Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5789 del 08/03/2017


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Cassazione civile, sez. III, 08/03/2017, (ud. 05/12/2016, dep.08/03/2017),  n. 5789

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16924-2014 proposto da:

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS), in persona del suo

Amministratore Delegato Dott. B.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio

dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RUGGERO BARILE giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 6/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 09/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PELLECCHIA;

udito l’Avvocato FILIPPO SCIUTO;

udito l’Avvocato RUGGERO BARILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PRATIS PIERFELICE che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La vicenda trae origine da una polizza fideiussoria rilasciata da Nuova Tirrena s.p.a., ora Groupama Assicurazioni s.p.a. nell’interesse di European Components s.p.a. ed a favore dell’Agenzia delle Entrate – Ufficio Cagliari (OMISSIS). Garanzia, prestata con rifermento alla restituzione totale o parziale delle somme rimborsate alla contribuente a titolo di eccedenza di imposta sul valore aggiunto D.P.R. n. 633 del 2001, ex artt. 30 e 38 bis per l’anno di imposta 2001 terzo trimestre. Quindi l’Agenzia delle Entrate richiede alla società garante di provvedere al pagamento dell’intera somma garantita. Groupama, evidenziando l’intervenuta cessazione automatica della garanzia in forza di quanto stabilito dall’art. 2 delle condizioni generali di polizza che espressamente stabilisce la garanzia cessa automaticamente decorsi sei mesi dal suo rilascio da parte della società qualora in tale periodo di tempo non abbia avuto luogo l’esecuzione del rimborso, ha invitato l’Agenzia delle Entrate ad astenersi dall’azionare la garanzia e qualsivoglia atto pregiudizievole. L’Agenzia delle Entrate dopo essere rimasta soccombente nel procedimento cautelare instaurato da Groupama conviene in giudizio quest’ultima per ottenere la revoca dell’ordinanza cautelare, l’accertamento della validità e vigenza della polizza e accertare l’inadempimento della Nuova Tirrena all’obbligo di garanzia e conseguentemente condannare la società al pagamento della somma dovuta in virtù della predetta polizza. La società assicurativa costituitasi si oppose a tutte le domande.

Il Tribunale di Cagliari con la sentenza numero 1036/2011 ha rigettato le domande dell’attrice e in parziale accoglimento delle domande svolte da Groupama ha accertato e dichiarato che la garanzia di cui alla polizza fideiussoria in oggetto è automaticamente cessata alla data del 18 giugno 2002, cioè alla scadenza automatica dei sei mesi, e che pertanto nulla era dovuto a tale titolo all’attrice.

2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Cagliari, con sentenza n. 6 del 9 gennaio 2014. La Corte, a differenza del giudice di prime cure, ha ritenuto che la clausola contenuta nella polizza fideiussoria rilasciata a garanzia della restituzione del rimborso dell’I.V.A., che preveda la perdita di efficacia della garanzia se il rimborso da parte dell’erario non venga eseguito entro sei mesi dal rilascio di essa, vada interpretata nel senso che il suddetto termine decorre non già dalla materiale esecuzione del pagamento del rimborso nelle mani del contribuente, ma dall’emissione dell’ordinativo di spesa da parte dell’erario. Ne consegue che, emesso l’ordine di pagamento entro il semestre dall’emissione della polizza, questa spiegherà i suoi effetti per la durata contrattualmente prevista, a nulla rilevando che il pagamento concreto del rimborso sia avvenuto a distanza di oltre sei mesi dal rilascio della garanzia. Pertanto, ha accolto l’appello proposto dalla Agenzia delle Entrate, ha revocato il provvedimento cautelare emesso prima del giudizio e ha condannato la Groupama Ass.ni al pagamento in favore dell’agenzia delle Entrate della somma di Euro 535.054,00 oltre interessi.

3. Avverso tale pronunzia Groupama Assicurazioni s.p.a. propone ricorso per cassazione sulla base di 5 motivi.

3.1 Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366, 1367, 1368, 1369, 1370 e 1371 c.c. con riferimento all’art. 2 della polizza fideiussoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Lamenta che il giudice del merito ha errato nell’interpretazione delle clausole del contratto perchè non ha riconosciuto l’intervenuta cessazione della garanzia limitandosi ad operare un mero richiamo ai principi espressi in analoga fattispecie da una recente pronuncia della Suprema Corte. Mentre avrebbe dovuto interpretare che per data di esecuzione del rimborso si deve intendere non quella della mera emissione dell’ordinativo, bensì quella della effettiva erogazione del rimborso.

4.2. Con il secondo motivo, denuncia la “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis del decreto dirigenziale n. 1998/9178 del 20/2/1998 pubblicato in G.U. n. 45 del 24/2/1998, e delle disposizioni di cui alla circolare del Ministero delle Finanze n. 146 del 10/6/1998, anche con riferimento all’art. 2 della polizza fideiussoria in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti anche con riferimento all’art. 2 della polizza fideiussoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Con il secondo e terzo motivo la ricorrente, sotto profili diversi, sostiene che i giudici del merito hanno effettuato una lettura errata della clausola di cui all’art. 2 delle condizioni della polizza fideiussoria, e che ciò si desume anche dalla circolare n. 146/98 dell’Agenzia del Ministero delle Finanze che riporta il nuovo schema della polizza fideiussoria, nella quale si parla pur sempre di “esecuzione del rimborso”.

4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1182 c.c. e D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44 anche con riferimento all’art. 2 della polizza fideiussoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si duole della errata interpretazione della clausola di cui all’art. 2 delle condizioni della polizza fideiussoria ed in particolare in relazione all’art. 1182 c.c. disapplicato dalla sentenza dei giudici del merito e dell’applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 44 alla fattispecie concreta non conferente.

4.5. Con il quinto motivo, la ricorrente deduce “l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti anche con riferimento all’art. 2 della polizza fideiussoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Lamenta l’inesistenza della motivazione in quanto nella sentenza si fa riferimento ad un mero richiamo di un precedente di legittimità senza esplicitare un iter argomentativo.

I motivi possono essere esaminati tutti insieme in quanto sono connessi da un minimo comune denominatore relativo all’errata interpretazione della clausola della polizza fideiussoria, e sono tutti infondati.

Nel caso di specie, la Corte con ampia, esauriente e logicamente coerente disamina di tutta la documentazione prodotta in atti, è giunta alla conclusione che la clausola di cui al citato art. 2 della polizza fideiussoria, che prevede la perdita di efficacia della garanzia se il rimborso da parte dell’erario non venga eseguito entro sei mesi dal rilascio di essa, va interpretata nel senso che il suddetto termine decorre non già dalla materiale esecuzione del pagamento del rimborso nelle mani del contribuente, ma dall’emissione dell’ordinativo di spesa da parte dell’erario. Ne consegue che, emesso l’ordine di pagamento entro il semestre dall’emissione della polizza, questa spiegherà i suoi effetti per la durata contrattualmente prevista a nulla rilevando che il pagamento concreto del rimborso sia avvenuto a distanza di oltre sei mesi dal rilascio della garanzia. Infatti la clausola in questione, in base alla quale “la garanzia cessa automaticamente decorsi sei mesi dal suo rilascio da parte della società qualora in tale periodo di tempo non abbia avuto luogo l’esecuzione del rimborso”, mira solo ad evitare che siano tenute a lungo quiescenti polizze mai concretamente attivate. Dunque, una volta attivata la polizza nel semestre dal suo rilascio, per effetto dell’emissione del titolo di spesa, essa resta valida e operante per il periodo tassativamente ivi prescritto, a tutela del potere di accertamento del fisco.

Tale motivazione, tutt’altro che apparente (anche là dove aderisce e fa applicazione del precedente di questa Corte, di cui Cass. 8622/2012) e che fa corretta applicazione dei criteri di ermeneutica contrattuale, resiste a tutte le critiche mossele.

Va in proposito osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimità quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di un contratto (ma anche di atti amministrativi, cui si fa riferimento nel secondo e terzo motivo) adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sè, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore agli artt. 1362 c.c. e segg., e sulla (in) coerenza e (il) logicità della motivazione addotta (così, tra le tante, funditus, Cass. n. 2074/2002): l’indagine ermeneutica, è, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e può essere censurata in sede di legittimità solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili, con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della interpretazione operata dal giudice di merito che si traduca nella sola prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto da quegli esaminati, come appunto nel caso di specie.

5. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 10.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 5 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 8 marzo 2017

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