Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5795 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. III, 10/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5795

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MIRIA MAGLIA SNC IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ZANARDELLI 16/20, presso lo studio dell’avvocato SPARANO GIUSEPPE,

(Associazione Giustizia e Societa’ – Osservatorio per l’Europa) che

la rappresenta e difende, giusta mandato speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.P.M., D.P.B.F., D.P.P.,

P.R.;

– intimati –

nonche’ da:

D.P.B.F., in proprio e quale erede della signora

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’Avvocato

MANZIONE DOMENICO, giusta mandato in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

D.P.P., P.R., D.P.M., MIRIA

MAGLIA SNC IN LIQUIDAZIONE;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1681/2008 del TRIBUNALE di AVELLINO,

depositata il 22/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito l’Avvocato Sparano Giuseppe difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che si riporta alla relazione scritta.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso 9 marzo 2007 D.P.P., D.P.B. F., D.P.M. e P.R. hanno chiesto al tribunale di Avellino l’annullamento del precetto, con conseguente atto di pignoramento immobiliare per la somma di Euro 529.752,10 loro intimato dalla Miria Maglia s.n.c. in forza di sentenza n. 1833/04 del tribunale di Salerno.

La Miria Maglia s.n.c. ha resistito alla avversa opposizione deducendone la infondatezza e chiedendo la condanna di controparte ai sensi dell’art. 96 c.p.c..

Svoltasi la istruttoria del caso, l’adito tribunale con sentenza 22 ottobre 2008 in parziale accoglimento della opposizione ha annullato l’atto di pignoramento relativamente alla somma di Euro 6795,25, compensate tra le parti le spese di lite.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso, affidato a due motivi e illustrato da memoria, con atto 10 febbraio 2009 e date successive la Miria Maglia s.n.c..

Resistono con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un motivo e notificato il 27 marzo 2009 e date successive D.P. B.F., in proprio e quale erede di P.R..

In margine a tale ricorso – proposto contro una sentenza pubblicata successivamente al 2 marzo 2006 e, quindi, soggetto alla disciplina del processo di Cassazione cosi’ come risultante per effetto dello modifiche introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – e’ stata depositata relazione (ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.) perche’ il ricorso sia deciso in Camera di consiglio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

2. La relazione depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., precisa, nella parte motiva:

2. I vari ricorsi, avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

3. La ricorrente principale censura la sentenza impugnata, denunziando:

– da un lato, “violazione e falsa applicazione di norme di diritto, art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 115 e 116 c.p.c., all’art. 6 CEDU per evidente mancanza di equita’ nella decisione giudiziaria assunta, nonche’ all’art. 111 Cost.”, atteso che il tribunale, dopo avere esattamente respinto tutte le argomentazioni poste dagli opponenti, cade in grave errore di diritto in ordine alla parte che aveva provveduto a pagare le spese per la registrazione della sentenza e nel compensare le spese di lite nonche’ omettendo di condannare controparte a norma dell’art. 96 c.p.c.. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. sottopone parte ricorrente all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: nel caso di decisione di merito a seguito di conclusioni rese ex art. 281 sexies c.p.c. la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione esclude o meno il dovere del giudicante di motivare la sentenza anche sul confronto della documentazione dell’opponente con quella offerta dalla parte opposta? (primo motivo);

– dall’altro “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3 in relazione agli artt. 88, 96, 92 c.p.c. e all’art. 116 c.p.c., comma 2, nonche’ art. 2043 c.c.)”, atteso che la sentenza impugnata non indica alcuna norma di diritto e comunque non menziona gli art. 88 e 96 c.p.c., norme espressamente richiamate nelle comparsa di costituzione e di risposta dalla opposta, nonche’ ancora una volta invocate in sede di conclusione di discussione orale in udienza. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto:

ad evitare che nelle azioni giudiziarie parti e/o difensori tentino in un modo o nell’altro di confondere il magistrato inducendolo in errore invece di aiutarlo a prendere una giusta ed equa decisione il testo novellato dell’art. 111 Cost. rende applicabile (o meno) di ufficio l’art. 88 c.p.c., in combinato disposto o meno con l’art. 96 c.p.c. norme la cui interpretazione a farsi, anche disgiuntamente, potrebbe nel caso affermativo essere eseguita in maniera costituzionalmente orientata? (secondo motivo).

Il ricorrente incidentale, per suo conto denunzia la sentenza impugnata lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 2697 c.c.. art. 447 c.p.c.; art. 459 c.c., art. 102 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, quanto alla affermazione, contenuta in sentenza secondo cui P.R., secondo la quale la stessa “risulta per espressa ammissione nonche’ per la documentazione in atti, la moglie vedova di D.P.L., come tale erede legittima”. Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. parte ricorrente incidentale sottopone all’esame di questa Corte il seguente principio di diritto: dica la Suprema Corte di cassazione adita se contestualmente alla morte di un congiunto, nel caso di specie del coniuge, il coniuge superstite acquista contestualmente la qualita’ di erede pura e semplice senza alcuna manifestazione di volonta’ di esserlo; dica la Suprema Corte di cassazione adita se colui che agisce in giudizio per il pagamento di debiti del de cuius e’ onerato a provare la qualita’ di erede dei convenuti o se tale qualita’ puo’ essere semplicemente presunta.

4. Tutti i riassunti motivi paiono inammissibili.

4.1. In primis si osserva che tutte le censure – articolate dalla ricorrente principale come dal ricorrente incidentale – sono inammissibili perche’ non investono quella che e’ – con riguardo alle varie statuizioni censurate – la reale ratio decidendi della sentenza impugnata:

Infatti:

– quanto all’accoglimento, parziale, della opposizione, la sentenza impugnata ha accertato – in linea di fatto – sulla base dei documenti in atti, che la parte opponente aveva dato la prova di avere pagato, in data 7 giugno 2006, per la registrazione della sentenza 17 giugno 2004 del tribunale di Salerno, la somma di Euro 6805,59;

– in punto rigetto della “domanda di risarcimento per responsabilita’ aggravata avanzata dalla parte opposta” ha osservato in conformita’ a piu’ che costante giurisprudenza di questa Corte regolatrice, cfr.

Cass. 9 settembre 2003, n. 13191; Cass. 7 agosto 2002, n. 11917;

Cass. 2 marzo 2001, n. 3035 che la pretesa non poteva essere accolta poiche’ manca il presupposto primario che e’ quello della soccombenza totale;

– in ordine, infine, alla qualita’ di erede del debitore della P.R., la sentenza ha fatto presente essere, pacifico, in base alla documentazione in atti che la stessa era la moglie vedova non separata con addebito del defunto si’ che doveva ritenersi, in assenza della dimostrazione – da darsi palesemente da lei e non certamente dalla controparte – della rinuncia alla eredita, erede legittima del defunto (cfr.., tra le tantissime, nel senso che in tema di successione legittima, il rapporto di parentela con il de cuius a norma dell’art. 565 c.c. quale titolo che conferisce la qualita’ di erede, deve essere provato tramite gli atti dello stato civile, Cass. 29 marzo 2006, n. 7276, nonche’ per il rilievo che in tema di successione legittima non e’ necessario altro titolo, per la vocazione ereditaria, che la qualita’ di erede legittimo da provarsi in forma documentale mediante gli atti dello stato civile, Cass. 4 maggio 1999, n. 4414 e Cass. 12 luglio 2005, n. 14605).

Pacifico quanto sopra, e non controverso, che i ricorrenti (principale e incidentale) si astengono totalmente dal censurare detti accertamenti, in fatto, compiuti dalla sentenza di merito e i principi di diritto che sorreggono le conclusioni raggiunte, e’ evidente, gia’ sotto tale profilo, la inammissibilita’ dei ricorsi.

4.2. Anche a prescindere da quanto sopra si osserva – comunque – che i quesiti formulati ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. a conclusione dei motivi non sono conformi al modello legislativo.

Dispone l’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 G.U. n. 38 del 15 febbraio 2006, s.o. n. 40 – che nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), la illustrazione di ciascun motivo si deve concludere a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto e che nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

In margine al sopra trascritto 366 bis c.p.c. costituiscono – al momento – presso una piu’ che consolidata giurisprudenza di legittimita’, diritto vivente le seguenti proposizioni:

– il quesito di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c. (nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1, 2, 3 e 4) deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;

– in altri termini, la Corte di cassazione deve poter comprendere dalla lettura dal solo quesito, inteso come sintesi logico giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice del merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare;

– la ammissibilita’ del motivo, in conclusione, e’ condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta e autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (in termini, ad esempio, Cass., sez. un., 25 novembre 2008, n. 28054);

– nel caso di violazioni denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 1), 2), 3), e 4) il motivo del ricorso per Cassazione deve concludersi con la separata e specifica formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimita’, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame;

– non puo’ ritenersi sufficiente il fatto che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso ne’ che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie, perche’ una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma di cui all’art. 366 bis c.p.c., secondo cui e’, invece, necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la Corte e’ chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, oltre all’effetto deflattivo del carico pendente, ha inteso valorizzare, secondo quanto formulato in maniera esplicita nella Legge Delega 14 maggio 2005, n. 80, art. 1, comma 2, ed altrettanto esplicitamente ripreso nel titolo stesso del decreto delegato sopra richiamato;

– in tal modo il legislatore si propone l’obiettivo di garantire meglio l’aderenza dei motivi di ricorso (per violazione di legge o per vizi del procedimento) allo schema legale cui essi debbono corrispondere, giacche’ la formulazione del quesito di diritto risponde alla esigenza di verificare la corrispondenza delle ragioni del ricorso ai canoni indefettibili del giudizio di legittimita’, inteso come giudizio d’impugnazione a motivi limitati (Cass. 25 novembre 2008, nn. 28143 e 28145, rese in fattispecie identiche alla presente a nella quale, ha osservato la S.C., le prescrizioni dettate dall’art. 366 bis c.p.c. citato sono state disattese, non essendo stato formulato il quesito di diritto e non potendo l’adempimento dell’onere gravante sul ricorrente ritenersi ottemperato, come si e’ detto, attraverso le argomentazioni formulate in sede di esposizione del motivo);

– qualora si denunzi la sentenza impugnata sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 il motivo di ricorso per Cassazione e’ inammissibile allorquando il ricorrente non indichi – espressamente e separatamente rispetto alla parte espositiva del motivo – le circostanze rilevanti ai fini della decisione, in relazione al giudizio espresso nella sentenza impugnata (Cass., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11652);

– allorche’ nel ricorso per Cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).

Pare evidente, alla luce della sopra richiamata giurisprudenza la inammissibilita’ – gia’ anticipata sopra – del proposto ricorso sotto il profilo della non corrispondenza al modello delineato nell’art. 366 bis c.p.c. dei quesiti di diritto che concludono i vari motivi.

Infatti:

– i quesiti di diritto, in alcun modo riferibili alla fattispecie concreta, si risolvono in una serie di affermazioni puramente astratte e non idonee a consentire la cassazione della sentenza impugnata;

– non esiste alcuna relazione ne’ tra le censure svolte nei vari motivi e la motivazione della sentenza impugnata, ma neppure tra i vizi asseritamente lamentati nei vari motivi e i quesiti che li concludono (in particolare, quanto al primo motivo del ricorso principale, si osserva che mentre nella rubrica del motivo di prospetta una violazione di norme di diritto sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, nel quesito si formula una censura sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, con riguardo a una circostanza decisione di merito a seguito di conclusioni ex art. 281 sexies c.p. e mai esposta nella parte motiva del motivo stesso, mentre quanto al secondo dello stesso ricorso principale lo stesso e’ stato formulato totalmente prescindendo dalla sentenza impugnata e dalla motivazione da questa addotta a sostegno del rigetto della domanda di danni e a conclusione del ricorso incidentale sono formulati quesiti puramente astratti che prescindono totalmente dalla fattispecie all’esame del tribunale di Avellino).

3. Ritiene il Collegio di dovere fare proprio quanto esposto nella sopra trascritta relazione.

Le repliche alla stessa, infatti, contenute nella memoria ex art. 378 c.p.c. di parte ricorrente principale non colgono in alcun modo nel segno.

In primis le stesse non censurano la parte centrale della relazione, nella quale si e’ evidenziata la inammissibilita’ del ricorso principale perche’ non investe la reale ratio decidendi della pronunzia impugnata.

In secondo luogo le critiche ivi esposte non giustificano un superamento delle considerazioni svolte nella relazione – sopra trascritte – e della pacifica giurisprudenza ivi ricordata, quanto alle modalita’ di redazione del ricorso per Cassazione nel rispetto del precetto dell’art. 366 bis c.p.c..

Da ultimo, infine, non puo’ tacersi che nel giudizio civile di legittimita’, con le memorie di cui all’art. 378 c.p.c., destinate esclusivamente ad illustrare e chiarire le ragioni gia’ compiutamente svolte con l’atto di costituzione ed a confutare le tesi avversarie, non e’ possibile specificare od integrare, ampliandolo, il contenuto delle originarie argomentazioni che non fossero state adeguatamente prospettate o sviluppate con il detto atto introduttivo, e tanto meno, per dedurre nuove eccezioni o sollevare nuove questioni di dibattito, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facolta’ di replica (Casa., sez. un., 15 maggio 2006, n. 11097; Cass. 28 agosto 2007, n. 18195).

Nella specie, per contro, per la prima volta nella memoria ex art. 378 c.p.c. la ricorrente principale invoca l’errore di fatto compiuto dalla sentenza impugnata per avere accertato – in contrasto con le risultanze di causa, a suo soggettivo parere – che la parte opponente ha dato prova di avere pagato la registrazione della sentenza.

Tale argomentazione e’ inammissibile sotto un duplice profilo.

Da una parte – infatti – la stessa introduce con la memoria, in ispregio del precetto di cui all’art. 378 c.p.c., un nuovo motivo di ricorso, dall’altra, censura la sentenza impugnata con una deduzione che – se del caso – doveva essere fatta valere innanzi al giudice che ha emesso la sentenza impugnata con il rimedio di cui all’art. 395 c.p.c. e non, certamente, con ricorso per Cassazione (cfr. Cass. 9 gennaio 2007, n. 213; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14100; Cass. 18 gennaio 2006, n. 830; Cass. 30 novembre 2005, n. 26091).

Entrambi i proposti ricorsi, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibili, con compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione, stante, in questo, la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimita’.

Cosi’ deciso in Roma, nella camera di Consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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