbale dei Carabinieri fa piena prova soltanto dei
fatti che i medesimi attestano essere avvenuti in loro
presenza, mentre costituisce solo un indizio per quanto
riguarda ciò che essi hanno percepito da altri. Affermazioni,
queste, del tutto pacifiche e non sovvertite in alcun modo
dalla sentenza impugnata, la quale ha fornito una propria
ricostruzione del fatto in base alla complessiva valutazione
delle scarse prove esistenti; sicché la doglianza relativa al
valore da attribuire al rapporto è inammissibile. D’altra
parte, la genericità della censura traspare in modo evidente
anche dal quesito di diritto formulato alla p. 24 del ricorso,
nel quale ci si limita a sollecitare la Corte a chiarire quale
valore probatorio abbiano i verbali redatti dai pubblici
6

Carabinieri accorsi sul posto nel momento dell’incidente,

ufficiali con riferimento ai fatti ed alle circostanze apprese
de relato.
1.3. Quanto, invece, alle censure relative al trasporto di
cortesia ed all’onere della prova della colpa, si tratta di
censure prive di fondamento.

di questa Corte 3 marzo 1995, n. 2471, secondo cui al
trasporto amichevole o di cortesia – quale pacificamente era
quello oggetto di causa non si applicherebbero le
presunzioni di cui all’art. 2054 del codice civile.
Si tratta – com’è noto – di un orientamento ormai da tempo
superato, avendo questa Corte, a partire dalla sentenza 26
ottobre 1998, n. 10629, affermato l’opposto principio per cui
in materia di responsabilità derivante dalla circolazione dei
veicoli, l’art. 2054 cod. civ. esprime, in ciascuno dei commi
che lo compongono, principi di carattere generale, applicabili
a tutti i soggetti che da tale circolazione comunque ricevano
danni, e quindi anche ai trasportati, quale che sia il titolo
del trasporto, di cortesia ovvero contrattuale (oneroso o
gratuito). Consegue che il trasportato, indipendentemente dal
titolo del trasporto, può invocare i primi due commi della
disposizione citata per far valere la responsabilità
extracontrattuale del conducente ed il terzo comma per far
valere quella solidale del proprietario, che può liberarsi
solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta
7

Nel ricorso viene richiamata l’ormai risalente pronuncia

contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto
tutto il possibile per evitare il danno. Tale principio,
costantemente ribadito in seguito, costituisce ormai pacifica
acquisizione giurisprudenziale (v., tra le altre, le sentenze
21 marzo 2001, n. 4022, 1 ° giugno 2006, n. 13130, 11 giugno

riconosciuto l’applicabilità dell’art. 2054 cod. civ. in
favore del trasportato Arici.
1.4. Allo stesso modo, è infondata l’ultima parte del
primo motivo, nella quale i ricorrenti osservano che sarebbe
stato onere del danneggiato provare la colpa del conducente e
che, in particolare, non si potrebbe risarcire il danno non
patrimoniale in assenza di prova della colpa. Si tratta di
censura in gran parte assorbita dalle considerazioni che
precedono; e sotto il profilo del danno non patrimoniale la
giurisprudenza di questa Corte – innovando rispetto al proprio
precedente orientamento – ha più volte ribadito che alla
risarcibilità del medesimo non osta il mancato positivo
accertamento della colpa dell’autore del danno se essa, come
nel caso di cui all’art. 2054 cod. civ., debba ritenersi
sussistente in base ad una presunzione di legge e se,
ricorrendo la colpa, il fatto sarebbe qualificabile come reato
(sentenza 12 maggio 2003, n. 7282, ribadita da altre pronunce
fra le quali le sentenze 19 novembre 2007, n. 23918, e 12
febbraio 2010, n. 3351).
8

2010, n. 14068), sicché la Corte di merito correttamente

2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione di legge in riferimento agli artt. 116 e 184 cod.
proc. civ., agli artt. 1227, 2054, 2056 e 2697 cod. civ.,
all’art. l della legge 22 aprile 1989, n. 143, nonché

decisivo della controversia.
Rilevano i ricorrenti che già all’epoca del sinistro (30
agosto 1989) era obbligatorio l’uso delle cinture di sicurezza
per i passeggeri occupanti i posti anteriori della vettura. Il
genere di lesioni riportate dalla vittima dimostrerebbero
senza dubbio che l’Arici non indossava le predette cinture nel
momento dell’incidente, fatto che contribuisce ai sensi
dell’art. 1227 cod. civ. nel riparto delle responsabilità.
D’altra parte i ricorrenti ricordano di avere a suo tempo
avanzato richiesta di rinnovo della c.t.u. proprio per tale
motivo.
2.1. Il motivo non è fondato.
Come si è già rilevato in precedenza, la Corte bresciana
ha affrontato l’argomento ed è pervenuta alla conclusione per
cui era onere dei danneggianti fornire la prova che il
trasportato non indossava le cinture di sicurezza nel momento
del sinistro, onere che non era stato, nella specie, assolto;
il ribaltamento della vettura e le numerose fratture riportate
dall’infortunato, inoltre, rendevano del tutto ragionevole
9

insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto

immaginare che lo stesso poteva essere stato sbalzato fuori
dell’abitacolo anche nell’eventualità che indossasse le
cinture, «a causa delle fortissime sollecitazioni subite dal
veicolo e degli abnormi movimenti impressi ai corpi che vi si
trovavano rinchiusi», tali da determinare la rottura o

Si

tratta,

com’è

di

immediata

evidenza,

di

una

ricostruzione del fatto, basata sulla complessiva valutazione
delle prove, che la Corte d’appello ha compiuto con una
motivazione logicamente ineccepibile, esercitando quel potere
di ricostruzione del fatto e di attribuzione delle
responsabilità che, in materia di incidenti stradali, questa
Corte ha in più occasioni riconosciuto appartenere al giudice
di merito (v., fra le altre, le sentenze 23 febbraio 2006, n.
4009, e 25 gennaio 2012, n. 1028). Sicché è evidente che
l’accoglimento del motivo in esame potrebbe, in astratto,
avvenire solo a seguito di un nuovo e non consentito esame del
merito della controversia.
3. Col terzo motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione di legge in riferimento agli artt. 116 e 184 cod.
proc. civ., agli artt. 2043 e 2059 cod. civ., nonché
insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto
decisivo della controversia.

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l’allentamento delle cinture medesime.

Rilevano i ricorrenti che la Corte di merito avrebbe
errato nel respingere la richiesta di rinnovo della c.t.u.
medico-legale sulla persona del trasportato e nel disattendere
le conclusioni del c.t. di parte secondo cui fra i postumi
dell’evento non poteva rientrare anche l’epatite post-

3.1. Il motivo non è fondato.
Secondo pacifica giurisprudenza di questa Corte, spetta al
giudice di merito la valutazione circa l’attendibilità,
maggiore o minore, da attribuire alle conclusioni del c.t.u.,
come pure ogni decisione circa l’opportunità di un rinnovo
della consulenza stessa.
Nel caso specifico la Corte territoriale, con una
motivazione impeccabile e sostenuta da un’accurata
ricostruzione dell’elaborato peritale, è pervenuta a due
conclusioni: l) che il danno visivo riportato dall’Arici era
da ritenere stabilizzato, per cui le osservazioni critiche del
c.t. di parte circa la possibilità di ulteriori miglioramenti
(con conseguente riduzione del danno risarcibile) non andavano
oltre la configurazione di «osservazioni generiche e
superficiali formulate prescindendo da ogni specifico
riferimento alla concreta realtà del caso trattato»; 2) che,
essendo state somministrate al danneggiato ben tre trasfusioni
di sangue nei giorni immediatamente successivi all’incidente
(2, 3 e 4 settembre, essendo avvenuto l’incidente il 30 agosto
11

trasfusionale contratta dall’Arici.

precedente), egli ben poteva avere contratto in tal modo
l’epatite post-trasfusionale a lui successivamente
diagnosticata.
A fronte di simile ricostruzione, è evidente che le
censure prospettate nel motivo in esame non vanno oltre il

la solidità della motivazione della sentenza in esame.
4. Col quarto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi
dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione di legge in riferimento agli artt. 116 e 184 cod.
proc. civ., agli artt. 2043 e 2056 cod. civ., nonché
insufficiente o contraddittoria motivazione su di un punto
decisivo della controversia.
Con tale motivo si sollecita una nuova definizione del
quantum risarcitorio.
4.1. Il motivo è inammissibile, mancando al riguardo la
formulazione di un qualsivoglia quesito di diritto. D’altra
parte, è appena il caso di osservare che il rigetto dei
precedenti motivi porta ad escludere con certezza che la Corte
d’appello abbia commesso errori nella determinazione
dell’entità del risarcimento del danno.
5.

Col quinto motivo di ricorso si lamenta, ai sensi

dell’art. 360, primo comma, n. 3) e n. 5), cod. proc. civ.,
violazione di legge in riferimento agli artt. 183, 184 e 345

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grado di un’assoluta genericità, del tutto inidonea a scalfire

cod. proc. civ., nonché insufficiente o contraddittoria
motivazione su di un punto decisivo della controversia.
Rilevano i ricorrenti che la domanda di responsabilità per
mala gesti°

doveva ritenersi ricompresa nella domanda di

garanzia formulata nei confronti dell’assicuratore, sicché non

5.1. Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata ha spiegato che i danneggianti non
avevano formulato nel giudizio di primo grado alcuna domanda
nei confronti della loro società di assicurazione, non
lasciando neppure intuire che vi potesse essere una qualche
responsabilità della stessa conseguente al ritardo col quale
l’infortunato fu risarcito. Soltanto con una successiva
memoria, depositata in data 24 marzo 1999, a fronte di un
giudizio cominciato nel 1990, la contestazione di mala gesti°
fu effettivamente avanzata nei confronti della società di
assicurazione Alpi, la quale non accettò il contraddittorio
sulla domanda nuova.
Ora, trattandosi nel caso di specie di un’ipotesi di c.d.
mala gestio

propria – ossia relativa ai rapporti tra

l’assicuratore e l’assicurato danneggiante – la Corte
bresciana ha correttamente deciso nel senso di ritenere che
fosse necessaria una specifica domanda, non potendo ritenersi
sufficiente la semplice domanda di garanzia. In tal senso,
infatti, si è pronunciata più volte anche questa Corte, la
13

poteva considerarsi domanda nuova nel giudizio di primo grado.

quale ha affermato che nel caso di

mala gestio propria il

fondamento della responsabilità risiede nella violazione, da
parte dell’assicuratore, dell’obbligo di comportarsi secondo
buona fede, violazione che determina un obbligo conseguente, a
carico dell’assicurato, di pagare somme più elevate rispetto a

gestione del rapporto di assicurazione,

con pagamento

tempestivo di quanto dovuto. Ma proprio perché si tratta di
una domanda che si fonda su di un inadempimento contrattuale,
l’assicurato è tenuto a formulare una specifica domanda, con
allegazione e prova dei comportamenti che ne costituiscono il
fondamento (così, da ultimo, la sentenza 28 giugno 2010, n.
15397, ribadita dalla successiva sentenza 12 settembre 2011,
n. 18649; ma nei medesimi termini era già la sentenza 4
febbraio 2005, n. 2276, citata dalla Corte bresciana).
La decisione della Corte d’appello, dunque, non merita
alcuna censura sotto questo profilo.
6. In conclusione, il ricorso è rigettato.
A tale esito segue la condanna dei ricorrenti in solido
alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal
decreto ministeriale 20 luglio 2012, n. 140, sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
PER QUESTI MOTIVI

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quelle che avrebbe dovuto sborsare in caso di corretta

La Corte

rigetta

il ricorso e

condanna

i ricorrenti in

solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione,
liquidate in complessivi euro 10.200, di cui euro 200 per
esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza

Sezione Civile, il 20 gennaio 2014.

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