Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5791 del 13/03/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5791 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: ROSSETTI MARCO

SENTENZA
sul ricorso 9126-2008 proposto da:
DIECI

GIANCARLO

DCIGCR31C11F205P,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA SABOTINO 46, presso lo studio
dell’avvocato ROMANO GIOVANNI, rappresentato e difeso
da se medesimo;
– ricorrente 2013
2483

contro

ALLIANZ RAS SPA 00128430329;
– intimati

avverso la sentenza n. 385/2007 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 13/02/2007 R.G.N. 1186/04;

1

Data pubblicazione: 13/03/2014

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 18/12/2013 dal Consigliere Dott. MARCO
ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. AURELIO GOLIA che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso.

2

R.G.N. 9126/08
Udienza del 18 dicembre 2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. L’avvocato Giancarlo Dieci nel 1989 stipulò con la società RAS s.p.a. una
polizza assicurativa a copertura della propria responsabilità professionale.
Il 9 dicembre 1996, nella vigenza della suddetta polizza, l’avvocato
Giancarlo Dieci per conto della propria cliente Commissionaria Intertrasporti
s.r.l. propose dinanzi la Corte d’appello di Bologna un appello che la stessa

l’appellante al pagamento delle spese di lite in favore della controparte.

2.

L’avv. Giancarlo Dieci, ammettendo il proprio errore professionale

consistito nella tardiva proposizione del gravame, spontaneamente si accollò
il debito della cliente nei confronti della controparte vittoriosa,
adempiendolo.

3. Il 30.7.1999 l’avv. Giancarlo Dieci chiese al proprio assicuratore della
responsabilità civile, RAS s.p.a., la rifusione delle somme versate per tenere
la cliente indenne dalle conseguenze del proprio errore professionale,
quantificate in lire 8.048.270.
Non avendo l’assicuratore adempiuto, il 30.11.2001 l’avv. Giancarlo Dieci
convenne la RAS s.p.a. dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la
condanna al pagamento dell’indennizzo contrattualmente dovuto.

4. L’assicuratore, costituendosi, allegò di non essere tenuto al pagamento
dell’indennizzo, in virtù della previsione dell’art. 14 delle condizioni generali
di contratto, il quale prevedeva che l’indennizzo fosse dovuto unicamente
“per le richieste di risarcimento presentate per la prima volta all’assicurato
nel corso del periodo di efficacia del contratto”.

5. Il Tribunale di Milano con sentenza 10.9.2003 n. 12453 rigettò la
domanda attorea, ritenendo valida ed efficace la suddetta clausola.
Tale decisione venne confermata dalla Corte d’appello di Milano con
sentenza 13.2.2007 n. 385, ma con motivazione diversa da quella adottata
dal primo giudice.

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Corte, con sentenza del 2.11.1998, giudicò tardivo, condannando

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Udienza del 18 dicembre 2013

La Corte d’appello ritenne infatti che l’indennizzo assicurativo non fosse
dovuto all’avv. Giancarlo Dieci non già perché lo impedisse la clausola sopra
trascritta, ma per la diversa ragione che nella specie l’efficacia del contratto
di assicurazione era spirata ad aprile del 1998, e quindi prima della
sentenza (depositata a novembre 1998) con la quale la Corte d’appello di
Bologna, dichiarando tardivo l’appello proposto dall’avv. Giancarlo Dieci, ne

6. Tale sentenza è stata impugnata per cassazione dall’avv. Giancarlo Dieci,
in base a due motivi.
La società RAS s.p.a. non ha svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo di ricorso l’avv. Giancarlo Dieci lamenta che la
sentenza impugnata sia affetta da un vizio di motivazione, ai sensi dell’art.
360, n. 5, c.p.c..
Espone, al riguardo, che la Corte d’appello ha ravvisato il fatto materiale,
fonte della responsabilità professionale dell’avvocato Giancarlo Dieci, non
già nella proposizione d’un appello quando il termine relativo era scaduto;
ma nella sentenza che, dichiarando quel gravame tardivo, condannò
l’appellante alle spese.
A fondamento di tale motivazione la Corte d’appello osservò che la
proposizione dell’appello a termine scaduto non può costituire il “fatto” che,
ai sensi dell’art. 1917 c.c., fa sorgere la responsabilità dell’avvocato,
giacché il giudizio così introdotto non necessariamente è destinato a
concludersi con una pronuncia di inammissibilità, e tanto meno con una
condanna dell’appellante alla rifusione delle spese processuali sostenute
dall’appellato.
Osserva tuttavia il ricorrente che la motivazione appena riassunta sarebbe
illogica e contraddittoria, giacché una impugnazione tardiva non può avere
altro esito che una pronuncia di inammissibilità, con conseguente condanna
alle spese, ai sensi dell’art. 91 c.p.c..

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aveva fatto sorgere la responsabilità professionale.

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1.2. Il motivo è fondato.
A pag. 4 della propria decisione la Corte d’appello di Milano individua e
delimita la quaestio iuris ad essa devoluta: stabilire se, nell’assicurazione di
responsabilità professionale dell’avvocato, il “fatto” che ex art. 1917 c.c. fa
sorgere la responsabilità dell’assicurato, e quindi l’obbligo indennitario
dell’assicuratore, vada ravvisato nella proposizione d’un appello tardivo,

La sentenza prosegue affermando che la prima ipotesi deve scartarsi,
perché “la proposizione di un’impugnazione ad intervenuta decadenza,
anche se configura un errore professionale, non è né può ancora
considerarsi in sé produttiva di un evento dannoso, potendo nondimeno il
processo seguitone trovare, per accadimenti vari, una conclusione che non
generi un esito siffatto”.
Alla successiva pag. 5 la Corte d’appello, chiamata a stabilire se il “fatto”
produttivo della responsabilità dell’assicurato, per i fini di cui all’art. 1917
c.c., potesse eventualmente ravvisarsi nella richiesta della cliente
dell’avvocato di essere tenuta dalle conseguenze dannose dell’errore
professionale da questi commesso, ha dato risposta negativa al quesito,
soggiungendo che la pronuncia della sentenza di inammissibilità dell’appello
tardivamente proposto dall’avv. Giancarlo Dieci fu

“unica circostanza

necessaria e insieme senz’altro sufficiente (…) a determinare l’insorgenza
concreta dell’obbligazione di garanzia a carico dell’impresa assicuratrice”.
Questa motivazione è, nello stesso tempo, carente per un verso, illogica per
altro verso e contraddittoria sotto un terzo profilo.

1.3. La decisione della Corte d’appello è innanzitutto carente sul piano della
valutazione degli elementi di fatto acquisiti nel corso del giudizio.
Vi si sostiene infatti che la proposizione d’un appello tardivo potrebbe in
teoria concludersi con una pronuncia diversa dall’inammissibilità, e
comunque non necessariamente può essere accompagnata dalla condanna
dell’appellante alla rifusione delle spese di lite alla controparte.
Tale affermazione, che potrebbe condividersi a livello generale, nel caso di
specie andava tuttavia calata nel contesto della concreta fattispecie

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ovvero nel deposito della sentenza che ne dichiara la tardività.

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sottoposta all’esame del giudice di merito, e cioè una fattispecie nella quale
l’avvocato dell’appellante aveva commesso un errore evidente ed
inescusabile d’imperizia, consistito nell’impugnare una sentenza sottoposta
a correzione di errore materiale, facendo decorrere il termine per il gravame
dal deposito del provvedimento correzione anche per i capi non corretti.
La gravità e, soprattutto, l’indiscutibilità

in iure dell’errore commesso

l’esito dell’appello da questi tardivamente proposto.
Pertanto l’affermazione secondo cui l’appello tardivamente proposto poteva
concludersi, “per gli accadimenti più vari”, con una pronuncia diversa dalla
declaratoria d’inammissibilità è innanzitutto una asserzione che non tiene
conto di tutte le specificità del caso concreto.

1.4. La motivazione adottata dalla sentenza impugnata è, in secondo luogo,

illogica rispetto alle premesse da cui la stessa Corte d’appello aveva pur
dichiarato voler muovere.
La Corte d’appello ha infatti affermato, a pag. 4, primo capoverso, della
sentenza impugnata, di volere decidere la questione ad essa sottoposta “in
conformità al solo dettato dell’articolo 1917 primo comma c.c.”, e cioè a
prescindere dall’esistenza d’eventuali clausole contrattuali che derogassero
a tale previsione.
L’art. 1917, comma primo, c.c., come noto stabilisce che “nell’assicurazione
della responsabilità civile l’assicuratore è obbligato a tenere indenne
l’assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il
tempo dell’assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della
responsabilità dedotta nel contratto”.
La Corte d’appello ha quindi affermato che il “fatto accaduto”, in
conseguenza del quale sorge il debito risarcitorio dell’assicurato, nel nostro
caso andasse individuato nella sentenza della Corte d’appello di Bologna, la
quale rigettò il gravame tardivamente proposto dall’avv. Dieci: e ciò sul
presupposto che

“non ogni fatto ingiusto produce un (…) vincolo

obbligatorio, richiedendosi altresì che un evento pregiudizievole si verifichi
in conseguenza del comportamento colposo”.

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dall’avvocato rendeva altissimamente probabile, se non pressoché certo,

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Tale motivazione è illogica perché non trae la debite conseguenze logicogiuridiche dalla premessa da cui pur dichiara di voler muovere.
La Corte d’appello infatti, dopo avere annunciato di volere risolvere la
controversia alla luce del criterio dettato dall’art. 1917 c.c. (e quindi d’una
norma assicurativa), ha individuato il fatto-fonte di responsabilità
dell’assicurato verso il terzo (e quindi dell’obbligo dell’assicuratore verso

dell’avvocato imperito.
In questo modo tuttavia la Corte d’appello ha sovrapposto e confuso il
concetto civilistico di “danno” con quello assicurativo di “rischio”, per
giungere alla conclusione che nell’assicurazione contro i danni (nel cui genus
rientra l’assicurazione di responsabilità civile) non possa esservi
avveramento di rischio assicurativo sino a quando non si sia verificato un
danno civilisticamente risarcibile.

1.5. L’iter logico seguito dalla Corte d’appello tuttavia non considera che il
rischio, elemento essenziale del contratto di assicurazione, non coincide col
concetto di danno.
Prima della stipula il contratto il rischio è la generica esposizione d’un bene
od interesse dell’assicurato ad un pericolo (rischio c.d. extraassicurativo).
Al momento della stipula del contratto il rischio viene calato nelle concrete
delimitazioni previste dalla polizza, ed assume il significato di evento futuro
ed incerto al cui verificarsi l’assicuratore è tenuto al pagamento
dell’indennizzo (rischio assicurato).
Dopo l’eventuale avverarsi dell’evento temuto e descritto nella polizza il
rischio non v’è più ed è sostituito dal “sinistro”, o “rischio avverato”.
Con limitate eccezioni previete dalla legge (ad es., l’art. 514 cod. nav., che
ammette l’assicurabilità del rischio putativo) il rischio dev’essere
rappresentato da un evento futuro ed incerto, a pena di nullità o
scioglimento del contratto (artt. 1895 e 1896 c.c.).
Ai fini della validità del contratto di assicurazione, tuttavia, quel che ha da
essere “futuro” rispetto alla stipula del contratto non è il prodursi del danno
civilisticamente parlando, ma l’avverarsi della causa di esso. Non è infatti

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l’assicurato) nella pronuncia della sentenza di condanna a carico del cliente

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mai consentita l’assicurazione di quel rischio i cui presupposti causali si
siano già verificati al momento della stipula, a nulla rilevando che l’evento e quindi il concreto pregiudizio patrimoniale – si sia verificato dopo la stipula
del contratto, quando l’avveramento del sinistro non rappresenta che una
conseguenza inevitabile di fatti già avvenuti prima di tale momento.
Così, ad esempio, sarebbe nulla ex art. 1895 c.c. per inesistenza del rischio

già insorta, a nulla rilevando che questa divenga oggettivamente visibile
dopo la stipula del contratto; allo stesso modo, sarebbe nulla per
inesistenza del rischio l’assicurazione del credito stipulata da chi abbia
erogato un mutuo a debitore già insolvente, a nulla rilevando che il
fallimento del debitore dell’assicurato sia stato dichiarato dopo la
conclusione del contratto; sarebbe nulla, sempre per la stessa ragione,
l’assicurazione della responsabilità civile stipulata da persona che abbia già
tenuto una condotta illecita, a nulla rilevando che il danno da essa causato
sia destinato a prodursi nel futuro.
Né è rilevante in questa sede affrontare il delicato problema della
derogabilità pattizia di tali princìpi, non essendo tale questione in
discussione nel presente giudizio.
Questo dunque essendo il diritto assicurativo

quo utimur, è evidente

l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata, là dove da un canto
annuncia di volere fare applicazione dell’art. 1917 c.c., e dall’altro ne
individua il presupposto fattuale nella produzione del danno civilistico
derivante dalla condotta dell’assicurato, piuttosto che nell’avveramento dei
presupposti causali del rischio dedotto in contratto.
Che tale motivazione sia irragionevole, del resto, risulta confermato dalla
prova logica della

reductio ad absurdum:

se, infatti, fosse corretta

l’affermazione della Corte d’appello (secondo cui il “fatto accaduto” di cui
all’art. 1917 c.c. coincide con l’avverarsi d’un danno civilistico), si dovrebbe
pervenire all’assurdo che, quando il fatto illecito dell’assicurato causi a terzi
un danno permanente (ad esempio, alla persona), l’assicuratore non
sarebbe mai obbligato a tenere indenne l’assicurato per i danni da questi

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l’assicurazione contro le malattie stipulata da persona in cui la patologia sia

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causati ma maturati a partire dal giorno successivo a quello di scadenza
dell’efficacia del contratto.

1.6. La sentenza impugnata è poi illogica sotto un terzo e rilevante profilo:
quello della coerenza deduttiva.
E’, infatti, canone antico e noto della logica deduttiva quello secondo cui

dell’assioma, del postulato o del dogma, ovvero quando si compie
un’affermazione non suscettibile di dimostrazione razionale: c.d. entimema),
tanto nel caso di contraddittorietà od incoerenza dello svolgimento di quella
tesi, sussistenti quando le conseguenze non siano congrue con le premesse
(come nel caso del paralogismo o falso sillogismo).
Nel nostro caso, la Corte d’appello ha affermato che, al momento in cui l’avv.
Giancarlo Dieci propose il suo tardivo gravame, nessuna sua responsabilità
potesse ipotizzarsi nei confronti del cliente, giacché quel gravame mille e
uno esiti avrebbe potuto avere, diversi dalla pronuncia di inammissibilità.
Giusta o sbagliata che sia tale affermazione nel suo fondo, essa costituisce
comunque esercizio d’un giudizio controfattuale: la Corte d’appello si è
posta infatti idealmente nel momento in cui l’avv. Giancarlo Dieci notificò il
suo atto d’appello dinanzi la Corte d’appello di Bologna, per concludere che
a quella data sarebbe stato non inevitabile l’esito sfavorevole della lite.
Ora, nel momento in cui la Corte d’appello ha ritenuto di risolvere la lite
accertando i fatti sulla base d’un giudizio controfattuale (o prognosi
postuma), avrebbe dovuto coerentemente considerare che la giurisprudenza
di questa Corte di cassazione è ormai da tempo costante nell’affermare che
un evento può ritenersi causato da un altro quando, al momento in cui si
verificò il secondo, il primo ne appariva una conseguenza ragionevolmente
prevedibile, in base al criterio del “più probabile che no” (ex permultis, Sez.
3, Sentenza n. 21255 del 17/09/2013, Rv. 628702; Sez. 3, Sentenza n.
13214 del 26/07/2012, Rv. 623565; Sez. 3, Sentenza n. 15991 del
21/07/2011, Rv. 618880; Sez. 3, Sentenza n. 12686 del 09/06/2011, Rv.
618137).

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“illogicità” si ha tanto nell’ipotesi di inspiegabilità d’una tesi (come nel caso

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Nel nostro caso, la proposizione d’un appello incontestabilmente tardivo
rendeva, al momento stesso della notificazione, “più probabile che non” una
pronuncia di inammissibilità, e parimenti una condanna alle spese, posto
che non si ravvisava causa veruna idonea a giustificarne la compensazione.
La sentenza della Corte d’appello, in conclusione, è illogicamente motivata
nella parte in cui ha da un lato ritenuto di valutare i possibili esiti della

d’appello tardivo, e dall’altro compiuto tale valutazione con criterio diverso
dall’unico applicabile, e cioè quello d’una ragionevole previsione dell’esito
del gravame.

1.7. Infine, ma non da ultimo, la motivazione adottata dalla Corte d’appello
e trascritta al § 1.2 è contraddittoria.
Mentre, infatti, a pag. 4 della sentenza impugnata si afferma che la
condotta illecita dell’assicurato “non è né può ancora considerarsi in sé
produttiva di un evento dannoso”, così chiaramente mostrando di ritenere
che quella condotta sia comunque un presupposto necessario per rendere
operante il contratto di assicurazione della responsabilità civile, alla
successiva pag. 6 arriva ad affermare che la sentenza dichiarativa
dell’inammissibilità dell’appello tardivamente proposto sia
circostanza necessaria ed insieme sufficiente”

“l’unica

a determinare il sorgere

dell’obbligo indennitario dell’assicuratore.
Conclusione che contraddice la premessa, perché se una condotta colposa
dell’assicurato è pur sempre necessaria perché questi possa essere
chiamato a rispondere d’un illecito od d’un inadempimento, la produzione
dell’evento di danno non può di per sé ritenersi

“unica condizione

necessaria” per far sorgere l’obbligo indennitario dell’assicuratore della
responsabilità civile.

1.7. La sentenza impugnata deve dunque essere cassata e rinviata ad altra
sezione della Corte d’appello di Milano, la quale nell’accertare i fatti di causa,
alla luce di quanto esposto avrà l’onere di adeguatamente ed
esaurientemente motivare:

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condotta dell’avv. Giancarlo Dieci al momento della notifica dell’atto

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(a) tenendo ben distinto il concetto di “rischio” assicurato da quello di
“danno” civilistico;
(b) tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto, ed in primo
luogo della natura e dei presumibili effetti dell’errore commesso dall’avv.
Giancarlo Dieci nell’esecuzione del mandato professionale;
(c) adottando, per compiere l’accertamento sub (b), il criterio logico c.d. del

2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo di ricorso l’avv. Giancarlo Dieci lamenta la
violazione di legge, ex art. 360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’art. 112 c.p.c..
Lamenta che la Corte d’appello ha posto a fondamento della propria
decisione una valutazione (l’individuazione del “fatto-fonte” dell’obbligo
risarcitorio per l’assicurato nel deposito della sentenza della Corte d’appello
di Bologna, reiettiva del gravame) rilevata d’ufficio, e mai eccepita dalla
società convenuta.

2.2. Il motivo è inammissibile per l’assenza di un valido quesito di diritto, ai
sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: quello formulato dal ricorrente, infatti, è
tautologico e privo di qualsiasi aggancio alla fattispecie concreta, il che ne
comporta l’inammissibilità, come più volte affermato da questa Corte (ex
multis, basterà ricordare al riguardo le due pronunce delle Sezioni Unite di
questa Corte, ovvero Sez. U, Sentenza n. 28536 del 02/12/2008, Rv.
605848; Sez. U, Sentenza n. 11210 del 08/05/2008, Rv. 602895).

3. Le spese.
Le spese del giudizio di legittimità e dei gradi precedenti di merito saranno
liquidate dal giudice del rinvio, ai sensi dell’art. 385, comma 3, c.p.c..

P.q.m.
la Corte di cassazione, visto l’art. 383, comma primo, c.p.c.:

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“più probabile che non”.

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– ) accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo; cassa la
sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello
di Milano;
– ) rimette al giudice del rinvio la liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità e di quelle dei gradi di merito.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile

della Corte di Cassazione, addì 18 dicembre 2013.

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