Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5794 del 10/03/2010

Cassazione civile sez. III, 10/03/2010, (ud. 28/01/2010, dep. 10/03/2010), n.5794

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

IL PALAZZO SRL, in persona del suo legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 82, presso lo

studio dell’avvocato IANNOTTA GREGORIO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato IANNOTTA SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.L., titolare dell’azienda agricola eredi di Cereda A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MINELLA MARI, giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2075/2008 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

17/06/08, depositata l’08/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

28/01/2010 dal Consigliere Relatore Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito l’Avvocato Torresi Tullia, (delega avvocato Iannotta

Salvatore), difensore della ricorrente che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Coglitore Emanuele, (delega avvocato Luigi Manzi),

difensore del controricorrente che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. SCARDACCIONE Eduardo

Vittorio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 10 dicembre 2001 C.L., titolare della azienda agricola Eredi di A. Cereda ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale di Lecco la Palazzo s.r.l., chiedendo venisse dichiarato l’intervenuto trasferimento, in suo favore, della proprieta’ del terreno in comune di (OMISSIS), in mappa al n. (OMISSIS), acquistato dalla societa’ attrice il (OMISSIS) dalla Phoenix s.n.c. unitamente a una villa con annesso parco e giardino.

Ha esposto l’attore che avuta notizia del trasferimento esso concludente in data 26 ottobre 1999 aveva fatto valere il proprio diritto di riscatto agrario in quanto affittuario coltivatore diretto del fondo in discussione, offrendo il prezzo di L. 100 milioni, indicato nell’atto notarile di acquisto e che la societa’ convenuta aveva aderito al riscatto si’ che le parti avevano sottoscritto un documento – in data 21 marzo 2000 – con il quale da un lato avevano dato atto dell’esercitato riscatto, dall’altro, della acquiescenza della convenuta, da ultimo, previsto di perfezionare il trasferimento a mezzo atto notarile entro il (OMISSIS).

Poiche’, peraltro, ha riferito ancora l’attore, detto atto pubblico non era stato perfezionato, si rendeva necessario il presente giudizio.

Costituitasi in giudizio la s.r.l. Palazzo ha resistito alla domanda avversaria deducendone la infondatezza e spiegando, altresi’, in via riconvenzionale, domanda di annullamento ex art. 1429 c.c. della scrittura privata (OMISSIS) perche’ aveva aderito alla domanda di riscatto sull’erroneo convincimento che il C. fosse titolare del diritto di prelazione di legge.

Svoltasi la istruttoria del caso l’adito tribunale con sentenza 11 agosto 2004 ha accolto la domanda attrice e dichiarato, per l’effetto, che il C. era divenuto, a tutti gli effetti – con efficacia retroattiva al 6 agosto 1999 – proprietario del mappale (OMISSIS) in sostituzione della Palazzo s.r.l..

Gravata tale pronunzia, in via principale, dalla Il Palazzo s.r.l. e, in via incidentale, dal C., la Corte di appello di Milano con sentenza 17 giugno – 8 luglio 2008 ha rigettato entrambi gli appelli.

Per la cassazione di tale ultima sentenza, notificata il 20 ottobre 2008 ha proposto ricorso, con atto 27 gennaio 2009 e date successive la s.r.l. Il Palazzo, affidato a due motivi e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso, pur esso illustrato da memoria, C. L., titolare della azienda agricola eredi di A. Ceresa, eccependo, in limine, la inammissibilita’ – per tardivita’ – del ricorso avversario.

Disposta, inizialmente, la trattazione del ricorso con il rito di cui all’art. 375 c.p.c., la causa e’ stata, successivamente, trattata in pubblica udienza.

La difesa della ricorrente ha depositato note di udienza ai sensi dell’art. 379 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La invocata inammissibilita’ – per tardivita’ -del ricorso, non sussiste.

Alla luce della piu’ recente giurisprudenza di questa Corte regolatrice, anche a Sezioni Unite, infatti, deve ribadirsi, ulteriormente, che in tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facolta’ e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avra’ effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreche’ la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie (Cass., sez. un., 24 luglio 2009, n. 17352).

Facendo applicazione, del riferito principio al caso di specie si osserva che nella specie:

– la sentenza di appello e’ stata notificata al procuratore della “Il Palazzo s.r.l.” il 20 ottobre 2008;

– in data 17 dicembre 2008 – e, quindi, nei termini – vi e’ stato un primo tentativo di notifica a mezzo posta non andato a buon fine (risultando sconosciuto in (OMISSIS), il destinatario del piego, avv. M.C.);

– un secondo tentativo di notifica del piego allo stesso destinatario, avv. M.C., allo stesso indirizzo ((OMISSIS)) peraltro e’ andato a buon fine – mediante consegna a mani del destinatario che non risulta abbia in epoca recente trasferito il proprio studio da (OMISSIS) in data 28 gennaio 2009.

E’ evidente, pertanto, in accoglimento del principio di cui sopra che deve aversi riguardo – ai fini della tempestivita’ (o meno) del ricorso alla data in cui il notificante ha attivato il procedimento notificatorio, mediante la consegna la prima volta del piego all’Ufficiale giudiziario, risultando, nel caso concreto, la mancata notifica in alcun modo riferibile a difetto di diligenza della parte che aveva chiesto la notifica e che, puntualmente, in termini ragionevoli, preso atto della mancata ricezione del piego da parte del destinatario, si e’ attivata sia per la verifica del reale domicilio del difensore di controparte chiedendo al Consiglio dell’ordine di appartenenza dell’avv. M. quale fosse l’indirizzo del suo studio professionale, sia per il buon esito della notificazione.

2. Nel merito si osserva che assumendo la s.r.l. Il Palazzo la inefficacia dell’acquisto – a seguito dell’esercitato diritto di riscatto – del fondo in discussione da parte del C. atteso che costui non aveva provveduto al pagamento del corrispettivo pattuito (L. cento milioni) entro il termine di legge e, cioe’, entro il trimestre successivo alla data in cui essa retrattata aveva aderito – con la sottoscrizione del documento (OMISSIS) – alla domanda di riscatto, la Corte di appello ha disatteso un tale assunto evidenziando che nella specie le parti avevano espressamente previsto che il pagamento avvenisse al momento della riproduzione in un rogito notarile della dichiarazione di assenso al riscatto agrario, e – quindi – nel caso concreto, non essendosi detto rogito perfezionato il termine per il pagamento non era ancora decorso.

3. La ricorrente censura la riassunta sentenza denunziando, con il primo motivo:

– da un lato”violazione e falsa applicazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 6 come interpretato dall’articolo unico della L. n. 2 del 1979: art. 360 c.p.c., n. 3″;

– dall’altro “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 329 c.p.c. e dei principi che disciplinano la formazione e gli effetti del giudicato interno: art. 360 c.p.c., n. 3”.

Formula al riguardo la ricorrente – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. – i seguenti quesiti:

1. dica la Corte se la clausola con cui si prevede, in tema di prelazione agraria, il pagamento del prezzo alla data di stipulazione del contratto definitivo possa essere considerato termine diversamente pattuito ai sensi della L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 6;

2. dica la Corte se il passaggio in giudicato della sentenza, nella parte in cui riconosce la sussistenza del diritto di prelazione e dichiara la valida acquisizione della proprieta’ dell’affittuario coltivatore diretto per effetto della dichiarazione di riscatto, comunicato al retrattato, determini, comunque, dalla data di passaggio in giudicato di tale statuizione, la decorrenza del termine trimestrale di pagamento del prezzo, nella misura convenuta in precedenza, L. n. 590 del 1965, ex art. 8 come integrato dalla L. 8 gennaio 1979, n. 2, art. unico.

4. Il riferito motivo non puo’ trovare accoglimento.

Lo stesso, infatti, e’ – per piu’ versi – inammissibile, per altri, manifestamente infondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

4.1. Come assolutamente pacifico, a seguito del D.Lgs. n. 40 del 2006 e’ inammissibile il motivo di ricorso per Cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o che sia comunque assolutamente generico, dovendosi assimilare un quesito inconferente alla mancanza di quesito (Cass. 3 ottobre 2008, n. 24578).

Come ripetutamente affermato da questa Corte regolatrice (tra le tantissime, cfr. Cass. 23 luglio 2008 n. 2360), inoltre:

– i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis c.p.c. rispondono alla esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui e’ pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con piu’ ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie;

– il quesito di diritto costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimita’;

– ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso deve consentire l’individuazione del principio di diritto che e’ alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del diverso principio la cui auspicata applicazione ad opera di questa Corte di Cassazione possa condurre ad una decisione di segno diverso;

– il quesito deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata;

– non possono proporsi motivi cumulativi e, comunque, che si concludano con un quesito che non permetta di riferirlo in modo chiaro ed univoco ad uno di essi e che non evidenzi l’elemento strutturale della norma che si assume violata, non consistendo in una chiara sintesi logico – giuridica della questione sottoposta, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa o affermativa – che a esso si dia, discenda un modo univoco l’accoglimento o il rigetto del gravame.

Pacifico quanto precede e’ evidente che i quesiti sopra trascritti non solo non permettono di ricostruire quale sia stata la regula iuris applicata dalla Corte di appello di Milano, nel risolvere la controversia, ma neppure consentono di individuare quale sia la regula di cui questa Corte dovrebbe fare applicazione al fine di pervenire alla cassazione della sentenza impugnata.

In buona sostanza parte ricorrente, in termini assolutamente apodittici e totalmente prescindendo dai precetti introdotti, quanto al giudizio di cassazione, dal D.Lgs. n. 40 del 2006, si limita a formulare quesiti assolutamente generici, denunciando – in buona sostanza – che l’esito della lite e’ stato diverso da quello da essa auspicata, per avere i giudici di merito violato gli articoli indicati nei vari motivi (cfr. Cass., sez. un., 2 dicembre 2008, n. 28547, nonche’ Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, in motivazione).

4.2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, il motivo in esame – come sopra anticipato – e’ oltre che inammissibile alla luce delle considerazioni svolte sopra manifestamente infondato.

La L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 6 – in particolare – prevede che ove il diritto di prelazione sua stato esercitato il versamento del prezzo di acquisto deve essere effettuato entro i termine di tre mesi decorrenti… salvo che non sia diversamente pattuito tra le parti.

Quel diversamente pattuito – palesemente – a giudizio di questa Corte fa riferimento non solo alla eventualita’ il preliminare di vendita, trasmesso all’avente diritto alla prelazione, preveda termini diversi per il pagamento del corrispettivo ma anche – come ritenuto nella specie dai giudici a quibus – alla eventualita’ che il colui che ha esercitato la prelazione (nella specie, il C.) e colui che la ha subita (nella specie, la s.r.l. Il Palazzo) si accordino diversamente, rispetto alla previsione di legge.

Certo quanto sopra si osserva che nella specie i giudici del merito hanno accertato, in linea di fatto, interpretando le risultanze di causa, che, una volta esercitato riscatto da parte del C., nei confronti della s.r.l. Il Palazzo che in violazione del diritto di prelazione di legge spettante al primo aveva acquistato i cespiti per cui e’ controversia le parti (cioe’ il C. e la s.r.l. Il Palazzo) si erano accordate nel senso che il prezzo sarebbe stato corrisposto dal primo alla seconda al momento della traslazione in rogito notarile della dichiarazione di assenso al riscatto agrario.

Certo quanto precede e’ palese l’irrilevanza e la non pertinenza, al fine del decidere, di tutte le considerazioni svolte nel primo motivo al fine di censurare la sentenza impugnata, per non avere dichiarato la decadenza del C. per non avere lo stesso corrisposto il corrispettivo del caso nel termine di tre mesi di cui al comma 6 della L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8.

4.3. Nella specie – comunque – il giudizio non e’ stato promosso dalla Palazzo s.r.l. che si doleva del rifiuto del C. di corrispondere il corrispettivo convenuto o di sottoscrivere il rogito notarile, trascorso inutilmente il termine convenzionalmente previsto per l’erezione del rogito notarile della dichiarazione di assenso al riscatto agrario (nella quale eventualita’ le censure svolte negli scritti difensivi di parte ricorrente avrebbero, in tesi, potuto avere un qualche spessore) ma dal C..

Questo ultimo, infatti, evocando in giudizio la s.r.l. Il Palazzo, ha denunziato il rifiuto della controparte, di stipulare l’atto notarile.

In giudizio la PALAZZO s.r.l. ha resistito alla domanda avversaria svolgendo in primis domanda riconvenzionale di annullamento ex art. 1429 c.c. della scrittura privata di acquiescenza sottoscritta il (OMISSIS) perche’ l’adesione al diritto di riscatto da parte della societa’ sarebbe stata fondata sull’erroneo convincimento della titolarita’ del diritto di prelazione agraria da parte del C..

Con tali difese la convenuta ha negato – palesemente – che il C. potesse esercitare il diritto di prelazione e, quindi, quello di riscatto.

E’ evidente, pertanto – “essendo sorta contestazione” sul diritto del C. di riscattare il fondo – che quanto alla decorrenza del termine per il pagamento del corrispettivo da parte del C. non poteva non trovare applicazione il puntuale disposto di cui alla L. 8 gennaio 1979, n. 2, art. unico, comma 2.

In particolare, pacifico che tutte le difese svolte dalla convenuta il Palazzo s.r.l. in primo grado al fine di dimostrare che non sussisteva il diritto di prelazione (ne’ quello di riscatto) esercitato dal C. sono state disattese in primo grado e pacifico – altresi’ – che la soccombente Palazzo s.r.l., anziche’ prestare adesione a tale statuizione (con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del primo giudizio e inizio del decorso del termine di cui alla L. n. 2 del 1979) ha impugnato tale sentenza, ulteriormente negando il diritto del C. di riscattare il fondo, non si comprende come possa invocarsi che – in realta’ – si e’ formato, dopo la sentenza di primo grado, il giudicato sul diritto del C. al riscatto e che costui era onerato dall’onere di versare il corrispettivo del caso corrispettivo nel corso del giudizio di primo grado sempre rifiutato dalla Palazzo s.r.l. sul rilievo della nullita’ dell’atto di adesione della stessa Palazzo alla domanda di riscatto proposta da controparte.

In realta’ il giudicato sul diritto di riscatto del C. non si e’ formato per effetto della sentenza di primo grado, certo essendo che la stessa e’ stata fatto oggetto di appello sia principale (da parte della Palazzo s.r.l.) che incidentale (da parte del C.), ne’, tantomeno, come pure si adombra, per effetto della sentenza di secondo grado, certo che quest’ultima e’ stata censurata dalla soccombente Palazzo s.r.l..

Correttamente, pertanto, i giudici di appello hanno ritenuto – avendo contestato la parte retrattata il diritto del retraente a procedere a riscatto – che deve trovare applicazione la L. 8 gennaio 1979, n. 2 e che, per l’effetto, il termine per il pagamento del prezzo iniziera’ a decorrere esclusivamente dal passaggio in giudicato della sentenza che tale diritto ha accettato (cioe’ a seguito del rigetto del ricorso proposto in questa sede dalla Il Palazzo s.r.l. per conseguire la cassazione delle sentenze di merito che hanno accolto la domanda principale del C. con rigetto di quella riconvenzionale).

5. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia omessa e contraddittoria motivazione su un fatto controverso decisivo per il giudizio: art. 360 c.p.c., n. 5, stante la succinta motivazione e l’omessa valutazione del contenuto e dei limiti dell’appello.

6. Il motivo e’ inammissibile.

Si osserva che questa Corte – alla stregua della stessa letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c., – e’ fermissima nel ritenere che a seguito della novella del 2006 nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5 allorche’, cioe’, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.

Cio’ importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (cfr., ad esempio, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603).

Al riguardo, ancora e’ incontroverso che non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte, del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata.

Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorche’ nel ricorso per Cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (In termini, ad esempio, Cass. 7 aprile 2008, n. 8897), non controverso che nella specie i motivi sopra ricordati, formulati ex art. 360 c.p.c., n. 5, sono totalmente privi di tale indicazione, e’ palese che deve dichiararsene la inammissibilita’ (in argomento, tra le tantissime, Cass. 13 maggio 2009, n. 11094, cit. in motivazione).

7. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite di questo giudizio di cassazione, liquidate in Euro 200,00, oltre Euro 5.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2010

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